Trovare lavoro a dicembre: ecco i ruoli più ricercati

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Milano, 20 novembre 2018 – Non sono poche le persone alla ricerca di lavoro che, con l’approssimarsi di dicembre, mollano la presa, nella piena convinzione che le settimane pre-natalizie non possano offrire buone opportunità lavorative. In realtà le cose son ben diverse e anche il mese di dicembre può offrire interessanti possibilità lavorative a chi intende osare.

«Molti candidati a dicembre smettono di inviare i proprio curricula alle aziende e persino di rispondere agli annunci di lavoro, pensando che ormai la ricerca di una nuova occupazione possa essere rimandata all’anno venturo, dalla metà di gennaio in poi» spiega Carola Adami, fondatrice e CEO della società di ricerca e selezione del personale Adami & Associati di Milano.

In effetti le statistiche mostrano chiaramente che il periodo migliore per trovare un nuovo lavoro, in media e per la maggior parte dei settori, sia quello che corre tra settembre e ottobre. In quei mesi in effetti il mercato si riaccende dopo il lungo stand by estivo. Settembre, in particolare, è il mese deputato all’approvazione dei piani di sviluppo, e questo comporta l’avvio di molti processi di ricerca personale. Altro periodo particolarmente favorevole alle nuove assunzioni è poi quello che va da gennaio a febbraio: tutto l’organico è in azienda, non ci sono dipendenti in vacanza, e con la presenza di tutto il personale sono più probabili gli ingressi di nuove figure professionali.

Sembrerebbe dunque che le persone che sul finire di novembre smettono di mandare le proprie lettere di presentazione alle aziende e ai cacciatori di teste abbiano delle ottime ragioni. Ma non è così perché quello natalizio può al contrario essere un periodo perfetto per trovare un nuovo soddisfacente lavoro.

«Non si parla solo e unicamente dei lavoratori che trovano occupazione nelle attività che tipicamente assumono in vista del Natale, come i ristoranti, gli alberghi, i negozi e le attività legate agli sport sulla neve.

Ci sono tante altre figure che proprio in vista delle ultime settimane dell’anno sono particolarmente ricercate dalle aziende, e per molte persone alla ricerca di un nuovo lavoro sarebbe dunque davvero sbagliato tirare i remi in barca in questo periodo», spiega ancora la Adami.

Ma di quali figure stiamo parlando?

«In particolare ci sono molte aziende che, in vista dell’introduzione della fatturazione elettronica obbligatoria a partire dal gennaio del 2019, sono alla ricerca di professionisti IT e di ruoli data entry, per poter così accompagnare questa importante evoluzione».

Ma non è tutto qui: un’altra particolarità del 2018 è stata l’introduzione del GDPR, e di conseguenza sono tantissime le aziende che si sono poste dicembre come termine ultimo per individuare esperti nel campo della privacy.

«Non solo i lavoratori stagionali impiegati nel mondo del turismo, dunque, devono guardare a dicembre come a un mese ricco di opportunità: le ultime settimane dell’anno possono trasformarsi nel periodo giusto per un’ampia gamma di professionisti alla ricerca di una nuova occupazione», conclude l’head hunter..

Come sottolineato da Adami, del resto, in queste settimane le figure maggiormente ricercate a livello nazionale dalle aziende, oltre alle figure legate al GDPR e all’IT, sono i diplomati tecnici, gli esperti di big data, gli sviluppatori e gli immancabili agenti di commercio e responsabili delle vendite.

In alcuni casi si ha a che fare con delle collaborazioni temporanee, ma non va trascurato il fatto che i processi di selezione pre-natalizi coinvolgono uno svariato numero di settori, richiamando candidati con i più differenti livelli di esperienza.

 

 

 

 

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Lavoro: più tempo libero la nuova strategia per catturare i talenti

Milano, 7 novembre 2018 – Cosa possono fare le aziende per attirare i migliori talenti? In molti casi i processi di ricerca e di selezione del personale terminano con esiti insoddisfacenti e talvolta l’insuccesso è da attribuire a degli errori del reparto HR, mentre in altre occasioni il problema è più a monte, a livello di “employer branding“.

È un dato di fatto che alcune aziende hanno un’ottima immagine in qualità di datore di lavoro, mentre altre invece non possono vantare un ritratto altrettanto lusinghiero, e questo si ripercuote ovviamente sulle concrete possibilità di attirare i migliori lavoratori.

«Quando si tratta di ricerca di personale qualificato, o ancora di più quando in ballo c’è la ricerca di personale specializzato, di manager e di dirigenti, la reputazione dell’azienda assume un’importanza molto marcata» spiega Carola Adami, CEO dell’agenzia di ricerca e selezione del personale Adami & Associati.

«I migliori talenti sono corteggiati da diverse aziende, e per questo diventa fondamentale poter offrire il meglio ai candidati più competenti. Non si parla solo di retribuzione, ma anche delle possibilità di carriera, di visibilità, di ambiente lavorativo e di welfare aziendale» sottolinea l’head hunter.

Alcune aziende, per essere viste come la meta lavorativa ideale dai candidati più preparati, puntano su retribuzioni maggiori, mentre altre, invece, elaborano piani di welfare aziendale particolarmente apprezzati. A quanto pare a raccogliere i maggiori consensi è proprio l’attenzione da parte delle aziende al cosiddetto work-life balance: stando ai più recenti studi portati avanti dal Top Employers Institute, sarebbe infatti soprattutto la gestione flessibile e intelligente del tempo a fare la differenza quanto a Employer Branding.

Tutti quanti, ormai, andiamo di fretta e siamo stressati, schiacciati tra gli impegni professionali e quelli familiari. Ne risulta dunque che è il tempo, e non più il denaro, la risorsa massima alla quale guardano i lavoratori. E, come evidenziato dal Top Employers Institute (che si occupa di valutare le eccellenze aziendali a livello HR in 1300 aziende in 115 Paesi di tutto il mondo) le migliori aziende se ne stanno accorgendo, sforzandosi di offrire ai propri dipendenti la possibilità di dedicare ore preziose ai loro interessi e alle loro famiglie.

In questo contesto, il tempo inizia ad essere visto come un bene di lusso, che viene dunque assegnato dai vertici aziendali come apprezzatissimo bonus.

Guardando alle 90 aziende italiane certificate Top Employers 2018, il 74% dei dipendenti usufruisce di orari flessibili. Una fetta del 30%, invece, approfitta dello smart working, mentre più della metà – il 52% – utilizza dei congedi speciali per genitori. Di più: il 48% gode della possibilità di portare i propri figli in azienda in un giorno lavorativo.

«Cresce di anno in anno il numero delle aziende italiane consapevoli dell’importanza di soddisfare i bisogni dei propri dipendenti, per essere così in grado di fidelizzare i lavoratori già assunti e di acquisire nuovi candidati competenti, e quindi in grado di sostenere lo sviluppo del business» osserva Carola Adami.

E, come sottolinea Davide Banterla, Senior HR Project Manager di Top Employers Institute, «nel venire incontro alle esigenze delle persone, il work-life balance si conferma prioritario e contribuisce a creare un rapporto di fiducia e un engagement in cui sono i dipendenti a ‘fare un’azienda d’eccellenza’, e non viceversa».

 

 

 

 

 

Hi-Tech: l’intelligenza artificiale entra nella selezione del personale

Milano, 31 ottobre 2018 – Potrebbe sembrare ironico, eppure è proprio così: l’intelligenza artificiale si sta avvicinando sempre di più a risolvere problematiche sempre più complicate come ad esempio la selezione del capitale umano delle aziende. Stando ad uno studio di Undercover Recruiter, l’intelligenza artificiale arriverà infatti a rimpiazzare il 16% dei lavoratori in ambito ‘risorse umane’ nei prossimi 10 anni, proprio in virtù dei benefici che questo tipo di automazione può apportare nella ricerca e nella selezione dei talenti.

In estrema sintesi, l’AI può rendere più veloce e più semplici i processi di recruiting, fornendo ulteriori certezze ai cacciatori di teste e alle stesse aziende. Non è certo un caso se la catena di hotel Hilton Worldwide, presente in circa 80 Paesi, ha introdotto l’utilizzo di uno speciale software AI in grado di analizzare i video delle interviste aii candidati, esaminando dunque elementi come la gestualità e l’intonazione per ricercare i talenti più adatti ad essere inseriti nei propri team.

Il risultato? I tempi medi di ricerca per il candidato ideale, affermano i recruiter Hilton, sono scesi da  42 a 5 giorni. Quello della Hilton Worldwide, del resto, è solo uno tra i tanti esempi possibili: Unilever ha deciso di proporre un particolare test online composto da 12 prove ai propri candidati, arrivando così a scremare l’80% dei 250mila curricula ricevuti annualmente.

I nuovi sistemi di intelligenza artificiale per la selezione del personale non sono adottati dai soli colossi del mercato internazionale.

Una recente indagine condotta da AIDP, ovvero dall’Associazione Italiana per la Direzione del Personale, ha infatti rivelato che il 58% dei manager HR ha già utilizzato dei sistemi digitalizzati e automatizzati per la fase di recruiting.

«Le potenzialità dell’impiego di sistemi di intelligenza artificiale nel campo della ricerca e della selezione del personale sono enormi» spiega Carola Adami, founder e CEO della società di head hunting Adami Associati, specificando che «tali strumenti possono affiancare i recruiter nell’analisi dei curricula e della presenza online dei candidati, velocizzando dei processi che, se condotti dagli addetti HR, richiedono molto tempo. Da una parte, i sistemi AI permettono dunque di scremare velocemente i candidati, garantendo risultati più veloci; dall’altra, garantiscono un’analisi ancora più scientifica, così da fornire maggiori certezze all’azienda in procinto di assumere una nuova risorsa».

Dallo screening dei curricula all’analisi motivazionale, passando per l’analisi semiotica delle video interviste, i campi di applicazione delle nuove tecnologie nella selezione e ricerca del personale i più disparati. Ma tutto questo significa che presto, nei prossimi anni, le macchine prenderanno il sopravvento negli uffici HR e nelle agenzie di recruiting?

«L’oggetto del lavoro degli HR e dei cacciatori di teste resta pur sempre l’umano» precisa Carola Adami «e per questo motivo la selezione del personale dovrà sempre contemplare l’intervento di un recruiter esperto in grado di valutare la personalità, le soft skills e le attitudini dei candidati».

Quindi sì, l’intelligenza artificiale rappresenta davvero il futuro per il settore della ricerca e selezione del personale, promettendo un considerevole risparmio di tempo e di denaro. Ma le macchine non potranno, nemmeno in questo settore, sostituirsi completamente all’uomo: la pensa così il 100% dei manager delle risorse umane intervistati da AIDP.

 

 

 

 

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Qualifiche, diplomi e lauree: ecco i titoli più richiesti dalle aziende italiane

Milano, 15 ottobre 2018 – Il ‘pezzo di carta’ conta tanto, tantissimo, ed è destinato a contare sempre di più nei prossimi anni. Un tempo, quasi un secolo fa, l’obiettivo dei più era la semplice licenza media. Ieri era il diploma, e in buona parte lo è ancora oggi, in un mercato che però volge sempre di più lo sguardo verso la laurea.

Ma si sa, non tutti i ‘pezzi di carta’, a prescindere dal livello, sono uguali: “la scelta del percorso scolastico e universitario da intraprendere è fondamentale per il successivo ingresso del mercato del lavoro” spiega Carola Adami, CEO e founder della società di ricerca e selezione di personale qualificato Adami&Associati.

“Una scelta sbagliata fatta in gioventù, e quindi l’iscrizione ad un istituto superiore senza reali sbocchi o ad un corso universitario con scarse possibilità occupazionali può compromettere fortemente la carriera professionale di un ragazzo, soprattutto oggi che le aziende riconoscono un valore altissimo ai titoli di studio” ha sottolineato ancora Adami.

Un buon orientamento scolastico, dunque, diventa cruciale. Sì, perché oggi più che mai le aziende hanno bisogno di competenze per rendersi più competitive, soprattutto ora che la trasformazione digitale sta toccando ogni settore.

E questo è dimostrato appieno  dalle effettive ricerche delle imprese italiane: stando al bollettino Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal, nel mese di settembre su 415mila posizioni di lavoro programmate dal settore privato, ben 139mila – ovvero una su tre – sono state destinate ai diplomati.

Altre 126mila posizioni sono invece state dirette alle persone provviste di una qualifica professionale, e circa 74mila hanno invece puntato ai laureati.

Ma quali sono i percorsi formativi maggiormente premianti dal punto di vista occupazionale? «Le imprese italiane hanno un grande bisogno di tecnici specializzati nei settori del marketing e della finanza, per non parlare dell’alta richiesta di tecnici qualificati in meccatronica e in meccanica» ha precisato Carola Adami.

“Del resto la continua richiesta di tecnici specializzati da parte delle aziende non deve stupire: l’Italia è la seconda potenza manifatturiera d’Europa, e nonostante questo può vantare meno di 10 mila studenti iscritti agli Istituti Tecnici Superiori” ha raccontato Adami.

Le imprese hanno dunque un forte bisogno di tecnici: non a caso l’82% dei neodiplomati risulta occupato.

Per quanto riguarda i titoli professionali, stando al bollettino Excelsior, gli indirizzi contraddistinti da un più alto livello di occupazione al termine degli studi sono quello relativi ai mondi della ristorazione e della meccanica.

Le lauree maggiormente richieste, infine, sono quelle in campo economico, seguite a breve distanza dalle lauree relative all’insegnamento. Più lontane, ma sempre molto ricercate, sono poi le lauree in medicina, in ingegneria elettronica e a indirizzo linguistico.

Tutto questo mentre, stando alle cifre Istat relative al 2017, la percentuale delle persone laureate in Italia è ferma al 18,1%, di contro al 31,4% del resto dell’Europa.

 

 

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Foto da usare solo a corredo della presente notizia:

È boom di offerte di lavoro in Lombardia e Veneto: queste le ultime richieste

Milano, 29 agosto 2017 – Sono tante le nuove posizioni lavorative aperte in Lombardia e Veneto e in genere nel nord Italia. In questi primi giorni di riapertura delle aziende, dopo la chiusura estiva, si registra infatti una crescita delle richieste di lavoro nel nord dell’Italia, con numerose posizioni lavorative manageriali, e non solo, disponibili in diversi settori. Si tratta senza alcun dubbio di una possibilità concreta per valutare opzioni ed opportunità differenti.

A confermarlo la Adami & Associati, che da anni si occupa della ricerca di personale qualificato tramite ricerche specifiche, valutazione delle effettive competenze/skills dei candidati e inserimento ottimale dei candidati in azienda.

Queste le posizioni più ricercate sono destinate a professionisti di vario genere, raccolte e raggruppate in base alle varie mansioni:

 

VENDITE/ACQUISTI:

N.1 Responsabile vendite a Milano

N.1 Responsabile vendite e marketing – Italia e estero a Padova

N.1 Sales account – Medio Oriente a Milano

N.1 Responsabile punto vendita ottica a Brescia

N.1 Sales and marketing manager a Merate (LC)

N.1 Sales manager a Bolzano

N.1 Commerciale settore trasporti a Verona

N.1 Buyer specialist a Bergamo

 

RISTORAZIONE:

N.1 Responsabile ristorante a Bergamo

N.2 Commis de rang a Milano

N.3 Chef de rang a Milano

N.1 Barman a Milano

N.1 Restaurant director a Milano

 

OFFICE:

N.1 ADDETTO UFFICIO TECNICO/PROGETTAZIONE a Monza e Brianza

N.1 Responsabile ufficio export ad Arese (MI)

N.1 Economo a Milano

N.1 Controller ambito trasporti a Verona

 

TECHNICAL:

N.1 Direttore tecnico a Merate

N.1 Senior electrical engineer

N.1 Instrument automation senior enigineer a Milano

N.1 Senior technical engineer a Milano

N.1 Progettista meccanico/idraulico elettrovalvole a Como

 

RETAIL:

N.1 Analista funzionale nell’ambito del software retail a Mestre (VE)

 

LOGISTICA:

N.1 operation in store a Milano

 

MANUFACTURING:

N.1 Responsabile attrezzista meccanico a Lecco

n.1 Tornitore con esperienza a Milano

 

MANAGEMENT:

n.1 Ingegnere meccanico a Milano

n.1 Business development manager a Milano

n.1 Site manager a Genova

n.1 Finance manager reporting to the Cfo a Milano

n.1 Project account manager a Bergamo

n.1 Direttore generale a Varese

n.1 Asset manager a Milano

n.1 Capo contabile a Milano

n.1 Head of legal, risk & compliance  a Milano

 

CUSTOMER CARE/CUSTOMER SERVICE:

n.1 Hostess a Milano

 

Per maggiori informazioni sulle posizioni lavorative contattare la Adami & Associati al telefono 02 36 52 62 35 o tramite email l’email customerservice@adamiassociati.com o visitare i sito internet www.adamiassociati.com.

 

 

 

 

 

Project manager: 22 milioni i nuovi posti di lavoro nei prossimi dieci anni

Milano, 30 maggio 2018 – Stando ad uno studio del Project Management Institute – un’associazione internazionale no-profit che si occupa della divulgazione delle tecniche del Project management – nel prossimo decennio la domanda di project manager qualificati è destinata a salire del 33%, con 22 milioni di nuovi posti di lavoro a livello globale. Quella del project manager, dunque, si configura come una delle professioni che saranno più richieste nei prossimi anni. Ma quali sono le funzioni di questa figura manageriale? E quali i prerequisiti fondamentali per potervi accedere?

«In parole semplici, possiamo guardare al project manager come al responsabile della conduzione operativa di un progetto, pur non limitandosi ad una mera supervisione tecnica: il presidio che viene richiesto a questa figura, infatti, deve essere globale» ci spiega Carola Adami, fondatrice e CEO dell’agenzia di ricerca e selezione di personale qualificato Adami & Associati.

«Il project manager è il responsabile della qualità del prodotto o del servizio finale, nonché della gestione economica del progetto. È inoltre suo il compito di coordinare i contributi e le azioni di tutti gli attori coinvolti, stakeholders compresi» ha specificato l’head hunter dell’agenzia milanese.

La popolarità del ruolo di project manager, del resto, è andata aumentando di continuo negli ultimi anni. Sono cinque, spiega Adami, i settori in cui, a livello internazionale, c’è una marcata richiesta di project manager: «parliamo dell’ingegneria, dell’information technology, della finanza, della sanità e della difesa». E la coda delle aziende alla ricerca di un manager in grado di gestire progetti di qualità si ingrossa giorno dopo giorno: basti pensare che oggi, su LinkedIn, ci sono più di 1.700 ricerche che puntano in questa direzione. Attualmente si stima che si aprano 1.5 milioni di opportunità lavorative all’anno per questi professionisti.

«La grande richiesta di queste professionalità non deve assolutamente stupire: dei project manager preparati e capaci possono infatti trasformare le imprese in entità più leggere e più efficaci, in grado quindi di soddisfare in modo ancora migliore i rispettivi clienti» spiega ancora Adami. Insomma, le richieste sono già tantissime, ma sono ancora poche se confrontate con i numeri previsti dal Project Management Institute per i prossimi dieci anni.

Ma quali sono le esperienze formative indispensabili per questo ruolo?

Va sottolineato che ogni tipo di settore ricerca differenti tipologie di project manager. Non esiste del resto un percorso unico e codificato per intraprendere questa carriera: si potrebbe pensare che la via migliore sia quella degli studi economici, ma anche le lauree in ingegneria sono molto apprezzate, così come altri percorsi universitari più specifici. Va inoltre evidenziata la possibilità di frequentare delle scuole di Business management, nonché quella di partecipare a dei master appositamente mirati a formare dei project manager pronti per essere inseriti in azienda.

«Il project manager deve avere competenze tecniche e di business» sottolinea Adami, aggiungendo che «a queste competenze interdisciplinari vanno sommate particolari soft skills, quali le capacità di leadership e di problem solving: stiamo pur sempre parlando, in fondo, di una figura chiamata a dirigere e coordinare un variegato team di lavoratori».

Decisamente attraente, infine, la retribuzione che spetta a questi professionisti, dai 55 mila euro lordi annui delle figure junior ai 130 mila euro dei project manager più esperti.

 

Capitale umano e innovazione: ecco cosa sta cambiando nel lavoro in Italia

Milano, 18 maggio 2018 – L’intelligenza artificiale e più in generale la digitalizzazione stanno mutando profondamente le aziende italiane, in tutti i loro aspetti costitutivi. Non è certo un caso se, a proposito del Report Mercer Global Talent Trends Study 2018 ‘Unlocking Growth in the Human Age’, l’ Amministratore Delegato di Mercer Italia, Marco Valerio Morelli, ha parlato proprio di una ‘agenda del change’, la quale  richiede «una continua evoluzione per rimanere competitivi, piuttosto che un singolo momento di cambiamento».

Big data Expert, It security specialist, Blockchain expert, Network system engineer, sono questi i ‘nuovi’ professionisti che, secondo l’head hunter Carola Adami, sono attualmente i più ricercati dalle aziende italiane: «Si tratta perlopiù di professionalità appena nate, che le imprese italiane, per ora, faticano a individuare».

Ma, come anticipato, non si tratta solo della selezione di nuovo personale: i cacciatori di teste non possono risolvere, da soli, la sfida che si pone alle aziende italiane. Serve infatti molta formazione interna, anche se, come svela lo studio Mercer, solo il 46% degli HRD è convinto di poter affrontare in modo efficace la riqualificazione delle competenze dei dipendenti già inseriti in azienda.

Eppure la riqualificazione delle risorse è essenziale, sia per le imprese che per gli stessi dipendenti.

Se infatti più del 70% dei top manager italiani è convinto che, entro cinque anni, un ruolo su cinque all’interno della propria azienda cesserà di esistere, prepararsi al cambiamento attraverso corsi di formazione ad hoc è indispensabile.

Come ha sottolineato Silvia Vanini, Partner Deputy Career Leader Mercer Italia «in Italia la sfida per il capitale umano portata dall’industria 4.0 si incontra con le peculiarità del business model, caratterizzato da componenti ad elevata artigianalità, e del tessuto produttivo nazionale. A nostro parere, come per altri momenti di discontinuità, è proprio in queste fasi iniziali che si sta tracciando uno spartiacque tra le realtà più proattive e le altre, laddove solo le prime si stanno attrezzando per gli impatti organizzativi del cambiamento».

Tutto questo accade mentre i dipendenti, spinti soprattutto dai cosiddetti Millennials, sono alla ricerca di maggiore flessibilità, e quindi di maggiore controllo della propria vita, anche a livello professionale.

«Le nuove tecnologie stanno avendo un impatto importante anche sulla concezione stessa del capitale umano» spiega Carola Adami, Ceo e founder della società di ricerca e selezione di personale di Milano Adami & Associati, aggiungendo che «da una parte le imprese sono portate a cercare nuovi talenti in grado di portare concretamente l’innovazione in azienda mentre dall’altra le medesime realtà stanno iniziando a capire che il cambiamento d’ora in avanti sarà continuo, e che quindi l’immissione di nuove risorse è solo il primo passo per dare forma al futuro del proprio business».

«I Millenials, in linea generale, sono caratterizzati da un approccio disincantato al lavoro, riconoscendo una maggiore importanza alla vita privata rispetto a quella professionale» ha spiegato Adami «inoltre, per necessità o per scelta, sono inclini al Jop Hopping: si stima infatti che i Millenials trentenni abbiano cambiato in media il triplo delle aziende rispetto ai Baby boomers».

La richiesta di maggiore flessibilità è del resto generalizzata, tanto che il 96% dei top manager è convinto che offrire ai propri dipendenti una maggiore flessibilità sia una parte essenziale della value proposition aziendale. E certo non sbagliano nel cercare di offrire qualcosa in più ai loro talenti, soprattutto leggendo il dato per il quale il 34% dei dipendenti intervistati, pur essendo soddisfatti del proprio lavoro, manifestano comunque la volontà di lasciare l’azienda attuale, non percependo reali opportunità di carriera interna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricerca personale: ora le aziende vanno a caccia di letterati

Milano, 18 aprile 2018 – Data scientist, esperti di cyber security, direttori IT, store manager, account, senior consultant sono tra le professioni più ricercate in questi ultimi tempi, e di conseguenza le facoltà più quotate sono quelle di ingegneria, di informatica e di economia. Ma attenzione, poiché sarebbe sbagliato pensare che, per assicurarsi un lavoro sicuro e soddisfacente negli anni a venire, sia necessario rivolgersi alle sole competenze scientifiche e tecnologiche.

Gli esperti di ricerca e selezione del personale avvertono infatti che le aziende stanno allungando lo sguardo verso gli esperti di materie letterarie e umanistiche.

«Per anni le materie letterarie sono state bistrattate dal mondo del lavoro, anche e soprattutto come conseguenza diretta della crisi dell’editoria. Mentre oggi la sempre più sentita esigenza delle aziende di rafforzare la propria immagine sta dando nuova linfa agli studi umanistici» ha spiegato Carola Adami, fondatrice e CEO dell’agenzia di ricerca e selezione del personale Adami & Associati.

Alle spalle degli analisti e degli informatici, si affacciano dunque i letterati, pronti, se non per un sorpasso, almeno per un inaspettato affiancamento.

A confermarlo ci sono anche i risultati della ricercaIl lavoro in Italia nel 2027‘, firmata dall’Osservatorio ExpoTraning e basata sull’analisi delle opinioni di 500 manager delle aree IT e comunicazione di imprese piccole, medie e grandi. E se il 35% del campione non ha avuto dubbi nell’indicare gli esperti IT come i professionisti più ricercati dalle aziende nel prossimo futuro, il 24% dei manager ha invece puntato il dito in direzione dei laureati in lettere, in storia e in filosofia.

Difficile, per chi non si occupa di ricerca e selezione del personale, immaginare che tra 5 o 10 anni tra i professionisti più ricercati ci saranno dei laureati in lettere, eppure, stando alle esigenze delle aziende, non sembrano esserci dubbi.

«Le imprese hanno bisogno di professionisti della comunicazione, e quindi di profili con ottime competenze nel campo della scrittura e della creazione di contenuti per la rete. Parliamo di attività propriamente editoriali, ma anche di pubblicità, di pubbliche relazioni e di comunicazione interna» ha sottolineato l’head hunter Adami, aggiungendo che «per le aziende è e sarà sempre più cruciale poter contare su figure specifiche per creazione e la cura di contenuti online e offline».

Nei prossimi anni la domanda di comunicatori, di letterati e di giornalisti è dunque destinata a crescere, e con essa dovrebbero dunque aumentare anche le iscrizioni alle facoltà umanistiche, le quali da tempo registrano un costante trend negativo. È del resto certo che, per preparare dei professionisti in grado di soddisfare le esigenze delle aziende, la formazione umanistica deve evolversi, tendendo uno sguardo verso le nuove tecnologie e soprattutto verso le nuove necessità del mercato del lavoro.

Si parla dunque di copywriter, di addetti stampa, di social media manager, di community manager e di tante altre figure trasversali, le quali trovano e troveranno impiego in agenzie dedicate e nelle singole aziende, per occuparsi della comunicazione interna ed esterna.

Con la digitalizzazione tutte le aziende anche quelle che non hanno nulla a che fare con il settore della comunicazione, devono diventare almeno un po’ delle ‘media companies’, investendo nella comunicazione.

 

 

 

 

Lavoro: il 24% degli infartuati lo perde entro 12 mesi dal rientro

Milano, 9 gennaio 2018 – Un lavoratore infartuato su 4 abbandona il lavoro, volontariamente o meno, entro 12 mesi dal rientro in azienda. Recenti studi hanno dimostrato che, negli ultimi anni, l’età media delle persone colpite da infarto si sta via via abbassando: in base ad uno studio condotto su circa 4.000 pazienti dalla Cleveland Clinic, pubblicato sulla rivista New England Medicine, l’età media si è abbassata dai 64 ai 60 anni, con una casistica sempre più ampia al di sotto dei 50 anni.

Di certo sono molte le possibili conseguenze di questo cambiamento sulla vita degli individui. Basti pensare che nel nostro Paese muoiono decine di migliaia di persone ogni anno proprio per infarto miocardico acuto.

Gli infarti, fortunatamente, non sono però sempre letali: è stato dimostrato che la mortalità degli attacchi cardiaci acuti nel primo mese è compresa tra il 30 e il 50%.

Il fatto che l’età media degli infarti stia scendendo porta, tra le altre cose, anche ad un progressivo aumento degli infarti in età lavorativa.

«Un infarto segna profondamente la vita di un individuo, anche dal punto di vista professionale» spiega Carola Adami, fondatrice e Ceo della società di ricerca e selezione del personale di Milano Adami & Associati, aggiungendo che «in molti casi gli infartuati hanno delle concrete difficoltà a proseguire normalmente la propria carriera lavorativa.

Non è infatti raro incontrare persone che, ad un anno o due dall’infarto, sono state costrette a cambiare totalmente lavoro o, nel peggiore dei casi, a ritirarsi completamente».

E le parole dell’head hunter sono confermate da uno studio danese: stando ad un’indagine pubblicata su JACC e condotta da Laerke Smedegaard, della Herlev & Gentofte University di Hellerup su 22.394 infartuati, il 24% di essi finisce per abbandonare del tutto il lavoro entro il primo anno della ripresa lavorativa.

Un dato allarmante, soprattutto perché raccolto in uno dei dei migliori esempi di welfare state a livello internazionale. Pur non potendo contare su studi simili nel nostro Paese, infatti, sembra difficile poter fare di meglio.

Va infatti sottolineato che di norma gli studi sul rientro lavorativo degli infartuati si fermano ad esaminare la percentuale dei lavoratori i quali , dopo essere stati vittime di un infarto, rientravano regolarmente a lavoro. In questo caso, però, si è voluto allungare lo sguardo, osservando cosa succede nei primi 12 mesi dal rientro, ed è qui che esce il dato allarmante: 1 lavoratore infartuato su 4 abbandona il lavoro, volontariamente o meno.

Come ha sottolineato l’autore della ricerca Smedegaard, «il fatto di riuscire a mantenere il proprio posto di lavoro dopo un infarto è un fattore importante per la qualità di vita, per l’autostima e per la stabilità economica dell’infartuato».

Data l’ampiezza di questo fenomeno, in effetti, questa disoccupazione di ritorno andrebbe studiata maggiormente, andando ad analizzare nel dettaglio quali sono i motivi precisi che spingono queste persone ad allontanarsi dal proprio lavoro precedente e, in certi casi, ad allontanarsi dall’intero mercato del lavoro.

«Di certo questi dati devono farci riflettere: se ormai da anni si parla dell’accumulo di stress tipico di certe professioni come ulteriore fattore di rischio di infarto, ora dobbiamo iniziare a pensare non solo alle cause, ma anche agli effetti che un infarto può avere sulla vita professionale di una persona» ha sottolineato Carola Adami.

Non a caso lo stesso Smedegaard ha affermato che «la riabilitazione cardiaca successiva ad un infarto dovrebbe puntare anche ad aiutare i pazienti a mantenere le proprie capacità lavorative a lungo termine».

 

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