Terremoto centro Italia: “Burocrazia lenta e cinica. Bisogna ricostruire i paesi per ricostruire le vite”

Amatrice, 29 maggio 2018 – “La burocrazia italiana non può arrogarsi il diritto di decidere con lentezza sulla vita delle persone, e nessuno può rimanere indietro. Le macerie non possono diventare il paesaggio del futuro di un’Italia che per bellezza e arte non ha rivali al mondo”. A dichiararlo la scrittrice Barbara Appiano, a conclusione della sua visita nelle zone terremotate del centro Italia.

A partire da Saletta, frazione di Amatrice, accoglienza, coralità e fratellanza hanno accolto la scrittrice nei luoghi sofferenti, che ha incontrato tanta gente semplice e determinata a ricostruire la propria vita, ancora prima della propria casa andata in briciole nella notte del 26 agosto 2016.

Tante le storie raccolte dalla scrittrice.

Come quella di Giuseppe, 70 anni, che non coltiva più l’orto perché bloccato in una depressione post terremoto che gli impedisce di vivere nel presente. Narra il suo dolore, di quando aveva l’orto e le galline e della sua vita tranquilla e semplice fatta di affetti e abitudini che gli sono stati tolti con violenza dalla Natura.

Poi c’è Antonia, 65 anni, che ha narrato con lucidità la sua esperienza. Sepolta per più di otto ore sotto le macerie di casa sua insieme a Liliana pensava di essere morta, mentre era viva e sentiva gridare il suo nome e le voci degli amici e dei famigliari che la cercavano.
Antonia ha subìto 18 interventi chirurgici per poter ritornare o almeno provare a vivere come viveva prima del terremoto, dato che il bacino e varie fratture l’hanno costretta ad intermittenza a cure ospedaliere e ricoveri per un periodo di circa 8 mesi, ma nonostante tutto rimane spigliata, concreta e positiva.

Poi c’è la storia di Marisa, romana, titolare di una lavanderia che a Saletta ha perduto i genitori anziani nella notte maledetta del terremoto, ma che ha fatto in tempo a ricostruire i rapporti allentati con mamma e papà.

Una comunità piccolissima quella di Saletta, che ha l’orgoglio di esistere e non vuole essere dimenticata.

Il comitato ‘Ricostruiamo Saletta’, rappresentato da Andrea Ciucci vicepresidente, ha accolto Barbara Appiano con generosità nei luoghi della sofferenza, illustrando le finalità del comitato che è quello di conservare la memoria di coloro che sono morti nella notte del 26 agosto 2016, attraverso iniziative sociali e di aggregazione. Oltre quello di evitare lo spopolamento di queste terre bellissime, portatrici di valori universali, quali la dignità e la fratellanza, e dove l’agricoltura e l’allevamento sono le fonti dell’economia.

Il comitato ‘Ricostruiamo Saletta‘ (www.ricostruiamosaletta.org) ha raccolto finora circa 58.000 euro con i quali è stata costruita una piccola e accogliente chiesetta per le funzioni eucaristiche tenute dai frati dell’ordine di Padre Pio, che si alternano al sabato per officiare la messa.

Immense le montagne di macerie che potrebbero essere degli Appennini in miniatura.

“Sarebbe interessante portare questo campionario di distruzione davanti ai palazzi del potere per creare con queste macerie e detriti di ogni foggia, un vero e proprio Monumento ai Caduti” ci racconta Barbara Appiano.

Masserizie, valigie aperte, televisori a gambe all’aria, una parabolica che penzola da un balcone divelto e ancora una coperta all’uncinetto che spunta fra una tavolo ancora apparecchiato appollaiato su un solaio spaccato in due. Ovunque materassi che sbucano dai detriti come se volessero stare a galla nel mare delle macerie che tutto ingoia, una visione da fine del mondo , dove il mondo vuole ricominciare a vivere.

Passando dalla Via Salaria per arrivare a questi luoghi è la visione di quello che un tempo è stata Pescara del Tronto a gettare inquietudine, un paese costruito sul tufo che non potrà più essere ricostruito perché il terreno potrebbe sprofondare.
Pescara del Tronto non esisterà più quindi, se non nella memoria dei sopravvissuti che vivono ora dalla parte opposta della Via Salaria, in casette prefabbricate, di fronte alla collina che ospitava il loro paese ora diventato un cumulo di macerie.

Macerie custodi di tante storie e vite, salite alla ribalta per mano della natura. Voci di un mondo che non vuole sprofondare e che reclama un posto dove stare.

Come il ristorante pizzeria “La Lanterna”, realtà imprenditoriale che sopravvive al terremoto traslocando ad Amatrice in un area che si chiama “Area Food”, che raccoglie tutti i ristoratori che prima del 26 agosto 2016 erano nel centro storico di Amatrice.

L’aggregazione dei ristoratori, che per spirito di sopravvivenza sono raccolti in un’unica area, in una recinzione senza recinto in cui ad identificarli è la comunanza del terremoto.

“Ad Amatrice non vi è più l’ospedale, ormai scomparso. Al suo posto un enorme cratere, in attesa di essere riempito da altro ospedale fintanto che la burocrazia faccia il suo corso e impari a correre come un ghepardo e non come una lumaca” racconta ancora l’autrice.

Il nuovo ospedale pare sarà ricostruito su promessa della cancelliera Angela Merkel, sperando che almeno la teutonica cancelliera non venga anche lei paralizzata dalla burocrazia lumaca, categoria prettamente italica.

Nel frattempo tutto scorre in modo lento, precario e provvisorio. Tante le vite provvisorie che di definitivo non hanno nulla e che per passatempo guardano dall’alto del dolore e del ricordo le macerie, diventate compagne inseparabili di questa gente che nelle macerie vede il mondo che non c’e’ più e che fatica a vederne uno nuovo.

Saletta, Amatrice, Accumoli, Rocchetta, Torrita (in quest’ultima frazione è stata ospite la scrittrice presso l’agreste fattoria Santarelli) sono dei punti su una cartina geografica che non vogliono essere cancellati.

Per questo occorre sbloccare presto i fondi i raccolti, nell’ordine di diverse decine di milioni, raccolti dai generosi italiani a colpi di sms e ancora fermi e inutilizzati a causa della burocrazia lumaca italiana.

La burocrazia italica non può arrogarsi il diritto di decidere con lentezza e far aspettare, nessuno può rimanere indietro. Le macerie non possono diventare il paesaggio del futuro di un’Italia che per bellezza e arte non ha rivali al mondo.
Un simbolo dell’imprevedibilità della natura e della lentezza dell’uomo che racconto anche in ‘Città senza semafori e case con le ruote‘, il mio secondo romanzo” racconta ancora Barbara Appiano.

Catastrofi, ingorghi esistenziali, decreti e lentezze, chi paga è sempre colui che non ha più nulla e che per legge non può rientrare in casa propria anche se questa non è crollata, obbligato a guardarla da un container, vedendo la sua vita sbriciolarsi come le case condannate dalla forza della natura a diventare ormai solo un ricordo.

Saletta è una comunità ben organizzata, al pari di NewYork, Parigi o Venezia, tranne che per posizione e dimensione. Grazie al suo comitato c’è la voglia di vincere scommettendo sul futuro: anche se piccola, sconosciuta e decimata dei suoi abitanti vuole vivere delle sue tradizioni, che non possono essere ingoiate da un terremoto.

Saletta è l’orgoglio stesso di essere italiani, portatori sani di bellezza e arte di cui l’Italia detiene come un museo a cielo aperto il 70% dei beni del pianeta.

Ora vi è necessità di un centro polifunzionale che possa accogliere anche un ambulatorio medico e un parco giochi per bambini e chi volesse contribuire può farlo consultando il sito internet Ricostruiamosaletta.org.

A discapito delle sue dimensioni Saletta è il mondo che non vuole essere ingoiato dalla memoria collettiva, che diventa sempre più corta fino a scomparire.

Sul treno del ritorno, sull’onda emotiva di sguardi che non potrò mai dimenticare ho scritto un nuovo libro ‘Tutto in una vita, tutto in un minuto’.

Altre macerie diventate dei campanili senza orologi mi aspettano ancora a giugno per continuare la mia esperienza di libera pensatrice e portatrice sana di empatia, un ruolo socialmente utile, senza scadenza contrattuale. Altri tour mi aspettano, in giro per l’Italia delle discariche e delle fabbriche killer. Attrazione fatale e sete di verità: la mia scrittura non può vivere senza” conclude la scrittrice.