Qualifiche, diplomi e lauree: ecco i titoli più richiesti dalle aziende italiane

Milano, 15 ottobre 2018 – Il ‘pezzo di carta’ conta tanto, tantissimo, ed è destinato a contare sempre di più nei prossimi anni. Un tempo, quasi un secolo fa, l’obiettivo dei più era la semplice licenza media. Ieri era il diploma, e in buona parte lo è ancora oggi, in un mercato che però volge sempre di più lo sguardo verso la laurea.

Ma si sa, non tutti i ‘pezzi di carta’, a prescindere dal livello, sono uguali: “la scelta del percorso scolastico e universitario da intraprendere è fondamentale per il successivo ingresso del mercato del lavoro” spiega Carola Adami, CEO e founder della società di ricerca e selezione di personale qualificato Adami&Associati.

“Una scelta sbagliata fatta in gioventù, e quindi l’iscrizione ad un istituto superiore senza reali sbocchi o ad un corso universitario con scarse possibilità occupazionali può compromettere fortemente la carriera professionale di un ragazzo, soprattutto oggi che le aziende riconoscono un valore altissimo ai titoli di studio” ha sottolineato ancora Adami.

Un buon orientamento scolastico, dunque, diventa cruciale. Sì, perché oggi più che mai le aziende hanno bisogno di competenze per rendersi più competitive, soprattutto ora che la trasformazione digitale sta toccando ogni settore.

E questo è dimostrato appieno  dalle effettive ricerche delle imprese italiane: stando al bollettino Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal, nel mese di settembre su 415mila posizioni di lavoro programmate dal settore privato, ben 139mila – ovvero una su tre – sono state destinate ai diplomati.

Altre 126mila posizioni sono invece state dirette alle persone provviste di una qualifica professionale, e circa 74mila hanno invece puntato ai laureati.

Ma quali sono i percorsi formativi maggiormente premianti dal punto di vista occupazionale? «Le imprese italiane hanno un grande bisogno di tecnici specializzati nei settori del marketing e della finanza, per non parlare dell’alta richiesta di tecnici qualificati in meccatronica e in meccanica» ha precisato Carola Adami.

“Del resto la continua richiesta di tecnici specializzati da parte delle aziende non deve stupire: l’Italia è la seconda potenza manifatturiera d’Europa, e nonostante questo può vantare meno di 10 mila studenti iscritti agli Istituti Tecnici Superiori” ha raccontato Adami.

Le imprese hanno dunque un forte bisogno di tecnici: non a caso l’82% dei neodiplomati risulta occupato.

Per quanto riguarda i titoli professionali, stando al bollettino Excelsior, gli indirizzi contraddistinti da un più alto livello di occupazione al termine degli studi sono quello relativi ai mondi della ristorazione e della meccanica.

Le lauree maggiormente richieste, infine, sono quelle in campo economico, seguite a breve distanza dalle lauree relative all’insegnamento. Più lontane, ma sempre molto ricercate, sono poi le lauree in medicina, in ingegneria elettronica e a indirizzo linguistico.

Tutto questo mentre, stando alle cifre Istat relative al 2017, la percentuale delle persone laureate in Italia è ferma al 18,1%, di contro al 31,4% del resto dell’Europa.

 

 

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I direttori delle risorse umane di fronte la sfida della trasformazione digitale

Milano, 13 giugno 2017 – Gli ultimi dati Istat confermano la cauta ma continua diminuzione della disoccupazione in Italia, e c’è già chi inizia a guardare al futuro del mercato del lavoro con un maggiore ottimismo.

A farlo con maggiore cognizione di causa degli altri è una buona parte dei responsabili HR, i quali guardando al prossimo biennio, nel 47% dei casi, vedono una maggiore richiesta di personale fomentata dalla Digital Trasformation; il 33% pensa invece che la trasformazione digitale non porterà nessun concreto cambiamento al mercato del lavoro, mentre invece una fetta minoritaria del 22% si dice convinta che il progresso digitale non potrà che portare ad una diminuzione della manodopera richiesta.

Questi e molti altri dati interessanti sono il risultato della ricerca dal titolo ‘Il ruolo della Direzione HR nella Digital Trasformation‘ dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, studio basato su un panel di oltre 170 HR Executive di medio-grandi aziende operanti in Italia.

In linea generale, si può assolutamente affermare che i direttori HR si stanno preparando per affrontare l’ormai prossima Digital Trasformation, con il 91% degli intervistati ha già avviato delle iniziative specifiche, come per esempio il varo di progetti di Open Innovation.

«Da una parte, dunque, i dirigenti HR devono ergersi come leader per guidare la riorganizzazione interna di ogni business, per sviluppare nuove competenze e professionalità e raccogliere così la sfida della Digital Trasformation» ha spiegato Carola Adami, fondatrice nonché CEO della società di ricerca e selezione del personale Adami & Associati, «mentre dall’altra devono rivoluzionare in profondità i propri stessi processi, così da adeguarli alle esigenze attuali dettate dallo sviluppo della cultura digitale».

Il ruolo delle Direzioni HR deve dunque essere duplice all’interno di questa evoluzione, la quale però, va detto, è ancora ferma ai primi timidi passi: solo il 22% delle aziende italiane, infatti, dichiara di utilizzare applicazioni Cloud, Analytics, Social e Mobile in almeno uno dei normali processi HR.

«Ormai è fuori discussione: i responsabili delle Risorse Umane hanno capito il ruolo cruciale delle nuove tecnologie come il Cloud e i Social in ogni aspetto della gestione del personale» ha commentato Carola Adami, aggiungendo che «i nuovi strumenti digitali vengono sfruttati soprattutto nel campo della ricerca e selezione del personale, per sviluppare il brand aziendale e quindi poter raccogliere le candidature dei migliori talenti professionali».

E in effetti le politiche di employer branding per attirare a sé i candidati più talentuosi sono già state adottate da quasi la metà delle aziende medio-grandi italiane (48%), mentre il 16% è deciso a sviluppare tali pratiche nell’arco di quest’anno.

Non sono peraltro pochi i canali che le direzioni HR sfruttano per ricercare nuovi professionisti: tra i più utilizzati l’Osservatorio individua le segnalazioni per l’83% degli intervistati, i social network professionali (81% dei casi), le società di ricerca e selezione del personale (76%), le agenzie del lavoro (76%) e i corporate career site (76%).

Dal punto di vista delle Risorse Umane, è indubbio che la Digital Trasformation è soprattutto una questione di competenze: per il 97% dei referenti HR intervistati, infatti, nel prossimo biennio tutte le persone interne alle organizzazioni dovranno darsi da fare per rinnovare le proprie competenze, mentre gli stessi addetti HR dovranno puntare tutto sulle skills relative alla gestione del cambiamento (cruciali per l’83% del panel) e soprattutto sulle competenze digitali.

«La vera sfida dei Direttori HR nei prossimi anni» afferma Carola Adami «sarà dunque quella di ergersi come ispiratori del cambiamento, facendo però comprendere ai vertici aziendali che, anche nell’epoca digitale, il protagonista dell’intero processo di produzione resterà sempre e comunque il lavoratore, con le sue nuove competenze e soft skills».

 

 

Trovare lavoro: ecco come i social network possono aiutare

Milano, 28 aprile 2017 – Da qualche anno i recruiter hanno una nuova potente arma per scegliere il candidato perfetto per un posto di lavoro.

In origine c’erano la lettera di referenze, la chiamata all’ex datore di lavoro e magari al conoscente in comune. Poi arrivarono un bel giorno i social networks, a partire da Facebook, e poi arrivarono a ruota LinkedIn, Twitter, Instagram, giusto per nominare i sodail più grandi.

«Siamo nell’era del social recruiting» dice Carola Adami, fondatrice e CEO di Adami & Associati, società specializzata in ricerca di personale qualificato per Pmi e multinazionali, «e la qualità della presenza online è un aspetto che nessun candidato può permettersi di sottovalutare».

Ma se è vero che i social media sono uno strumento in più a favore dei selezionatori di personale, è altrettanto vero che le stesse piattaforme possono trasformarsi nell’asso nella manica di chi è alla ricerca di un nuovo posto di lavoro.

Come spiega Carola Adami,  «sapere fin dall’inizio che un potenziale datore di lavoro o un cacciatore di teste potrebbero dare un’occhiata al proprio profilo Facebook o Twitter, dà ai candidati la possibilità di uniformare la propria presenza online alla propria immagine professionale».

Insomma, i social media non sono solamente un posto dove condividere le fotografie dell’ultima serata in discoteca, del viaggetto delle vacanze pasqualo o dei propri gatti.

Di fatto, la potenza di questi strumenti è ormai tale che utilizzare queste bacheche pubbliche solo ed unicamente come divertimento o passatempo sarebbe un vero spreco: non ci si può di certo scordare che sono ben 31 milioni gli italiani attivi sui social media, con un incremento dell’11% nel solo 2016.

«Praticamente tutti quanti al giorno d’oggi sono connessi» racconta Carola Adami «il che significa che LinkedIn, Facebook e Twitter costituiscono tutti insieme un database senza fondo per tutti i recruiter».

E se fino a qualche anno fa si poteva pensare che le piattaforme social potessero aiutare a trovare lavoro solo una fetta marginale della popolazione – i giovani, ed i millennials – oggi ci si sta rendendo conto che anche le figure senior possono approfittare di questi nuovi canali.

Il motivo è semplice: «il recruiter controlla il profilo Facebook di tutti i candidati per un posto da impiegato semplice, ma questo non vuol certo dire che il cacciatore di teste non dia un’occhiata al profilo Facebook di un potenziale nuovo manager: le pagine social di tutti i tipi di candidati finiscono infatti per cadere sotto la lente dei selezionatori, e per questo motivo nessuno dovrebbe gestire male o in maniera distratta la propria presenza online».

Tutti i tipi di business, al giorno d’oggi, sanno che gran parte dei nuovi clienti, prima di entrare in contatto con l’azienda, visiteranno il rispettivo sito web.

 

Trovare lavoro con i social network: cosa pubblicare

Lo stesso sta accadendo anche nel mondo del recruiting: in linea generale, nessun candidato viene più selezionato prima che i suoi profili social siano stati debitamente scansionati. «Per questo motivo» sottolinea Carola Adami «ogni elemento che potrebbe far storcere il naso ad un recruiter dovrebbe essere prontamente eliminato dalle proprie pagine pubbliche».

Un candidato, invece, dovrebbe sfruttare tutti gli strumenti a propria disposizione per confermare le proprie potenzialità.

LinkedIn è ovviamente il posto giusto per narrare in modo rilevante la propria carriera professionale, sottolineando a dovere i propri punti di forza.

Ma anche gli altri social possono concorrere a delineare un’immagine coerente di un candidato: i profili creativi possono sfruttare Instagram e Pinterest per mostrare al mondo i propri lavori, il giornalista può condividere i propri migliori articoli, lo chef può creare una rubrica di cucina, il manager può dispensare dei consigli oculati alla propria rete di contatti.

«Persino determinate soft skills possono essere confermate dai profili sui social media» afferma infatti Carola Adami. Prendiamo per esempio la leadership: «la presenza online del candidato dirigente ideale potrebbe infatti essere caratterizzata da un alto grado di disponibilità nel rispondere a richieste altrui, con la conseguente costruzione di un concreto capitale social».

Ogni tipo di candidato, dunque, dovrebbe essere in grado di sfruttare al meglio i social maggiormente affini alla posizione ricercata.

In linea generale, però, bisogna ricordare che le basi sono le medesime per tutti: «per la ricerca di lavoro come per la vita quotidiana, è fondamentale ricordarsi che i nostri profili social hanno diversi gradi di visibilità pubblica» ricorda infine Carola Adami «e come consigliamo spesso sia durante le nostre consulenze che sulle pagine del nostro blog, è essenziale eliminare oppure oscurare al pubblico tutte le foto che non vorremmo che il nostro potenziale datore di lavoro vedesse, così come gli aggiornamenti di stato più personali».

L’ultimo consiglio della CEO di Adami & Associati è poi quello di “coltivare una buona rete di contatti, mirando soprattutto a quelli del proprio settore di riferimento”.

Non è in fondo  proprio questo lo spirito di fondo dei social network?

 

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Manager: per trovare lavoro conta sempre di più la “segnalazione”

Milano, 21 aprile 2017 – La ricerca manager o di dirigenti è un processo sempre più complesso che premia soprattutto chi sa coltivare le proprie conoscenze, all’interno ma anche all’esterno dell’azienda.

È una questione di capacità, di esperienza professionale, di titoli, ma soprattutto di network e di soft skills.

Questo perché le aziende per la ricerca di manager e di dirigenti si affidano sempre più spesso a delle società di cacciatori di teste, in inglese head hunter.

Ed in questo campo non sono le candidature spontanee  a valere in quanto ad avere un peso decisivo sono le segnalazioni o le conferme che dall’esterno arrivano al cacciatore di teste, secondo Adami & Associati, società di selezione del personale di Milano,

Non si tratta di raccomandazioni, ma al contrario di un sistema meritocratico basato sulle referenze, le quali non vengono presentate insieme ad un curriculum vitae, ma, anzi, provengono dagli ex colleghi, dagli ex collaboratori e persino dai diretti concorrenti del passato.

L’importanza del networking

La carriera del dirigente del resto non è statica come si potrebbe pensare. Tutt’altro: stando ad una ricerca di Manager Italia, nell’ultimo periodo nel nostro Paese 1 dirigente su 5 ha infatti cambiato azienda ogni tre anni.

I motivi possono essere ovviamente i più disparati, ma spesso e volentieri – soprattutto negli ultimi anni – il processo di ricerca dirigenti è stato messo in moto da ristrutturazioni interne, e quindi da licenziamenti.

E questo significa che per un dirigente, per un manager, per un quadro, è sempre il momento di fare networking, poiché è proprio questo impegno quello che potrebbe innescare un miglioramento di carriera anziché un passo all’indietro.

Essere raccomandati ad un capace head hunter da un ex cliente, da un ex collega o da un ex fornitore, dunque, può essere davvero determinante. Ma si sa, le buone referenze non bastano: quali sono le caratteristiche di un candidato ideale in un processo di ricerca dirigenti?

Ricerca manager: le soft skills

Di certo il processo di ricerca dirigenti a Milano non è completamente uguale a quello che premia i migliori manager a Londra, ma è comunque possibile affermare che le qualità maggiormente ricercate in un dirigente aziendale sono le medesime in tutto il mondo:

Esperienze professionali di respiro internazionale: il curriculum vitae che ci si aspetta di trovare in un processo di ricerca dirigenti è senz’altro quello di un manager con esperienza internazionale.

Il motivo è semplice: nessuna azienda alla ricerca di un nuovo dirigente vuole accontentarsi di una dimensione provinciale, mirando invece alla conquista di mercati nazionali e soprattutto esteri. È dunque una questione linguistica, ma anche psicologica.

Lavorare un periodo all’estero, infatti, permette ai manager di entrare in un modo di pensare fondamentale per le business conversations con i partner commerciali futuri.

Entusiasmo e innovazione: l’amministratore aziendale, il fondatore e gli stessi dipendenti desiderano un dirigente in grado di ampliare gli orizzonti dell’azienda.

Il peggior difetto di un candidato, in questo senso, sarebbe quello di dare a vedere di non essere aperto all’innovazione e di non saper raccogliere e sfruttare i nuovi stimoli professionali.

L’iniziativa del venditore: un recruiter alle prese con un processo di ricerca dirigenti è ovviamente più propenso a selezionare un candidato in grado di sapersi vendere al meglio, con una marcata capacità di parlare in pubblico e di essere convincente.

Chi si rivela in grado di dare il meglio di sé durante un colloquio conoscitivo sarà infatti probabilmente capace di fare altrettanto anche di fronte ai dipendenti, come di fronte a dei nuovi potenziali clienti o partner commerciali.

La leadership: un aspetto fondamentale che qualunque cacciatore di teste ricerca in un dirigente aziendale è ovviamente la capacità di condurre al meglio un gruppo di collaboratori.

Questa skill è utile nel lavoro quotidiano di un dirigente ed è fondamentale per gestire rapidamente e al meglio le problematiche sul posto di lavoro. Si pensa che la leadership sia una skill innata, ma è solo una mezza verità: come tante altre capacità, anche questa può essere raffinata nel tempo.

A proposito di Adami e Associati

Adami&Associati (www.adamiassociati.com) è una società specializzata in ricerca di personale qualificato per Pmi e multinazionali, che ricerca, seleziona e valorizza professionisti qualificati per supportare la crescita delle aziende clienti.

 

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La ricerca manager o dirigenti è un processo complesso che premia soprattutto chi sa coltivare le proprie conoscenze, all’interno dell’azienda ma anche all’esterno…

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Come cercare lavoro nel 2017, tra automazione e social network

Milano, 12 aprile 2017 – Come sta cambiando, o meglio, come è destinato a cambiare il mondo del recruiting? Quali impatti hanno avuto e avranno nei prossimi anni i social network nel processo di ricerca e selezione del personale? E l’automazione del lavoro deve davvero spaventare i lavoratori? Per prepararsi a quello che accadrà nel mondo del recruiting italiano nei prossimi mesi, può essere senz’altro utile lanciare un’occhiata oltreoceano, a quel mercato statunitense che da sempre anticipa le più importanti mutazioni del mercato del lavoro mondiale.

Ebbene, stando ai risultati dell’ultimo Recruiter Nation Survey di Jobvite, l’ansia di chi è alla ricerca di un nuovo lavoro nei confronti dell’automazione è per lo più esagerata. Proprio così: se infatti ben il 69% di chi è alla ricerca di un’occupazione lavorativa si dichiara preoccupato per il l’avanzata della digitalizzazione, solo il 9% dei recruiter è convinto che questo rappresenti un reale problema.

«L’automazione può ovviamente spaventare i disoccupati alla ricerca di un nuovo lavoro, i quali temono di non trovare più spazio in settori sempre più dominati dalle macchine» spiega Carola Adami, fondatrice e CEO di Adami & Associati, società specializzata in ricerca di personale qualificato per Pmi e multinazionali.

«Ma lo scenario reale è diverso e molto meno minaccioso, poiché solamente una minima percentuale delle realtà industriali ha concretamente pianificato di automatizzare i propri processi nei prossimi anni». Nello specifico, negli Usa, solamente il 10% delle compagnie sembra voler avviare l’automazione in tempi brevi: questo dato è molto significativo, soprattutto se pensiamo che questa fetta era pari al 25% nel 2015.

Questo, dunque, per quanto riguarda l’automazione, ovvero il principale cambiamento nel mondo del lavoro.

Ma quali sono, invece, fattori che influenzano maggiormente la decisione di un recruiter? Ebbene, quando un selezionatore decide se assumere o meno una persona, l’aspetto più importante, secondo il 67% dei professionisti statunitensi, è costituito dall’esperienza lavorativa precedente. Se questo primo dato può sembrare scontato, così non è per il secondo: il 60% dei recruiter assegna infatti un’enorme importanza al modo di pensare di un candidato, per essere certo che possa uniformarsi un pieno alla cultura aziendale del suo nuovo posto di lavoro.

«La tendenza generale è quella di assegnare sempre più importanza a tutti quegli aspetti che davvero possono assicurare delle ottime performance da parte di un candidato» ha commentato Carola Adami, aggiungendo che «il voto di laurea e il prestigio dell’università finiscono per perdere d’importanza di fronte alla reale esperienza professionale di un candidato e alla sua capacità di condividere in pieno la mission aziendale». A dimostrazione di tutto questo, solo il 19% dei recruiter statunitensi ha assegnato grande importanza al punteggio di laurea, così come solo il 21% ha indicato il prestigio del college come fattore differenziante.

È cambiato il modo di guardare ai candidati, e in parte sono cambiate anche le modalità di ricerca. Parliamo infatti dell’imperiosa ascesa del social recruiting: da una parte chi ricerca un lavoro lo fa sempre di più utilizzando dei social network (nel 59% dei casi negli USA) mentre i recruiter considerano ormai i social network come degli strumenti indispensabili. E se l’87% dei selezionatori dichiara che la piattaforma più utile per i propri scopi è LinkedIn, è da notare che il 43% valuta sistematicamente i candidati anche sulla base del rispettivo profilo di Facebook, il 22% considera anche Twitter e l’11% spende del tempo alla ricerca di eventuali blog personali.

«Mai come oggi un cacciatore di teste ha avuto la possibilità di conoscere tutti gli aspetti della vita di un candidato» ha spiegato Carola Adami, e per questo «chi è alla ricerca di un nuovo lavoro, oppure chi vuole fare carriera, deve stare molto attento alla gestione dei propri profili social, senza mai dimenticare che tutto ciò che è visibile al pubblico è potenzialmente un allegato del proprio curriculum vitae».

Stando ai dati del report, il 47% dei recruiter è colpito negativamente dalla pubblicazione sui canali social di fotografie legate al consumo di bevande alcoliche, mentre il 60% dei selezionatori tende a girare a largo dai candidati che tendono all’oversharing di contenuti. Ma il principale errore da evitare, per il 72% dei selezionatori intervistati, è proprio quello grammaticale: troppi errori di battitura e refusi sulla propria pagina Facebook, quindi, potrebbero compromettere una carriera lavorativa.

«Il mondo del social recruiting, dunque, rappresenta un’occasione da non perdere per chi si occupa di Risorse Umane» ha sottolineato Adami, «mentre per chi è alla ricerca di un nuovo lavoro può essere sia una benedizione che una maledizione: tutto sta, infatti, nel gestire in modo razionale ed intelligente le informazioni personali che si vogliono condividere con il pubblico».

 

 

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Cercare lavoro nel 2017, tra automazione e social network

 

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Lavoro: ecco le professioni del futuro

La rivoluzione digitale e il recruitment stanno cambiando il panorama del lavoro: ecco le professioni del futuro, che saranno le più ricercate secondo Copernico Radar…

Milano, 23 febbraio 2017 – Il nostro panorama sta cambiando alla svelta: grazie alla rivoluzione digitale in corso, il nostro modo di vivere, di lavorare, di mangiare, di divertirci, di viaggiare e di dormire sta per essere stravolto. Qualcosa è già cambiato, e altro lo farà molto presto, in un mondo in cui la tecnologia sta penetrando ogni singolo settore della nostra esistenza quotidiana.

Gran parte degli strumenti che utilizziamo ogni giorno hanno già o avranno in tempi piuttosto brevi un sensore o una qualche connessione alla rete, e quindi potenzialmente un’intelligenza artificiale: questo sta succedendo e succederà ad una vastissima gamma di cose, dall’automobile alla lavatrice, fino per assurdo allo spazzolino per l’igiene orale.

Ad essere stravolta sarà, di conseguenza, anche il mondo dei lavoratori, che vedranno molti lavori sparire o cambiare e molti altri nascere.

Vedi il caso emblematico dello sciopero di questi giorni dei taxisti contro Uber, esempio di sostituzione tra vecchi e nuovi tipi di lavori.

Il risultato di tutto questo è che sempre di più, nell’immediato futuro, il lavoro di un’agenzia di ricerca del personale sarà quello di individuare figure professionali estremamente qualificate. A confermarlo sono le cifre pubblicate dall’European Centre for the Development of Vocational Training, secondo le quali entro il 2025, su 107 milioni di opportunità lavorative, ben 46 riguarderanno lavori altamente qualificati.

Le skill del futuro

“I paradigmi della digitalizzazione, del Cloud e dei Big Data dalla Silicon Valley si stanno dunque espandendo a macchia d’olio d’ogni parte. Toccano i settori del manifacturing, del banking, dell’insurance. Tutto è destinato a mutare, il che vuol dire che nessuno, con le competenze di oggi, può sperare di poter fare al meglio il proprio mestiere anche tra una decina d’anni” spiega Carola Adami, Ceo di Adami & Associati (www.adamiassociati.com), società di head hunter di Milano.

“Parliamo ovviamente dei manager, dei tecnici, ma anche del personale sanitario, degli ingegneri, degli autisti e sì, persino dei camerieri. Le professioni d’oggi non sono destinate certamente a soccombere, tutt’altro: le tradizionali competenze, però, dovranno ben presto essere spalleggiate da nuove skill, più smart e più digital” continua la Adami.

Le professioni del futuro a partire dal 2030

Ma quali saranno le figure che un’agenzia di ricerca del personale si ritroverà ad analizzare e selezionare negli anni futuri?

A delineare il nostro avvenire e quello di tutti i nostri colleghi head hunter è uno studio di Copernico Radar, l’osservatorio smart di Copernico sul mondo del lavoro. La curiosa ricerca, basandosi sui progressi tecnologici in corso e su quelli che sembrano ormai certi e lì lì per essere portati a termine, ha infatti ipotizzato alcune delle nuove occupazioni del futuro, mettendone in risalto alcune che, a loro dire, saranno le più richieste e anche le più redditizie.

Queste, secondo quelli di Copernico, le professioni del futuro che saranno già richiestissime a partire dal 2030:

Minatori spaziali e guide turistiche lunari

Ecco come unire il lavoro più sognato del mondo e uno tra quelli più odiati: in pochissimi ambirebbero infatti a fare il minatore sulla terra, ma in tanti sarebbero probabilmente disposti a farlo su Marte, con la possibilità di essere anche un po’ cosmonauti. Dopo decenni di stop della ricerca, lo spazio sta tornando ad avvicinarsi a noi, grazie alla concretezza di missioni come SpaceX. Sognare di diventare astronauti o guide turistiche spaziali, dunque, tra qualche anno potrà assumere le forme di un vero e proprio progetto di carriera professionale.

Personal branding manager e omnipotence delimiter

Questa è a tutti gli effetti una delle figure professionali meno strane tra quelle selezionate dallo studio. Il personal branding manager sarà un consulente improntato alla costruzione e al potenziamento del potenziale individuale. In po’ manager, un po’ personal trainer, il suo compito sarà dunque quello di spingere i propri clienti verso il successo, senza fare altro che risvegliare le loro potenzialità nascoste.

Architetti digitali

Di recente la nostra agenzia di ricerca del personale è entrata in contatto con delle realtà che hanno avviato importanti investimenti nel della progettazione virtuale. Ebbene, tra qualche anno questa potrebbe essere la prassi, con progetti architettonici realizzati e dimostrati attraverso delle proiezioni del tutto realistiche: altro che disegno tecnico!

Sviluppatori di avatar

Non parlo ovviamente delle creature portate sul grande schermo da James Cameron: quelli di Copernico sono infatti convinti che entro i prossimi tre lustri crescerà l’esigenza di abbattere i limiti dello spazio-tempo per abbracciare l’ubiquità digitale, con la possibilità di presenziare ovunque e in qualsiasi momento con delle immagini virtuali dettagliatissime.

Costruttori e riparatori di parti del corpo

La tecnologia ha fatto passi da gigante anche in campo medico. Il prossimo step sarà quello di creare delle protesi ‘vive’, capaci non più di sostituire, ma di funzionare in tutto e per tutto come delle vere e proprie parti del corpo. A rendere possibile questo passaggio saranno, tra le altre cose, la maggiore conoscenza dell’anatomia umana e i progressi effettuati nella progettazione e nella stampa 3D.

Contadini urbani

Green economy, Vertical Farming, sostenibilità, voglia e necessità di cibo biologico e chilometri zero: tutto spinge verso la specializzazione di un nuovo tipo di agricoltore, in grado di produrre frutta e verdura direttamente in città, così da abbattere il costo ma soprattutto l’inquinamento del trasporto. Il tutto, ovviamente, sarà permesso dalle nuove tecnologie atte a sviluppare un monitoraggio automatico delle colture.

Nano-medici

I chirurghi del futuro non saranno come quelli che le serie tv degli ultimi anni ci hanno mostrato: nelle sale operatorie entreranno infatti sempre di più dei dottori dalle altissime skill informatiche, in grado di programmare e tarare software e robot in grado di rendere sempre meno invasivi i futuro interventi chirurgici, in un progressivo avvicinamento al tech dell’intero settore sanitario.

“Di certo la maggior parte di queste professioni ci sembrano strane, azzardate, quasi impossibili. Eppure negli ultimi anni la nostra agenzia di ricerca del personale ha avuto qualche assaggio di come la rivoluzione digitale sta davvero portando il mondo del lavoro in questa direzione: non metterei di certo la mano sul fuoco per quanto riguarda i minatori spaziali, ma tutte le altre professioni qui citate mi sembrano davvero pronte ad arrivare tra di noi” racconta Carola Adami.

Le aziende di oggi stanno creando i presupposti per questo nuovo modo di lavorare: la vera risposta, ovviamente, deve venire – e arriverà – dai giovani, i quali dovranno integrarsi in modo perfetto con i nuovi criteri nel mondo digitale. Più qualificati, dunque, ma anche più curiosi, più flessibili e, in una parola, più smart” conclude la Ceo di Adami & Associati.

 

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Facebook aiuta a trovare lavoro

Una ricerca della Ghent University dimostra quanto l’analisi dell’universo dei social network sia ormai parte integrante del lavoro di recruitment e di quanto un curriculum ben curato sui social media potrebbe aiutare a trovare lavoro

Milano, 15 febbraio 2017 – Potrebbero pensarla diversamente gli impiegati che sono stati più volte ripresi dai propri superiori per aver utilizzato Facebook durante l’orario d’ufficio, eppure è proprio così: il social network di Mark Zuckerberg è uno strumento da non sottovalutare per migliorare la propria carriera professionale.

Con i suoi 1,9 miliardi di utenti registrati, Facebook è infatti diventato parte integrante della presentazione di un professionista. È un dato di fatto: oltre ad analizzare il curriculum vitae, la lettera di presentazione e le referenze di un candidato, i cacciatori di teste oggi giorno non perdono l’occasione di soppesare anche la presenza online di ogni singolo aspirante, con un occhio di riguardo per il suo profilo sul social in blu.

A dimostrare ancora una volta l’importanza di Facebook nel processo di ricerca e di selezione del personale è stata una ricerca di Stijn Baert, del dipartimento di Social Economics della Ghent University, in Belgio, pubblicato sulla rivista scientifica New Media & Society.

Per verificare l’importanza che il mondo del recruitment riconosce a Facebook, il team di Baert ha inviato due finte candidature estremamente simili tra loro a 1056 offerte di lavoro tra quelle pubblicate da un’agenzia di collocamento delle Fiandre tra il 2013 e il 2014.

In una delle due finte candidature, la fotografia del candidato non era presente sul curriculum, ma era invece agevolmente rintracciabile su Facebook. Le fotografie collegate alle finte candidature sono state 4, e ognuna di esse era classificata – in base ad uno studio precedente – su diversi livelli di attrattività: una presentava un volto estremamente piacevole, estroverso ed attraente; un’altra esprimeva esattamente le sensazioni opposte; le altre due immagini, invece, trasmettevano sensazioni ‘neutre’.

Ebbene, come ci si poteva immaginare, il finto candidato con la fotografia più attraente su Facebook – a parità di curriculum vitae – ha ottenuto il più alto numero di contatti, arrivando al 38% delle risposte, con risultati perfino superiori nei casi in cui il suo curriculum è finito tra le mani di un selezionatore del sesso opposto.

Un bell’aspetto esteriore, dunque, può premiare anche sul lato lavorativo: ma questa non è di certo una novità assoluta. Ma questo studio ha però evidenziato altre grandi verità. Come ha voluto sottolineare Baert nelle sue conclusioni, i dati dimostrano infatti che i social network hanno rivoluzionato il modus operandi dei recruiter, i quali, per avere un quadro più completo dei candidati, analizzano sistematicamente la loro presenza online.

“Grazie alla rete, oggi chi si occupa di recruiting ha moltissime armi in più” ha spiegato Carola Adami, founder e Ceo di Adami & Associati (www.adamiassociati.com), società specializzata in ricerca di personale qualificato per Pmi e multinazionali, aggiungendo che “gli stessi social network devono essere sfruttati a proprio vantaggio anche dai candidati”.

Un singolo post su Facebook potrebbe attirare l’attenzione di un cacciatore di teste, ma allo stesso modo un aggiornamento infelice potrebbe far sfigurare un candidato agli occhi di un recruiter: un buon mantra, dunque, è quello di pensare sempre due o tre volte prima di pubblicare qualcosa sui propri profili online».

«Facebook, Twitter e Instagram non sono solamente dei modi simpatici per restare in contatto con i propri amici» ha sottolineato Carola Adami. «Tutti quanti dovrebbero infatti iniziare ad osservare i propri profili con gli stessi occhi con cui potrebbe guardarli un ipotetico datore di lavoro».

Ma una bella foto profilo non è di certo l’unico fattore che entra in gioco nel processo di ricerca di lavoro.

«Per prima cosa è fondamentale registrarsi sui social network con il proprio nome vero, per non destare dubbi sulla propria serietà». Oltre a questo, la presenza online di un candidato deve essere quanto più coerente possibile con l’immagine delle aziende in cui si vorrebbe entrare: postare l’intero album delle proprie vacanze a Rio de Janeiro, dunque, potrebbe non essere una grande idea.

E se proprio non si vuole rinunciare a pubblicare i propri momenti di maggiore intimità o di baldoria, è comunque consigliabile controllare le impostazioni della privacy del proprio profilo, di modo che alcune delle proprie foto e dei propri status restino visibili solamente ad una ristretta cerchia di amici.

E voi, vi assumereste dopo aver guardato i vostri profili social?

 

 

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L’alternanza scuola e lavoro è finalmente realtà

Roma, 14 febbraio 2017 – L’alternanza scuola-lavoro, una delle innovazioni più significative della legge 107 del 2015 è finalmente attiva a pieno regime.

Per molto tempo il tema sulla continuità tra scuola e lavoro è stato al centro del dibattito politico e sociale, senza mai veramente trovare elementi efficaci di politica strutturale a favore di crescita e formazione di competenze nuove, contro la disoccupazione e il disallineamento tra domanda e offerta nel mondo del lavoro.

Abbiamo visto crescere generazioni di ragazzi anche molto preparati ma con difficoltà ad inserirsi nell’ambiente lavorativo perché privi di qualunque esperienza pratica, di capacità di tradurre idee in azione e di operatività attiva.

E’ proprio questo che il progetto alternanza scuola-lavoro vuole evitare, inserendo l’esperienza lavorativa nel contesto didattico, dotandola di obbligatorietà e sistematicità, e rendendola parte integrante del Piano Triennale dell’Offerta Formativa.

I numeri del progetto sono sempre in crescita e le aziende che decidono di aderire sono sempre di più.

Ma come funziona in termini pratici l’integrazione scuola lavoro?

Prendiamo a modello l’ultima azienda in ordine di tempo a mettere a disposizione le sue competenze. Si tratta di Altamedica di Artemisia spa, centro di diagnosi prenatale e Medicina Materno Fetale d’Eccellenza a Roma. Altamedica svolge da anni attività di counseling prenatale e di medicina fetale nonché attività di diagnostica laboratoristica ad elevato livello tecnologico.

Questa, in qualità di “soggetto ospitante” accoglierà quattro studenti dellIstituto Superiore Luigi Einaudi, istituto professionale romano per i servizi commerciali, indirizzo grafico, socio sanitario e turistico nel cuore del quartiere San Pietro.

Per due settimane e per un totale di sessanta ore, gli alunni svolgeranno attività didattiche nelle aree aziendali di comunicazione, marketing e customer care, amministrazione e contabilità, accoglienza e centralino, progettazione e applicazione del Modello di Controllo e Gestione Anticrimine e organizzazione e gestione di eventi formativi e convegni.

L’attività di formazione e orientamento del percorso sarà progettata e verificata da un docente tutor interno, designato dall’istituzione scolastica, e da un tutor formativo di Altamedica. Insieme elaboreranno un percorso formativo personalizzato e assisteranno gli studenti verificandone il corretto svolgimento.

Al termine di questo periodo di formazione, Altamedica elaborerà una scheda di valutazione degli studenti verificando le competenze acquisite.

Gli studenti e le aziende ospitanti finora si dicono soddisfatte del progetto, tanto che nomi illustri dell’impresa italiana mettono a disposizione le loro strutture ed i loro staff impegnandosi a promuovere la qualità del lavoro, la competitività complessiva, assumendo uno specifico ruolo formativo e adottando una forma nuova di responsabilità sociale d’impresa.

I valori e le finalità del progetto sono più che nobili ed ambiscono ad attuare modalità di apprendimento flessibili che colleghino la formazione in aula e l’esperienza pratica, ad arricchire  la formazione acquisita nei percorsi scolastici con competenze maturate sul campo e spendibili nel mercato del lavoro, favorire l’orientamento dei giovani  per valorizzare vocazioni personali, gli interessi e gli stili di apprendimento individuali.

Attraverso l’alternanza scuola lavoro si concretizza così il concetto di complementarietà dei diversi approcci nell’apprendimento, dove il mondo della scuola e quello dell’impresa/struttura ospitante non sono più considerate come realtà separate bensì integrate tra loro.

Infine questo provvedimento solleciterà finalmente l’interazione tra le scuole ed il mondo del lavoro per una maggiore corresponsabilità educativa e sociale orientata alla valorizzazione delle aspirazioni degli studenti, nell’ottica di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

 

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Patto scuola lavoro, una bella realtà…

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