Donne maltrattate, concerto di ChiaraBlue a favore di CADMI

Concerto a favore di CADMI, Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate, di ChiaraBlue. La cantautrice finalista al Premio Bindi 2020 si racconterà a Claudio Guerrini attraverso musica, parole ed emozioni, lunedì 29 giugno dalle 22 in diretta streaming su Facebook

Milano, 25 giugno 2020 – A pochi mesi dall’uscita del suo primo singolo Dinosauri,  ChiaraBlue si esibirà in concerto lunedì 29 giugno dalle ore 22 in diretta streaming su Facebook dalla Salumeria dello Sport di Milano, accompagnata da Matteo Iarlori alla chitarra classica e Francesco Carcano al contrabbasso.

Il concerto, presentato da Claudio Guerrini, conduttore radiotelevisivo in onda su RDS e dall’8 luglio su La5  alla conduzione del programma “Una nuova vita”, e scrittore di “C’era una (prima) volta”, il suo primo libro presentato in occasione dell’ultimo Festival di Sanremo, sarà l’occasione per raccogliere fondi a sostegno dei progetti CADMI, La Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate di Milano, il primo Centro Antiviolenza nato in Italia nel 1986 che rappresenta il punto di riferimento per le donne che subiscono violenza, sia essa fisica, psicologica, sessuale, economica o stalking.

“Sono una donna cresciuta ed educata da donne, ma che vive in una società ancora profondamente patriarcale; il tema femminile e del femminile ricorre nella mia produzione e nella mia vita da sempre, credo fortemente che il mio mestiere sia fatto di narrazioni che possono davvero cambiare l’anima e le azioni delle persone, se narrate con onestà e amore.

É necessario l’impegno di tutti per poter cambiare radicalmente questa società, che ha ancora tanto da cambiare, e io vorrei dare il mio contributo”. È questo il motivo che ha spinto ChiaraBlue a dedicare la serata alla Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate di Milano, una serata non solo musicale, ma anche una narrazione della crescita personale e artistica della cantautrice originaria di Rieti che, intervistata da Guerrini, racconterà le emozioni, i sentimenti e i momenti vissuti che l’hanno portata a scrivere le sue canzoni.

Raffinata e passionale, scrive canzoni sui tortuosi percorsi dell’animo umano, con la convinzione che l’arte abbia la capacità di trasformare tutte le emozioni, anche quelle negative, in bellezza.

Lo scorso ottobre ChiaraBlue ha partecipato al Premio Bianca D’Aponte 2019, unico premio italiano riservato alle cantautrici donne, aggiudicandosi la produzione artistica di Ferruccio Spinetti per la realizzazione di un singolo e una collaborazione artistica con Mariella Nava e la sua etichetta “Suoni dall’Italia”, mentre quest’anno è tra i finalisti della sedicesima edizione del Premio Bindi 2020, prestigioso festival della musica d’autore che si terrà a settembre e che assegna l’ambita targa a cantautori o gruppi musicali che scrivono i propri brani.

Il concerto si svolgerà in diretta Facebook al seguente link: https://www.facebook.com/events/192708225457085?active_tab=about

Le donazioni saranno raccolte al seguente link: https://paypal.me/pools/c/8qhXVhsHcX

 

 

 

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Per interviste e contatti:

PRESS OFFICE & P.R.

Paola Dongu | PD&Associati

paola.dongu@pdassociati.com

Mob. +39 348 2595888

 

Arte: per Nathalie Serero le donne devono sentirsi tutte Regine

Roma, 6 marzo 2020 – Ogni donna oggi dovrebbe indossare una corona reale, perché se la merita. È questo il pensiero ricorrente dell’artista pop Nathalie Serero, che “veste” sul capo delle sue donne delle splendide corone, raffigurandole come Regine. Un’arte diventata famosa come “Pop Art Coronata”.

Le donne hanno da sempre un ruolo principale nella vita degli esseri umani: astronaute, scienziate, calciatrici, regine, biologhe, o semplicemente mamme. Da sempre sono il vero plusvalore della nostra società.

“La festa della donna si festeggia per ricordare le conquiste sociali, economiche e politiche, ma anche per ricordare le violenze e le discriminazioni che le donne si trovano a dover vivere sulla propria pelle. Per questo si regalano le mimose, perchè sono il simbolo di forza e femminilità” dice la pop artist Nathalie Serero.

Pop Art, o arte popolare, nata in America grazie al genio di Andy Warhol, per poi svilupparsi in Italia con gli artisti facenti parte della “Scuola di Piazza del Popolo”, come Mario Schifano, Franco Angeli, Tano Festa, Giosetta Fioroni ecc.

Fino ad arrivare ad oggi, alle opere Pop di Nathalie Serero, che attraverso l’uso di resine, perle, gioielli, rubini, zaffiri, pailettes, crea delle splendide corone da far indossare alle donne.

Ed ecco da qui Marilyn Monroe, Audrey Hepburn, Frida Kahlo, Brigitte Bardot, Coco Chanel e Afrodite, vedersi trasformate in vere Regine, grazie a corone scintillanti.

“In fondo l’arte nasce per regalare sogni a tutti, comprese le donne, soprattutto quelle che si sentono depresse, maltrattate, insoddisfatte, e che sono impaurite nei confronti della nostra stessa società. Da qui la mia idea di far sentire ognuna una Regina, e non solo il giorno dell’8 di marzo”, conclude l’artista.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sgarbi e il suo tributo critico a Matteo Fieno, l’artista delle donne

Secondo Vittorio Sgarbi “Fieno ha assorbito tutte le varianti espressive del post impressionismo succedutesi fra Gauguin, Cezanne, Matisse, Lautrec fino a Marlene Dumas”

Torino, 14 gennaio 2020 – Ancora una volta Vittorio Sgarbi, uno dei più noti critici d’arte italiana, uno dei più attenti osservatori di ciò che la contemporaneità artistica produce, si trova a sigillare con una personale nota critica, la pittura di Matteo Fieno, artista delle donne.

Sgarbi celebra a suo modo l’artista piemontese, regalando pensieri e suggestioni che diventano un tributo ancora prima che all’arte, alle donne stesse.

Non è la prima volta che il Prof.Sgarbi incontra Fieno: dalla selezione alla Pro Biennale, al premio Caravaggio fino alla Biennale Milano, il percorso artistico dell’artista delle donne ha già avuto modo di incrociare lo sguardo attento del critico ferrarese.

E non a caso le parole di Sgarbi sono quelle di un profondo conoscitore dell’arte di Fieno e dell’artista stesso.

Nella pittura di Fieno “c’è che quel forte bisogno di indispensabilità, di  non gratuito” che Sgarbi riconosce essere una cifra esistenziale del pittore al di là di ciò che trova espressione, o meglio “impressione” nelle sue tele.

E già, impressione. Perché è lo stesso Sgarbi a sottolinearlo, in Fieno ricorre “l’ impressione” nel raffigurare la donna in una certa maniera, in relazione alla circostanza ambientale entro cui agisce. Donne che però ci tiene a precisare Sgarbi, “non vivono di sola dimensione fisica, tanto che la carnalità non è mai straboccante anche quando le fattezze sono morbide e tondeggianti”.

E non è mai cliché. Anzi. Piuttosto che un tributo all’ideale dell“eterno femminino” secondo Sgarbi, Fieno privilegia un’immagine più vicina e reale ritraendo donne che sono con ogni evidenza donne  spiccatamente moderne, figlie dell’era industriale. E anche in questo, si riconosce l’amore per la bellezza e il mistero unico delle donne che ha fin qui caratterizzato i quadri del “pittore delle donne”.

E c’è un tema che il critico d’arte vuole affermare assieme agli altri. Quella di Fieno è arte pura, capace di essere un linguaggio mai univoco nella lettura che se ne può dare al punto che, a proposito delle didascalie con le quali il pittore è solito accompagnare le sue opere, appare sorprendente rendersi conto di quanto quegli spunti e quegli intenti possano essere ininfluenti ai fini della nostra percezione delle opere.

E di questo scambio reciproco di sensazioni e immagini, Sgarbi ne è fortemente convinto, tanto che, pur riconoscendo a Fieno la capacità di rappresentare la donna come poche artiste saprebbero fare, riconosce anche che quelle donne diventano “le nostre donne”, di chi le guarda.

Sarà perché le pose delle donne di Fieno sono pose ordinarie capaci di donare agli occhi molto più di quanto si creda, perché “meno materia pittorica differenziata si offre alla vista più si è liberi”. Liberi di intrecciare le proprie esistenze, le proprie esperienze con quelle delle donne che si hanno davanti. Liberi di immaginare e di concentrarsi in modo esclusivo sulle donne.

E in tutto questo, nella sua pittura, nel suo modo unico di dare vita alla donna sulle proprie tele, Fieno esprime non solo un gesto artistico – apparentemente tanto semplice quanto in realtà potente – ma anche un gesto di generosità estrema: avere avuto l’esperienza di essere espropriati delle proprie invenzioni mediante la soggettività altrui che, in poche parole, spiega Sgarbi, significa “essere riusciti ad aprirsi alle menti e agli occhi degli altri invece di tenerle relegate entro i confini ristretti del proprio io”.

Ed è in questa trasposizione di ruoli che l’esperienza artistica accomuna il pittore e i suoi interpreti, per raggiungere un momento in cui quelle donne sembrano essere nate addirittura dalla mano di chi guarda, spogliando il pittore del suo ruolo di semplice autore, per farlo diventare una parte della sua stessa arte.

La critica del Prof. Vittorio Sgarbi a Matteo Fieno, “il pittore delle donne”

 

Colony
Ballett Soldier, in mostra alla Biennale Milano
Nugnes, Sgarbi e Fieno

Studio: cosa succede alla nostra autostima prima e dopo il divorzio

Roma, 16 dicembre 2019 – Come si può intuire è praticamente impossibile prevedere con precisione come ci sentiremo dopo un evento inaspettato e che cambierà la nostra vita. Spesso, per provare ad immaginarne le conseguenze, è più facile guardare cosa è successo ad altri che hanno vissuto esperienze simili.

Una nuova ricerca che appare nel Journal of Personality ha cercato però di fare esattamente questo, ovvero comprendere cosa succede alla nostra autostima prima e dopo il divorzio.

Il team di ricercatori guidato da Wiebke Bleidorndell’Università della California si è posto questa domanda: il divorzio può essere un antidoto ad un matrimonio triste e infelice?

L’equipe ha così studiato i cambiamenti nell’autostima di un gruppo di persone, sia prima che dopo il momento del divorzio, così da evidenziare quali fattori possono influenzare l’autostima durante questo periodo così delicato.

Le informazioni per effettuare la ricerca sono state raccolte esaminando il Longitudinal Internet Studies for the Social Sciences. Chiamato anche con l’acronimo LISS, ed effettuato tra il 2008 ed il 2018, quest’ultimo è un’enorme banca dati nazionale su svariati argomenti riguardanti gli adulti olandesi.

Il team di Bleidorn si è concentrato sui dati riguardanti il calo dell’autostima rispetto allo stato civile, per confrontare i cambiamenti dovuti ad un divorzio. Con l’ausilio di questi dati, la ricerca ha potuto analizzare e monitorare i livelli di autostima degli adulti olandesi fino a 10 anni prima e dopo che era accaduto l’episodio di divorzio dal coniuge.

I risultati della ricerca californiana hanno dimostrato che l’autostima ha un calo più marcato durante la fase che precede la separazione vera e propria, per poi bloccarsi durante il periodo del divorzio.

Labuona notizia è che successivamente l’autostima torna a crescere in modo lento ma continuo durante gli anni post-divorzio.

La ricerca ha fatto luce su una particolarità: le esperienze sociali influiscono sul ritorno dell’autostima dopo un divorzio. Ciò accade perché l’essere umano pone negli aspetti sociali una grande importanza, e quest’ultimi possono influire se si è circondati da persone che giudicano negativamente la scelta presa.

In questo caso, lo studio, ha notato che le persone facenti parte di una comunità religiosa, hanno vissuto un calo più deciso dell’autostima, sia nei mesi pre-divorzio, sia in quelli post-divorzio.
Ciò, secondo Wiebke Bleidorn e i suoi ricercatori, è indicativo di come la società riesca a plasmare i sentimenti e le emozioni delle persone; in questo caso la comunità religiosa, giudica spesso inappropriatamente un divorzio, e chi si ritrova a farne parte vive male entrambe le situazioni.

Un’altra scoperta interessante, vede le persone con un più alto livello di attenzione e diligenza, mostrare un recupero più immediato dell’autostima ed in generale dei livelli più alti rispetto agli altri adulti confrontati nei dati.

I risultati hanno portato in evidenza che aspetti, che prima si dava per scontato che influissero sulle emozioni e sulla fiducia in se stessi, come la durata del matrimonio o la presenza di un nucleo familiare composto da figli, non influenzino in nessun modo l’andamento del grafico dell’autostima.

“Ogni separazione è più o meno traumatica e porta dietro di se delle conseguenze che solo chi la vive può immaginare o conoscere. L’insicurezza inizialmente la fa da padrone, ma lo studio dei ricercatori californiani denota come l’autostima torni, anche se con un processo difficile e lento.

Questi risultati mostrano che il divorzio, in molti casi, può agire da antidoto che allevia la tensione, liberando i coniugi dallo stress e dalla sofferenza di un matrimonio infelice, contrastando il processo decrescente dell’autostima” spiegano gli esperti del portale PsicologiOnline.net.

“Divorziare può aprire anche a nuove possibilità, oltre che rinnovare fiducia in se stessi; si possono investire le proprie energie in nuovi progetti di vita, avere più tempo per altre relazioni significative con la famiglia o gli amici; quelle che magari si sono trascurate per via del matrimonio con una persona con cui non si stava più bene. Proprio queste relazioni ritrovate, o inaspettati rapporti con nuovi partner possono diventare un grande sostegno per riprendere fiducia in noi stessi”, concludono gli esperti di PsicologiOnline.net.

Tuttavia, gli autori della ricerca ci mettono in guardia e consigliano di non considerare il divorzio come una panacea.

La ricerca sottolinea che l’autostima, comunque, non torna così rapidamente dopo il momento della separazione, e anche crescendo inizialmente, torna ai livelli del periodo pre-divorzio.

Madri lavoratrici, la situazione non migliora: il caso di Bologna

Milano, 10 dicembre 2019 – L’allora ministra della giustizia francese Rachida Dati aveva dato scalpore quando, nel 2009, decise di riprendere in pieno le sue attività ministeriali a soli 5 giorni dal parto. La politica, che ora si sta preparando per correre alla carica di sindaco di Parigi nel 2020, aveva attirato parecchie critiche, non avendo lanciato un messaggio positivo alle donne lavoratrici. Tra i detrattori non mancarono ovviamente i pediatri e i neonatologi, che da sempre sottolineano l’importanza di instaurare un rapporto forte durante le prime settimane di vita del bambino.

Il tema del ritorno al lavoro dopo la gravidanza e il parto, peraltro, è sempre terreno di scontro, soprattutto in Italia, dove il tasso medio di occupazione femminile è del 48%, con solo 2 punti percentuali in più rispetto al 2006. E anzi, sembra che in alcuni casi la situazione non stia affatto migliorando, quanto invece peggiorando.

A Bologna, per esempio, il numero delle donne che si dimette volontariamente dal posto di lavoro sta aumentando in modo marcato. A certificarlo è la relazione annuale dell’Ispettorato del Lavoro, secondo il quale si è passati dalle 700 dimissioni del 2014 alle 1.300 del 2018, con un trend in costante crescita.

Una situazione che conferma, come ha commentato Giuseppina Morolli di Uil Emilia Romagna, che «non abbiamo fatto passi in avanti, anzi, stiamo tornando indietro».

E questo pur di fronte alle timide novità a sostegno della maternità, come lo sconto sulla Tari in relazione al numero dei figli, la riduzione delle tasse scolastiche e il taglio delle rette dei nidi, tutte normative comunali per sostenere prima di tutto le madri lavoratrici. Eppure il trend lascia solo un’interpretazione: nei primi 10 mesi dell’anno a Bologna hanno dato le dimissioni 1.296 persone, con le donne a presentare un numero doppio rispetto agli uomini (872 contro 424). Il motivo principale che spinge un terzo delle donne a lasciare il lavoro è la difficoltà nel conciliare la cura del figlio con l’impegno a lavoro.

«La maternità continua a essere il principale motivo di abbandono del lavoro in Italia da parte delle donne» spiega Carola Adami, amministratore delegato della società di head hunting Adami & Associati, «e questo accade nonostante le agevolazioni previste per le mamme che tornano al lavoro al termine della maternità. Non si può dimenticare, per fare solo un esempio, che il datore di lavoro non può in nessun caso licenziare una madre fino al compimento del primo anno di età del bambino.

Serve però un cambio di mentalità» aggiunge Adami «poiché le aziende devono essere in grado di sostenere in modo adeguato le lavoratrici madri. Questo sta già accadendo in alcune grandi realtà italiane e internazionali, le quali, per poter conservare i propri talenti anche di fronte alla maternità, stanno impostando delle nuove politiche interne per non lasciare da sole le madri al rientro in azienda, accompagnandole e sostenendole in questo passaggio delicato».

 

 

 

Le donne e il lavoro: il tentativo di conciliare l’inconciliabile

Roma, 21 novembre 2019 – La situazione è nota: l’Italia vanta uno dei livelli più bassi di occupazione femminile a livello europeo. Stando a una ricerca della Fondazione Openpolis, il nostro Paese è al penultimo posto in UE, appena prima della Grecia: se nell’Unione Europea si riscontra mediamente una media del 66,5% di donne occupate tra i 32 e i 64 anni, in Italia ci si ferma appena al 52,5%. E i risultati peggiorano, come prevedibile, se si confrontano unicamente i dati di uomini e donne con figli.

Le ragioni sono molteplici, a partire dalla mancanza di un sostegno concreto per le madri che lavorano, fino ad arrivare ai tanti ostacoli che si frappongono di fronte alle donne che desiderano accedere a settori come quello scientifico e quello tecnologico.

Un sondaggio Lexis ci dice che solamente il 5% delle donne si sente realizzata a livello professionale, di fronte al 38% delle intervistate che, come obiettivo principale, ha proprio la realizzazione professionale. Eppure il 51% si dichiara convinta del fatto che la parità tra i sessi sia stata più o meno raggiunta: a mancare, in ogni caso, sembra essere la fiducia in sé stesse (la pensa così il 95% delle intervistate), nonché, per il 97% delle donne, la capacità di rivendicare l’equal pay.

«Senza ombra di dubbio quella dell’occupazione femminile è una questione che chiama in causa tanti temi diversi, dal welfare ai retaggi culturali, fino ad arrivare agli ancora presenti stereotipi di genere» spiega Carola Adami, amministratore delegato della società di head hunting Adami & Associati.

«Di fronte ai dati scoraggianti relativi all’occupazione femminile in Italia va però sottolineata la presenza di un numero crescente di aziende che si stanno finalmente rendendo conto dell’importanza di avere donne anche e soprattutto in posizioni manageriali. Si pensi per esempio alle sfide dell’Industria 4.0: le donne vantano soft skills come capacità di ascolto e intuizione che risultano indispensabili per il nuovo stile di leadership».

I dati dimostrano però che il problema principale resta. Certo, una ricerca Eurispes dichiara che il 70% dei nuovi padri considera la crescita dei figli e il loro accudimento un’attività da dividere in modo uguale.

Eppure, nella realtà, il peso di gestire la famiglia grava ancora soprattutto sulle donne. E tutto questo si traduce in minori possibilità di carriera, in una riduzione del salario e via dicendo.

Ed è così che, ancora una volta, per tantissime donne, la realizzazione sul piano professionale si traduce in grandi sacrifici sul piano familiare, e viceversa.

 

 

In Italia 1 donna su 2 non si piace: ma in realtà la bellezza è solo soggettiva

Uno studio rivela che solo 1 donna su 2 si sente bella, ma la realtà è che la bellezza è solo una questione di scelte…
Milano, 11 novembre 2019 – La bellezza? È solo una questione soggettiva. Il corpo perfetto non esiste, così come il viso perfetto. L’idea stessa di perfezione è illusoria e per lo più soggettiva, e l’idea di bellezza cambia anche a seconda del contesto in cui viviamo, la nostra istruzione e il paese di appartenenza.
A definire il concetto di bellezza delle persone nei vari angoli del mondo una ricerca commissionata dalla Superdrug Online Doctors, nel Regno Unito.

La ricerca ha studiato la percezione della perfezione mostrando l’aspetto di una stessa donna e di come viene vista attraverso 18 immagini realizzate con il programma di fotoritocco Photoshop.

Per questo lavoro l’azienda ha commissionato a 18 designers provenienti da differenti paesi del mondo di rielaborare immagini in modo tale da renderla il più vicina possibile agli standard di bellezza del loro paese di provenienza.

Il risultato di questo esperimento evidenzia come per ogni paese il concetto di bellezza ideale sia estremamente differente per colore dei capelli, colore degli occhi, misure seno – vita – fianchi, addirittura per acconciatura e scelta di scarpe o manicure.

Un’ulteriore sorpresa è stata quella di scoprire che i due paesi con l’ideale di bellezza più lontano dall’originale sono la Cina e l’Italia.

Ecco spiegata l’insoddisfazione generale.

Analizzando poi un campione di donne tra i 16 e i 60 anni, si è visto che quasi 1 su 2 non si piace.

Da qui la nascita di corsi e seminari per diventare e sentirsi più belli.

Lo scorso 19 ottobre al Liceo Scientifico Leonardo Da Vinci di Milano ad esempio la fashion stylist comasca Monica Gabetta Tosetti ha tenuto una lezione su come essere belle.

“Da quando ha preso corpo il mio Programma BB ed ha aperto la BB Clinique, mi capita spesso di incontrare donne bellissime che non si piacciono affatto. E spesso mi viene chiesto come fare a diventare belle” racconta Monica Gabetta Tosetti, consulente di moda e bellezza.

Quello che viene sottovalutato è quanto questo non accettare la propria immagine, possa avere un effetto negativo sul nostro essere più o meno attraenti.

La comunicazione avviene pressoché nell’area degli occhi: l’essere umano impiega circa 7 secondi per farsi un’opinione sulla persona che abbiamo davanti.

In questo tempo brevissimo il nostro cervello elabora molte informazioni, dalle quali risulta il giudizio positivo o negativo che gli altri si fanno di noi.

Ecco allora 5 trucchi di Monica Gabetta Tosetti per essere, sentirsi e apparire belle:

1) Sorridi. Prima di investire ingenti somme in costosissimi trattamenti estetici, ricordati di sorridere. Un atteggiamento positivo e rilassato ti renderà immediatamente più attraente. Se poi avrai l’accortezza di sottolineare il tuo bellissimo sorriso con un rossetto o un gloss, ancora meglio!

2) Cura il tuo aspetto. Belli sì nasce, ma curati si diventa. Quando guardiamo una persona vestita con cura, profumata con scarpe lucide ed con una chioma in ordine, proviamo immediatamente un senso di ammirazione e di fiducia. Affidereste il vostro patrimonio ad uno che si presenta disordinato e sgualcito? Ecco qui è la stessa cosa! Come possiamo pensare che uno si possa prendere cura di noi (quindi poi amare), se non è neanche in grado di prendersi cura di se stesso?!

3) Energia. Le persone più attraenti sono quelle che vivono con passione, cioè hanno una direzione, degli obiettivi, degli interessi, degli ottimi e straordinari motivi per alzarsi dal letto tutte le mattine. Può sembrare banale ma non puoi essere una persona interessante se non hai degli interessi! Parlando di seduzione e di relazioni d’amore, la passione è contagiosa, è energia vitale, gli altri la colgono subito, è ciò che ti rende attraente, se la sviluppi ti rende una calamita. E’ quella fiamma negli occhi che illumina lo sguardo, che fa vibrare il corpo.

4) Colore. I colori rappresentano un elemento vitale capace di suscitare reazioni psicofisiche primordiali, inconsce e collettive, in grado di modificare lo stato d’animo. Per questo motivo è importante ricordarsi di scegliere outfit colorati: i colori, sono musica e come questa possono essere classici, romantici, jazz, rock, e raccontarci l’energia delle persone e del mondo, le loro cadute e le loro rinascite. Possono essere sensuali e parlarci di attrazione fisica o cupi e freddi ed evocare lutto e inviolabilità.

5) Esci dalla tua zona di comfort. Questa è la zona dove ci sentiamo tranquilli e al sicuro. Tendiamo a fare le stesse scelte e a non cambiare nulla, nella nostra vita ma anche nel nostro abbigliamento. Questo atteggiamento che all’inizio ci protegge dallo stress e ci fa sentire sicuri, a lungo andare può trasformarsi in una prigione dorata dalla quale non riusciamo ad uscire. Non riuscire più a modificare il proprio abbigliamento, a provare qualcosa di nuovo, nasconde un problema più profondo di quello che si vede in superficie. Nasconde la difficoltà all’adattamento, alla capacità di mettersi in gioco e che cos’è l’amore se non un gioco meraviglioso?!

Per questi e altri consigli vi suggeriamo di seguire il blog di Monica all’indirizzo www.monicagabettatosetti.it.

 

Monica Gabetta Tosetti, fashion e beauty stylist

Violenza sulle donne: arriva lo spettacolo teatrale online su www.tiamodamorirne.com

Roma, 13 settembre 2019 – È uno spettacolo di teatro originale che parla della violenza sulle donne, sui loro figli e sull’indifferenza che le circonda, ed è disponibile online sul portale  www.tiamodamorirne.com. Una scelta, quella di diffondere lo spettacolo online, tradotto in ben quattro lingue, che nasce dall’esigenza di far arrivare il messaggio contro la violenza sulle donne in tutto il mondo.

Lo spettacolo si basa sui ricordi giovanili dell’autrice e attrice che porta sul web una storia dolorosa, vissuta sulla propria pelle, che possa far parlare e riflettere.

Un omaggio alle tante donne vittime di violenza domestica, con una particolarità: a raccontare al pubblico come sono andate realmente le cose e come si è arrivati all’epilogo finale, è la stessa vittima, che individua negli spettatori i tanti che assistono di solito a questi episodi devastanti arrogandosi il diritto di sapere tutto e che si disperano sempre tardi per non essere potuti intervenire prima.

Un grido al mondo perché non si può assistere silenti quando le vittime sono in vita e piangerle disperatamente quando non c’è più nulla da fare.

Quando restiamo in silenzio siamo tutti complici, sembra dire la protagonista, quando, rivolgendosi al pubblico, si chiede chi siano e dove sono stati fino a quel momento.

L’esperienza personale narrata, porta inoltre ad una attenzione particolare verso i ragazzi, oggi sempre più vittime e non solo spettatori, tanto da dedicare a loro una video-lettera al termine della pièce.

Inoltre lo spettacolo italiano è sottotitolato per consentirne la fruizione anche ai non udenti.

L’esigenza di creare un sito web nasce dall’impossibilità, sempre più marcata, di poter recitare “dal vivo” che è l’essenza stessa del Teatro, ma anche dal desiderio di poter arrivare ovunque e raccogliere fondi per le associazioni, che si trovano descritte al momento della richiesta di visualizzazione e che hanno deciso di appoggiare questo progetto unico nel suo genere.

Per assistere allo spettacolo, e contribuire alle associazioni che lo sostengono, basta andare su www.tiamodamorirne.com.

 

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Contatti stampa:

Associazione Molise Cultura

molisecultura@virgilio.it

molisecultura@pec.it

 

 

Mamme lavoratrici, ancora troppi gli ostacoli

Milano, 28 agosto 2019 – Sono ancora tanti gli ostacoli, e troppi i sacrifici che le mamme lavoratrici italiane sono costrette ad affrontare una volta tornate a lavoro. In Italia il 37% delle donne tra i 25 e i 49 anni con almeno un figlio risulta infatti inattiva. E la percentuale cresce con l’incrementare del numero di figli, per arrivare a uno sconcertante 52,5% nel caso di donne con tre o più figli.

Si guardi, per esempio, al 2016: stando ai numeri dell’Ispettorato nazionale del lavoro, in quell’anno le donne che si sono licenziate poco dopo la gravidanza sono state 35.140. Di queste, solo 5.261 sono passate a un’altra azienda dopo il periodo di maternità. Per tutte le altre, cioè ben 29.879 donne, la difficoltà di conciliare famiglia e lavoro è stata tale da tenerle lontane dal mondo lavorativo.

Ma quali sono le principali preoccupazioni che affliggono le neo-mamme al momento di tornare al lavoro?

Una risposta a questa domanda arriva da uno studio statunitense condotto da OnePoll, per il quale sono state intervistate 1.000 donne (tenendo conto che negli Stati Uniti, come afferma il Dipartimento del Lavoro, il 75% delle madri lavora full-time).

Grazie a questo studio si è scoperto che il 40% delle donne ha paura di essere troppo stanca per lavorare in modo efficiente; il 39% teme l’imbarazzo delle macchie provocate dalle fuoriuscite del latte materno; il 37% è preoccupata dei cambiamenti che il rispettivo ruolo potrebbe aver subito durante il periodo di assenza. Altro timore diffuso è quello di ritrovarsi a dover interrompere l’allattamento una volta rientrata in azienda.

Nonostante tutti questi timori, il 79% delle donne intervistate ha dichiarato comunque di essere tornata a lavoro, e di aver trovato un buon supporto sul luogo di lavoro.

In Italia, guardando i numeri, si scopre una realtà diversa, confermata dal basso tasso di occupazione femminile.

Ma non deve essere per forza così:

«Il rientro al lavoro dopo la maternità è un passaggio delicatissimo e denso di ansie» spiega Carola Adami, amministratore delegato della società di head hunting Adami & Associati «ma esistono alcuni alcuni accorgimenti ed alcune tecniche per rendere questo momento meno difficile».

«In primo luogo, è necessario eliminare i tipici sensi di colpa che tengono le neo-mamme lontane dal rientro: tornare nel mondo del lavoro non significa in alcun modo compromettere il benessere dei figli, anzi, per molti versi è vero il contrario. Certo, mescolare carriera e maternità comporta dei sacrifici» sottolinea l’head hunter «ma il fatto stesso di avere una carriera soddisfacente permette di vivere anche la vita familiare con maggiore serenità. Ovviamente per tutte le mamme, e ancor di più per le working mom, è necessario rinunciare all’ideale della ‘mamma perfetta’, concentrandosi invece sull’essere dei buoni genitori, così da eliminare l’ansia eccessiva».

Esistono poi tanti elementi pratici per permettere un rientro a lavoro indolore.

Vanno ovviamente presi in considerazione gli asili nido, individuando la soluzione migliore tra il nido ordinario e il tagesmutter; è inoltre inevitabile affidarsi a una baby sitter, perlomeno ‘a chiamata’, per poter gestire agevolmente anche le emergenze.

«Non sono pochi gli studi che dimostrano i vantaggi, per le aziende, di contare delle mamme nel proprio organico» sottolinea ancora Carola Adami «e per questo i dirigenti aziendali dovrebbero impegnarsi doppiamente per rendere il luogo di lavoro più accogliente per le working mom. La parola d’ordine, da questo punto di vista, è ‘flessibilità’, un concetto che, grazie allo smart working, si sta diffondendo sempre di più.

Non è certo un caso se nelle classifiche dedicate alle compagnie ‘amiche delle neo-mamme’ spiccano aziende altamente innovative e presenti anche in Italia, come Marriott, IBM, American Express, Procter & Gamble, Lego, Johnson & Johnson e via dicendo» conclude l’head hunter.

 

 

 

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