Milano, 22 dicembre 2017 – Le aziende italiane sono alla ricerca disperata di ‘futurologi’, una nuova figura professionale che non è un indovino, un oracolo, un economista e nemmeno un sociologo, ma allo stesso tempo tutte queste cose insieme.
Un professionista che non deve indovinare uno scenario, insomma, quanto piuttosto di prevederlo e di interpretarlo su basi scientifiche esatte.
In altri Paesi la situazione è diversa in quanto da anni, in numerose università, dalla Germania al Texas, passando per il Giappone, si tengono corsi di Future studies, così da preparare gli studenti con le esatte competenze e sensibilità per analizzare nel migliore dei modi i possibili scenari economici, culturali e sociali del futuro.
Come ha spiegato infatti al Financial Times il professor Erik Overland dell’Università di Berlino, «questa attività è quanto di più lontano dalla profezia».
Brian David Johnson, che attualmente insegna all’Università dell’Arizona, è stato tra i primi futurologi impiegati da Intel per capire non tanto le tecnologie del futuro, quanto invece i possibili impieghi da parte degli utenti.
«Quando sono stato assunto alla Intel, gli altri pensavano che il mio ruolo fosse un po’ strano» ha spiegato Johnson. Anche oggi, ovviamente, questa professione potrebbe generare qualche scetticismo negli ambienti meno innovativi, eppure va sottolineato che ci sono società come Shell e Rand Corporation che si affidano a futurologi già dagli anni sessanta e settanta.
«Anche in Italia le aziende iniziano a cercare dei professionisti in grado di prevedere gli scenari futuri, in modo da permettere alle amministrazioni di prendere delle decisioni ottimali sul lungo termine» spiega Carola Adami, head hunter della società milanese di ricerca e selezione del personale Adami & Associati.
«Sul piano internazionale, le prima compagnie ad approfittare regolarmente delle competenze del futurologo sono state Volkswagen, Hersheys e Capital One bank» ha spiegato Carola Adami «ma oggi, di fronte ad una crescente complessità dei mercati, questa esigenza è sentita da tutti i grandi brand, e non solo. Non deve dunque stupire che anche molte realtà italiane, pur chiamandoli spesso con nomi diversi, siano alla costante ricerca di futurologi, figure che però ad oggi latitano sul mercato del lavoro del nostro Paese».
Come anticipato, anche in Italia ci si sta muovendo in tal senso: le aziende hanno capito quanto possa essere cruciale analizzare gli scenari futuri, e il mondo accademico sta cercando di rispondere a questa domanda delle imprese con la creazione di corsi ad hoc.
L’Università di Trento, per esempio, ha recentemente avviato un Master di secondo livello in ‘Previsione Sociale’, indirizzato non a studenti in cerca del primo lavoro quanto invece a professionisti già inseriti in azienda.
«Le aziende che hanno investito sui futurologi negli anni passati continuano a farlo con crescente convinzione, e questa è di certo la miglior prova a sostegno di questa particolare professione» ha spiegato Carola Adami.
Insomma, il nome e la mansione stessa del ‘futurologo’ potranno forse evocare scenari fantascientifici, ma in realtà si sta pur sempre parlando di numeri concreti, di pianificazione e di profitto.
«Le imprese più innovative sono dunque alla ricerca di professionisti in grado di analizzare in maniera critica il futuro: non si tratta di immaginare quali saranno le nuove tecnologie, i nuovi prodotti o le nuove tendenze, quanto invece di capire quali saranno i comportamenti delle persone di fronte a determinate tecnologie da sfruttare ulteriormente».
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