Roma, 25 marzo 2020 – La disfunzione erettile è l’incapacità di iniziare o mantenere un’erezione sufficiente per un rapporto sessuale soddisfacente, ed è una disfunzione comune in particolare negli uomini di età superiore ai 50 anni.
I trattamenti esistenti ad oggi hanno limiti significativi e rimane la necessità di un’azione rapida, per facilitare la spontaneità durante il rapporto sessuale, tramite magari una terapia locale ben tollerata.
L’ultimo ritrovato in questo campo è il Gliceril Trinitrato Topico (GTN), che può soddisfare questa esigenza poiché GTN subisce un rapido metabolismo nella muscolatura liscia del pene e nelle cellule endoteliali per produrre ossido nitrico, che svolge un ruolo chiave nello sviluppo dell’erezione.
Abbiamo per tale argomento chiesto chiarimenti al Dr. Andrea Militello, noto andrologourologo italiano.
“Proprio in questi giorni abbiamo elaborato un documento che descrive le motivazioni per lo sviluppo di MED2005, una formulazione topica GTN che utilizza la tecnologia DermaSys, che è in fase di sperimentazione clinica per il trattamento della disfunzione erettile” spiega il Dr. Militello.
“Studi di farmacocinetica hanno dimostrato che MED2005 fornisce un assorbimento rapida di GTN in seguito all’applicazione sul glande e uno studio di fase 2 su uomini con disfunzione erettile ha mostrato che MED2005 ha prodotto miglioramenti significativi nella funzione erettile, rispetto al placebo” continua il noto andrologo romano.
“MED2005 è stato ben tollerato in questo studio, con solo 21 casi di mal di testa in 1003 tentativi di rapporto. Si prevede che MED2005 fornirà una terapia efficace per la disfunzione erettile, con una rapida insorgenza d’azione, una buona tollerabilità locale e un minor numero di controindicazioni rispetto agli inibitori della fosfodiesterasi 5, l’attuale pietra miliare della terapia della disfunzione erettile” conclude il Dr. Militello.
I tempi per la messa in commercio dovrebbero essere brevi e negli ambienti medici si attende con impazienza questa nuova alternativa terapeutica.
Roma, 24 febbraio 2020 – L’emergenza globale della salute riproduttiva maschile urge misure immediate e drastiche, affinché la fertilità degli uomini possa essere ripristinata a valori sostenibili per il futuro degli esseri umani.
La crisi in atto nelle riproduzione umana è dovuta al declino globale della presenza degli spermatozoi nel liquido seminale e dall’aumento delle anomalie del sistema riproduttivo maschile, come il criptorchidismo, i tumori delle cellule germinali e l’inizio della pubertà.
L’infertilità del fattore maschile si verifica nel40% delle coppie con infertilità, e i dati dimostrano un’associazione tra infertilità maschile e salute generale.
Condizioni di salute significative associate comprendono diabete mellito, disturbi metabolici e malattie cardiovascolari. Alla complessità si aggiunge che gli uomini in genere non cercano assistenza sanitaria a meno che non vi sia un bisogno medico acuto o, come nel caso della coppia sterile, il maschio si rivolga per una valutazione della sua fertilità e per l’esecuzione di uno spermiogramma. E ben il 25% dei maschi potenzialmente infertili non si rivolge ad un andrologo di fiducia.
“Le coppie utilizzano sempre più la fecondazione in vitro a età più avanzata e l’età paterna avanzata è associata ad un aumentato rischio di esiti perinatali avversi sia per la prole che per la madre, con mortalità infantile precoce, cancro e problemi di salute mentale” spiega il Prof. Andrea Militello, urologo andrologo docente presso l’ Università Federiciana di Cosenza.
Oltre all’età, i fattori dello stile di vita paterno, come l’obesità e il fumo, influiscono non solo sulla fertilità maschile ma anche sul benessere della prole.
Lo scopo della ricerca in questo campo è quello di metterein luce i dati emergenti e relativi alla salute riproduttiva maschile, le relazioni tra la salute riproduttiva e somatica maschile e le condizioni ereditarie che il padre può passare alla prole.
“È necessario studiare e mettere a punto una strategica tabella di marcia con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza degli uomini e della società su quanto sopra menzionato, la partecipazione degli uomini alla ricerca sanitaria e la promozione di rafforzare le politiche e le agenzie di finanziamento per sostenere una maggiore e più efficace ricerca sulla biologia riproduttiva maschile” conclude Il Prof. Andrea Militello.
Roma, 11 dicembre 2019 – Si è da poco concluso a Roma il 4o congresso nazionale AINPUdedicato al dolore pelvico cronico e alla sindrome del pudendo.
Il dolore pelvico cronico è una sindrome, quindi un insieme di sintomi, che colpisce indistintamente uomini e donne ed èresponsabile spesso di gravi disagi sociali e lavorativi a causa deldolore che quotidianamente perseguita la persona che ne è affetta.
La persona colpita dal dolore pelvico cronico riferisce dolori al perineo, dolori inguinali talvolta estesi anche alla coscia e al sacro, dolori sovrapubici e fastidi spesso a carico degli organi del bacino (vescica e retto), spesso disagi nella sfera sessuale .
Non sempre la diagnosi è immediata e talvolta il paziente viene trattato come paziente urologico o ginecologico o proctologicosenza una vera e propria diagnosi; alla base del dolore vi è spesso una contrazione o meglio ancora un ipertono della muscolatura del piano perineale responsabile di fattori ischemici locali e quindi di conseguenza la liberazione di sostanze infiammatorie e algogeneossia stimolanti il dolore.
L’uomo spesso riferisce disturbi urinari quali urgenza e flusso ridotto con scarso svuotamento vescicale.
Ma ci sono state importanti novità anche dal punto di vista delle terapie, come ad esempio con la TECAR, terapia endocavitaria
Una terapia usata dal Dottor Andrea Militello, urologo andrologo, relatore al congresso AINPU, dove ha esposto la sua personale esperienza nel trattamento del dolore pelvico cronico nell’uomo, affetto quindi da prostatite cronica non batterica, con laterapia endocavitaria TECAR.
“È stata per me un’esperienza interessante sia dal punto di vista scientifico che umano. Insieme al gruppo Eur Pelvic Care Center con cui collaboro in qualità di urologo, neuro-urologo (insieme al Dr Natale Ursino e alla Dottoressa Stefania Napoli) abbiamo introdotto un trattamento endocavitariodiTECAR terapia, tecnica già da tempo adottata in fisioterapia e osteopatia per il trattamento delle tensioni muscolari e dei dolori osteo-articolari” racconta il Dottor Militello.
“Il problema era mettere a contatto il manipolo con la ghiandola prostatica, continua l’urologo andrologo Militello che lavora anche nella città di Avezzano, ma questo è stato risolto con l’utilizzo di una sonda endocavitaria, di un manipolo endocavitario, che permette quindi di trattare il paziente affetto da dolore pelvico cronico anche per via interna.
Uno degli obiettivi della TECAR terapia è anche quello di lenire il dolore e la contrattura della muscolatura.
Al momento i risultati ottenuti sono estremamente interessanti ed entusiasmanti dando la speranza di aver trovato una possibilità terapeutica nei confronti di questa patologia estremamente insidiosa e debilitante”, conclude l’andrologo romano.
Roma, 21 ottobre 2019 – È sempre più alto il numero di giovani maschi infertili in Italia.È questo il dato che emerge dall’ultimo Congresso Nazionale scientifico della Federazione Italiana dei Pediatri di famiglia svoltosi quest’anno a Salerno, dove si sono riuniti oltre 1.000 pediatri di famiglia.
Il dato che emerge da questo congresso è che la percentualedi infertilità maschile in Italia è sempre più presente, e questo obbliga una stretta collaborazione professionale fra andrologoe pediatri di famiglia.
“L’Infertilità maschile si deve considerarla non come una malattia a sé stante ma come un problema che ha delle importanti implicazioni sia di carattere politico che sociale. Purtroppo molte delle cause collegate alla infertilità maschile non sono conosciute,ma dobbiamo ad esempio riconoscere che circa il 20% dei nostri ragazzi diciottenni presenta nelle visite effettuate a scopo preventivo un volume testicolare ridotto”, spiega il Dottor Prof. Andrea Militello, urologo andrologo di Roma perfezionato in fisiopatologia della riproduzione umana.
Questa situazione aumenta esponenzialmente nel nostro paese e obbliga una precoce interazione fra pediatri di famiglia e andrologi.
“Spesso le problematiche andrologiche possono essere evidenziate sinnel loro esordio in età infantile e sappiamo che alcune di esse possono avere un’origine prenatale. Tra queste ad esempio possiamo ricordare il criptorchidismo, patologia in cui il testicolo non scende nella sacca scrotale,rallentando il proprio sviluppo e bloccando quindi la sua attività specifica che è quella di produrre ormoni maschili e spermatozoi”, spiega ancora il prof. Militello.
Obbligatoria quindi un efficace e coordinatodialogo tra pediatra di famiglia e andrologo.
La visita andrologica nell’età pediatrica e adolescenziale rimane secondo il Dr. Militello l’unica possibilità di anticipare le patologie dell’apparato sessuale maschile, responsabili di problematiche soggettive ma anche spesso di infertilità maschile.
Arriva la PRP, Priapus Shot, per il trattamento della disfunzione erettile con i fattori di crescita
Roma, 8 ottobre 2019 – La disfunzione erettile è oggi purtroppo molto comune tra gli uomini, tanto che colpisce ormai quasi il 50% degli uomini di età superiore ai 40 anni.
Se non curata, la disfunzione erettile può avere un impatto significativo sulla relazione, l’autostima e il benessere generale di ogni uomo.
A venire incontro a chi soffre di tale patologia gli ultimi ritrovati della medicina, che vedono la nuova terapia della infiltrazione penienadel plasma arricchito di piastrine, anche comunemente noto come PRP, Priapus Shot. Una nuova opzione di trattamento rigenerativo per la disfunzione erettile, già disponibile in numerosi centri autorizzati in tutta Italia.
La terapia al plasma ricco di piastrine (PRP) è già una modalità di trattamento di successo in ortopedia, chirurgia plastica e medicina dello sport.
Esistono infatti già dati scientifici promettenti che mostrano la potenziale capacità del PRP nella rigenerazione del tessuto erettile.
La pratica di questa terapia è attualmente considerata una modalità di trattamento sperimentale per la disfunzione erettile secondo le linee guida sulla disfunzione erettile del 2018 da parte dell’American Urological Association.
“L’iniezione di plasma ricco di piastrine è una procedura semplice e quasi indolore che utilizza il plasma ricco di piastrine (PRP) prelevato dal proprio sangue, per trattare la disfunzione erettile.
Le piastrine possiedono una varietà di fattori di crescita e sostanze con proprietà riparative e curative. Vi è una promettente serie di studi scientifici che mostra la potenziale capacità e sicurezza della terapia PRP nel migliorare la salute e il funzionamento del tessuto erettile”, spiega il Dr. Andrea Militello, Urologo Andrologo, eletto Miglior Andrologo d’Italia nel 2018, per aiutarci a capire come funziona il PRP PRIAPUS SHOT.
La terapia PRP è una procedura ben tollerata che di solito non ha alcun impatto su farmaciassunti o sulle condizioni di salute.
“Con la PRP il sangue del paziente vienecentrifugatoper separare le piastrine in un plasma concentrato, ricco di piastrine, che vengono utilizzate per l’iniezione PRP. L’iniezione nel pene fornisce così diversi fattori di crescita che stimolano le cellule, il collagene e i vasi sanguigni a ringiovanire il tessuto. Iniezioni che potrebbero essere una scelta eccellente per gli uomini affetti da disfunzione erettile su base vascolare, non rispondente ai classici trattamenti”, continua il Dr. Militello, che dopo forti richieste ha deciso di ricevere a Roma, Viterbo e Cosenza, per aiutare quante più persone possibili, in diversi territori.
Ma quanto dura il processo? È richiesto un ricovero?
“L’intero processo richiede circa un’ora tra il prelievo di sangue e la somministrazione. Si applica quindi una crema anesteticanella zona genitale da utilizzare e una volta che l’area è anestetizzata, il medico inietta il PRP lungo l’asta del pene. Le iniezioni durano circa 5 minuti e la procedura è completata” ci dice il Dr. Militello, che nel 2019 risulta tra i primi dieci andrologi urologi d’Italia, nella classifica degli Award MioDottore.
Il vantaggio di una iniezione di PRP è che si tratta di semplici iniezioni che utilizzano il plasma del sangue del paziente, e i potenziali benefici della terapia PRP possono includere sensazione e piacere aumentati, recupero dell’autostima e intimità ripristinata nelle relazioni.
Vantaggi enormi, che fanno salire ai primi posti la soluzione PRP tra le opzioni a disposizione di chi soffre di problemi di erezione.
Roma, 11 settembre 2019 – Un team di ricerca internazionale dell’Università Mahidol di Bangkok, in Thailandia, ha sviluppato un nuovo esame del sangue in grado di rilevare il carcinoma prostatico clinicamente significativo nei pazienti ad alto rischio.
Secondo il principale scienziato, il dott. Sebastian Bhakdi, il test è in grado di isolare e visualizzare cellule endoteliali circolanti associate al tumore (tCEC) da un piccolo campione di sangue da 10 ml.
Le cellule endoteliali circolanti associate al tumore sono biomarcatori altamente promettenti per la rilevazione di tumori in fase precoce perché si pensa che derivino direttamente dai vasi sanguigni di un tumore.
Sfortunatamente, tuttavia, sono estremamente rari e quasi indiscernibili dalle normali cellule del sangue, motivo per cui sono stati finora considerati non rilevabili nei laboratori di routine.
“Mentre i tumori maligni iniziano a crescere i vasi sanguigni quando hanno una dimensione di appena 1 mm, ma i tumori dormienti non si comportano allo stesso modo. Di conseguenza, il tCEC è il primo tipo di cellule associate al tumorea diffondere nella circolazione dell’ospite e può indicare se la malattia danneggerà o meno il paziente” spiega il Dr Andrea Militello, Urologo e Andrologo di Roma, eletto Miglior Andrologo d’Italia 2018.
“Non tutti i tumori hanno bisogno di cure. Non è solo importante rilevare precocemente la malattia, ma anche valutare se è di natura aggressiva o meno. I test per tCEC potrebbero risolvere entrambi i problemi allo stesso tempo” spiega ancora il dottore.
In collaborazione con partner privati, il dott. Bhakdi e il suo team hanno sviluppato una serie di nuove tecnologie che operano a temperature sotto lo zero che consentono loro di isolare tCEC dal sangue intero in appena 6 ore e visualizzarle al microscopio.
I colleghi sviluppato il primo test di screening al mondo basato su tCEC in grado di rilevare sistematicamente queste cellule molto rare in campioni di sangue standard. Lo studio suggerisce che il test serve a distinguere tra uomini con e senza carcinoma prostatico clinicamente significativo.
Secondo il medico thailandese-tedesco, che ora sta lavorando a Singapore, il nuovo test tCEC non è stato progettato come un test autonomo, ma come un componente aggiuntivo per lo screening dell’antigene prostatico specifico (PSA) in modo da adattarsi perfettamente nei percorsi diagnostici esistenti.
“Lo screening del PSA è un argomento molto dibattuto nell’urologia moderna. In oltre il 75% di tutti i casi in cui i test del PSA hanno portato a una biopsia multi-core della prostata, è risultato negativo. Il che significa che il paziente è stato sottoposto a una procedura altamente invasiva per ragione a tutti “, ha detto il Dr. Militello, che da anni si occupa della diagnostica non invasiva del carcinoma prostatico.
“Il test tCEC ora può colmare il divario tra lo screening del PSA e la biopsia, assicurando solo quei pazienti che hanno davvero bisogno di sottoporsi all’operazione. Con questo, speriamo di creare un reale beneficio clinico senza dover scuotere i percorsi diagnostici esistenti” dice ancora l’urologo romano.
I risultati , ora pubblicati su Cancers, una delle riviste di oncologia di più alto livello nel mondo, indicano che i test tCEC potrebbero evitare oltre il 70% delle biopsie innescate dalle letture del PSA nella cosiddetta “zona grigia diagnostica” (4-20 ng / mL).
Secondo il Dr Militellol’alto valore predittivo negativo del test (probabilità che i soggetti con un test di screening negativo non presentino la malattia) del 93%, sarebbe la chiave per escludere con sicurezza risultati falsi negativi, e con esso, ulteriore esame del paziente.
“Esistono diversi test promettenti per governare il carcinoma prostatico, in particolare il PSA e la risonanza magnetica multiparametrica (mpMRI). Il problema è che nessuno di loro è in grado di escludere con sicurezza la malattia, che è la chiave per evitare test di follow-up potenzialmente dannosi. In combinazione con PSA come test di regole, l’alto valore predittivo negativo del nostro test potrebbe finalmente colmare il gap” conclude l’andrologo Militello.
Uno studio ha individuato nel caffè composti che potrebbero inibire il cancro alla prostata
Roma, 27 agosto 2019 – Per la prima volta gli scienziati hanno identificato composti del caffè che potrebberoinibire la crescita del cancro alla prostata.
La notizia è stata presentata al congresso dell’Associazione europea di urologia a Barcellona, dopo la pubblicazione sulla rivista The Prostate (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1002/pros.23753).
Il caffè è una complessa miscela di composti che ha dimostrato di influenzare la salute umana sia in modo positivo che negativo.
E vi sono ormai prove crescenti che l’assunzione di alcuni tipi di caffè sia associata a una riduzione dell’incidenza di alcuni tumori, inclusi i tumori della prostata.
Ora gli scienziati giapponesi hanno studiato gli effetti di due composti trovati nel caffè, il kahweol acetato e il cafestol, sulle cellule tumorali della prostata e negli animali, dove sono stati in grado di inibire la crescita delle cellule resistenti ai comuni farmaci anticancro come il Cabazitaxel.
Kahweol acetato e cafestol sono idrocarburi, naturalmente presenti nel caffè arabico e si è scoperto che il processo di preparazione del caffè influenza se questi composti rimangono nel caffè dopo la preparazione (come con l’espresso) o se vengono rimossi (come quando vengono filtrati).
I ricercatori hanno inizialmente testato sei composti, naturalmente presenti nel caffè, sulla proliferazione delle cellule tumorali della prostata umana in vitro (cioè in una capsula di Petri).
Hanno scoperto che le cellule trattate con kahweol acetato e cafestol sono cresciute più lentamente dei controlli. Hanno quindi testato questi composti su cellule tumorali della prostata che erano state trapiantate in 16 topi: 4 topi erano controlli, 4 sono stati trattati con acetato di kahweol, 4 con cafestol, mentre i topi rimanenti sono stati trattati con una combinazione di acetato di kahweol e cafestol.
“In questo interessante studio l’acetato di kahweol e il cafestol hanno inibito la crescita delle cellule tumorali nei topi, ma la combinazione sembrava funzionare sinergicamente, portando a una crescita tumorale significativamente più lenta rispetto ai topi non trattati. Dopo 11 giorni, i tumori non trattati erano cresciuti di circa 3 e mezzo volte il volume originale (342%), mentre i tumori nei topi trattati con entrambi i composti erano cresciuti di poco più di una volta e mezzo (167%) volte le dimensioni originali” ci dice l’andrologo e urologo Dr. Andrea Militello (www.urologia-andrologia.net).
“È importante mantenere questi risultati in prospettiva. Questo è uno studio pilota, quindi questo lavoro mostra che l’uso di questi composti è scientificamente fattibile, ma necessita di ulteriori approfondimenti; non significa che i risultati possano ancora essere applicati agli esseri umani. E’ stata anche riscontrata la riduzione della crescita nelle cellule tumorali trapiantate, piuttosto che nelle cellule tumorali native. Ciò che mostra è che questi composti sembrano avere un effetto sulle cellule resistenti ai farmaci nelle cellule del carcinoma della prostata nelle giuste circostanze e che anche loro hanno bisogno di ulteriori indagini. Attualmente si sta valutando come si potrebbero testare questi risultati in un campione più ampio, e quindi nell’uomo” spiega ancora il professore.
Quindi l’uomo nell’età a rischio deve aumentare l’uso del caffè?
“Questi sono risultati promettenti ma non dovrebbero far sì che le persone cambino il loro consumo di caffè. Il caffè può avere effetti sia positivi che negativi (ad esempio può aumentare l’ipertensione), quindi dobbiamo scoprire di più sui meccanismi alla base di questi risultati prima di poter pensare alle applicazioni cliniche. Tuttavia, se possiamo confermare questi risultati, potremmo avere candidati per il trattamento del carcinoma della prostata resistente ai farmaci” conclude il Dr Andrea Militello.
Roma, 9 agosto 2019 – L’obesità è causa di infertilità nell’uomo. A confermarlo recenti studi della University of the Western Cap, (www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31373727) che hanno evidenziato questa stretta correlazione.
Circa il 15% delle coppie in età fertile ha avuto problemi di fertilità. Gli uomini contribuiscono al 50% dei casi in cui una coppia non riesce a raggiungere la gravidanza desiderata. La percentuale di uomini in sovrappeso è triplicata parallelamente all’aumento dei problemi di fertilità in tutto il mondo e molti studi hanno confermato che l’obesità centrale influisce negativamente sui parametri di fertilità. Per alleviare i loro problemi di fertilità, gli uomini dovrebbero prestare attenzione al loro stile di vita.
Secondo il Dr. Andrea Militello, eletto miglior Urologo Andrologo d’Italia nel 2018, la qualità del seme maschile è diminuita drasticamente nel corso dell’ultimo secolo.
“Le possibili ragioni del declino dei parametri di fertilità possono essere lo stile di vita rapidamente cambiato, l’alterazione dell’attività fisica e le abitudini alimentari insieme ad altri fattori. Uno stile di vita occidentale favorisce l’aumento di peso, che è anche un problema tra gli uomini occidentali” dice il Dr. Militello.
“Ho notato che ci sono studi che associano l’obesità a una ridotta fertilità, ma ci sono altri studi che lo negano. Risultati contrastanti caratterizzano anche la relazione tra la sindrome metabolica correlata all’obesità centrale e la qualità dello sperma. Vi è, tuttavia, un accordo quasi unanime sul fatto che l’aumento di peso abbia una correlazione negativa con i livelli di testosterone” continua il dottore.
“Nelle mie visite andrologiche vedo spesso collegamenti tra peso e fertilità. Un fattore importante negli uomini è l’accumulo di grasso nella regione della vita. Tuttavia, l’obesità centrale è un grande rischio per la salute. Inoltre, l’obesità come un cambiamento nell’equilibrio ormonale promuove lo sviluppo di problemi di erezione, che a sua volta riduce la fertilità”.
La fertilità maschile viene valutata principalmente sulla base dello spermiogramma, ma uno dei metodi più semplici per determinare il potenziale di fertilità è la misurazione del volume testicolare.
“In qualità di fisiopatologo della riproduzione umana mi sento di confermare che gli uomini potrebbero fare molto per la loro salute. Dovrebbero cercare di mantenersi fisicamente attivi, muoversi e, se possibile, fare sport. Dovrebbero includere più frutta e verdura e prodotti integrali nella loro dieta. Il fumo e il consumo eccessivo di alcol sono notevoli fattori di rischio di infertilità. Tuttavia, la salute mentale o la capacità di alleviare lo stress e di trovare il tempo per se stessi e i loro cari non è meno importante” conclude il Dr. Militello.
Le donne vivono più a lungo: leggenda metropolitana o realtà? Le risposte da una ricerca dell’OMS…
Roma, 18 aprile 2019 – Spesso si parla del fatto che le donne vivrebbero di più, e che ci sono più vedove che vedovi, ecc. La “leggenda metropolitana” sulla maggiore longevità va avanti, forse, da sempre, ed è difficile comprendere se abbia un fondo di verità oppure no. Quest’anno una ricerca dell’OMS, ovvero l’Organizzazione Mondiale della Sanità sembra avvalorare questa teoria ponendola su basi psicologiche oltre che meramente fisiche e comunque dandone lucide e ragionate motivazioni.
Secondo la World Health Statistics 2019 (WHO, 2019), infatti, per i nati nel 2019 l’aspettativa di vita è di 69,8 anni per i maschi e di 74,2 anni per le femmine, con uno scarto di 4,4 anni a favore delle donne.
Secondo l’OMS alla base di questa diseguaglianza non c’è una singola causa bensì ve ne sono diverse. Analizziamole nel dettaglio, per comprendere meglio i risultati di questa importante ricerca.
Donna al volante… attenzione costante?
Gli esperti del portale di psicologia PsicologiOnline.net ricordano che alla base della mortalità ci sono cause, ovviamente, fisiche ma ve ne sono anche di psicologiche che troppo spesso vengono sottovalutate se non ignorate. Anche la salute mentale, in questo senso, miete vittime più numerose di quanto possiamo pensare.
Un esempio: gli incidenti stradali sembrano essere più pericolosi per gli uomini, che vedono abbassarsi l’aspettativa di vita di circa 0,47 anni in più rispetto alle donne. Da cosa dipende questa maggiore frequenza di decessi maschili per incidenti automobilistici? Tra le cause prime viene indicato il fatto che nel settore degli autotrasporti sono impiegati quasi esclusivamente uomini. Anche se le donne stanno lentamente aumentando, per adesso il monopolio è strettamente nelle mani degli uomini. Altra causa è che a livello empirico è stata dimostrata la maggiore aggressività alla guida da parte degli uomini e anche una attenzione inferiore nei confronti dei rischi che comporta uno stile di guida non prudente.
Secondo un’analisi sulle cattive abitudini alla guida (Mouloua et al., 2007), gli uomini hanno più familiarità rispetto alle donne con la guida in stato di ubriachezza e sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, entrambe causa di importanti alterazioni dello stato psichico. Sempre secondo questa ricerca, gli uomini sono più propensi ad utilizzare le luci della propria auto per spaventare gli altri automobilisti e hanno reazioni meno pronte agli incidenti; cioè uniscono ad una maggiore propensione a provocare incidenti una minore capacità di reagirvi.
Perché l’alcool miete più vittime maschili
Altra causa più significativa di quanto si possa pensare della mortalità maschile è legata al consumo di alcool ed alla conseguente cirrosi epatica che da esso deriva. Questa malattia invalidante e incurabile, infatti, che spesso pensiamo interessi solo persone ai limiti della società, è più diffusa di quanto il senso comune ritenga e causa una riduzione di vita maggiore negli uomini ed attestata circa a 0,27 anni. Sappiamo bene che la cirrosi epatica è una malattia squisitamente fisica ma le sue cause sono tutte nella sfera psicologica, ossia nel consumo di sostanze alcoliche. La differenza di genere nel consumo di alcolici è sensibile.
Negli Stati Uniti, dove il problema è molto diffuso, vi sono circa 16,1 milioni di persone affette da alcolismo. Tra queste vi è un rapporto di 2:1, con gli uomini assestati a 9,8 milioni contro i 5,3 delle donne. Una ricerca (Schulte et al., 2009) analizza le cause di questa differenza e le trova nel fatto che in molte culture la capacità di “reggere” l’alcool è intesa come sintomo di virilità e quindi spinge al massimo la sfida a se stessi. L’uso precoce di alcol, inoltre, più abituale nei maschi rispetto alle femmine, consente una maturazione ritardata di alcune aree cerebrali durante gli anni dello sviluppo e una conseguente minore capacità di rispondere fisicamente all’alcool. Questa maturazione ritardata causa anche una insufficiente valutazione dei problemi legati all’uso di alcolici da parte dei maschi.
La violenza è maschio?
Forse non la violenza in senso lato ma almeno quella fisica è certamente appannaggio della popolazione maschile più che di quella femminile. Se gli attacchi verbali, le rappresaglie, i ricatti ed i dispetti sembrano essere “armi” più femminili, quando si scende sul piano della fisicità il problema assume caratteristiche maschili. La violenza interpersonale causa una riduzione dell’aspettativa di vita di 0,21 anni per gli uomini rispetto alle donne.
Secondo il rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità gli uomini hanno probabilità quadruple di morire per omicidio rispetto alle donne. Circa un quinto degli omicidi viene commesso dal partner o da un familiare della vittima, che nella maggioranza dei casi è donna. Si tratta della piaga, tristemente nota, del femminicidio. La situazione cambia, però nei crimini di strada, dove è molto probabile che uomini uccidano altri uomini.
La violenza, quindi, sembra essere appannaggio prevalente degli uomini che, di conseguenza, ne sono anche le vittime più frequenti. In qualche modo è come se i contesti maschili fossero “naturalmente” più violenti. Secondo una ricerca (Sturmey and Copping, 2017) ciò potrebbe dipendere da livelli più elevati di aggressione fisica nei maschi che nelle femmine.
L’uomo è davvero più forte?
L’ultimo fattore analizzato dall’OMS è forse quello che provoca più stupore: l’autolesionismo. La teoria, infatti, sostiene che il maggior tasso di autolesionismo maschile rispetto a quello femminile abbia un ruolo considerevole nella minore attesa di vita degli uomini rispetto alle donne. Complessivamente il tasso di uomini morti suicidi è di 1,75 superiore rispetto a quello delle loro compagne.
Le donne hanno più frequenti pensieri suicidi e attuano più tentativi ma gli uomini sembrano più puntuali nel portare a termine tali pensieri. Questo dato, analizzato in più ricerche tra cui Canetto e Sakinofsky, 1998, viene definito “il paradosso del suicidio”. Le cause di tale paradosso sono difficili da analizzare, data l’estrema delicatezza della materia. Forse, alla base di tutto vi è il maggiore stress a cui sono sottoposti i ruoli maschili nella riuscita sociale, nel raggiungimento del benessere familiare, nel ricoprire ruoli di comando e di prestigio, etc. Gli standard richiesti, più alti che per le donne, porterebbero a delusioni e scoraggiamenti anche irreversibili. Tra le rigide regole imposte al “maschio”, poi, ci sono quella di non manifestare emozioni negative, rifiutare l’aiuto di psicologi e terapeuti in caso di depressione o pensieri suicidi e il ricorso all’automedicazione con alcoolici. Tutto ciò è esposto nella ricerca Möller-Leimkühler, 2003.
Saper chiedere aiuto è da forti, non da deboli
La ricerca stilata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, è stata licenziata in questo anno, il 2019, e quindi tutti i dati esposti sono recenti. Uno dei più rilevanti, tra tutti questi dati, è l’assoluta necessità mostrata da entrambi i sessi di usufruire di un’adeguata assistenza mentale e psicologica.
Tra le cause fisiologiche della minore attesa di vita da parte degli uomini vi sono le malattie cardiache, tumori polmonari ed altri disturbi fisici ma anche i disagi psicologici e mentali vanno ad aumentare la forbice tra età nella mortalità femminile e maschile. Poiché gli uomini generalmente faticano di più ad affidarsi a psicologi e psicoterapeuti, proprio perché legati a stereotipi sociali di virilità ed indipendenza, è forse su questo punto che bisognerebbe lavorare in modo più approfondito.
Dovremmo cercare di far comprendere alle persone che mostrare le proprie debolezze e richiedere aiuto non è di per sé una debolezza ma, anzi, una prova di forza morale. Se riuscissimo, a livello sociale, in questa difficile impresa, probabilmente i numeri di questa ricerca ne uscirebbero molto cambiati.
Roma, 14 marzo 2019 – La disfunzione erettile è un problema molto diffuso e colpisce milioni di persone in tutto il mondo. Per il 2020 si stima infatti saranno circa 322 milioni i pazienti affetti da tale patologia nel mondo.
Talvolta la disfunzione erettile può essere un segnale di una sofferenza metabolica o cardiovascolare, altre volte può dipendere da alterazioni dell’equilibrio ormonale, altre volte da problematiche locali dei corpi cavernosi.
Le terapie sino ad oggi utilizzate sono le classiche pasticche dell’amore a base di inibitori delle 5 fosfo diesterasi negli ultimi tempi sono subentrare anche terapie fisiche che utilizzano le onde d’urto a bassa intensità o i fattori di crescita sino ad arrivare all’impianto delle protesi con accesso mini invasivo nei casi non rispondenti alle classiche terapie.
Ma la scienza va avanti e ci sono studi e ricerche dedicati a scoprire ulteriori molecole in grado di sostenere e curare la disfunzione erettile con una facilità di assunzione e l’assenza, o minima presenza, di effetti collaterali.
“Molto interessante al riguardo uno studio effettuato da colleghi stranieri”, ci dice il Dottor Andrea Militello andrologo e urologo a Roma (ma anche Avezzano e Viterbo), che hanno utilizzato un gel contenente una tossina dal veleno del ragno armato (Phoneutria nigriventer), il peptide 19-aminoacido, PnPP–19, peptide del potentiator nigriventer (Fonte studio: https://www.jsm.jsexmed.org/article/S1743-6095(19)30005-0/fulltext).
Per effettuare questo studio sono stati utilizzati cavie affette da disfunzione erettile in conseguenza a ipertensione e diabete. È stata utilizzata una formulazione in genere per verificarne la bio distribuzione e la permeazione.
Interessanti i risultati che hanno manifestato una risposta consistente in un miglioramento della rispostaerettile con l’assenza di effetti collaterali.
Inoltre PnPP-19 ha mostrato un effetto additivo quando co-somministrato con sildenafil, mostrando una nuova modalità di azione indipendentemente dall’inibizione della fosfodiesterasi di tipo 5.
“I risultati-conclude l’andrologo Dr Andrea Militello – hanno mostrato che PnPP-19 può emergere come un nuovofarmacopotente, che può essere somministrato topicamente, diventando un’alternativa promettente per il trattamento della disfunzione erettile. Attendiamo per questo gli ulteriori sviluppi”, conclude l’andrologo.