IL PAESAGGIO INTERIORE

Lamberti, Luft 04, particolare, acquerello su carta artigianale, cm 90x100, 2014 (1)                 Ciracì, RL12552r dal Codice di Windsor matita sanguigna, pennarello su acetato, nastro adesivo, stampa su carta, cm 48x32,5, 2014

Giuseppe Ciracì – Lucia Lamberti

a cura di Martina Cavallarin

 

scatolabianca(etc.) Milano

dall’8 al 31 luglio 2014

 

Opening: 8 luglio ore 18.30

scatolabianca propone un ciclo dedicato alla pittura attraverso una serie di mostre bi-personali i cui protagonisti rappresentano e si esprimono con un linguaggio classico permeato da un taglio contemporaneo fortemente concettuale, da una temperatura personale, uno stile ad alto tasso di poesia e di chirurgia, da una capacità allestitiva che entra nel codice stesso dell’opera e del progetto espositivo.

I temi proposti si riferiscono ad alcune fasi di criticità che nel Novecento hanno tenuto sotto scacco la società, la cultura e la coscienza antropologica della collettività: il tema dell’Assurdo affrontato da Albert Camus, il sovraccarico d’Immagini denunciato da Jean Baudrillard, il concetto di Paesaggio inteso come sguardo interiore, antropologico, psicologico, culturale, l’Antropologia delle Immagini teorizzata da Hans Belting.

 

Il Paesaggio interiore. Giuseppe Ciracì – Lucia Lamberti

Il paesaggio fisico e geografico nel quale abitiamo, il paesaggio esterno, e il paesaggio antropologico e anatomico, corpo e anima, sono oggetto di indagine e di ricerca di molti artisti contemporanei. Tali rappresentazioni e manipolazioni da parte degli artisti modulano costantemente le nostre percezioni, le nostre visioni. L’arte elabora dei paesaggi interiori costruiti attraverso assemblaggi memorizzati, distrazioni e imperfezioni, traumi, evocazioni d’immagini, percezioni che si srotolano adeguandosi alle superfici, ai processi, ai linguaggi plurimi, trans, meta del contemporaneo. […] Altra forma di abbandono pittorico operata dall’artista androgino risiede in quella pratica che sembra concepire la bellezza come un percorso che implica necessariamente delle contraddizioni – accumulo o sottrazione, o forbici e colla, o montaggio e smontaggio – per un processo di chirurgia estetica che ripercorre paesaggi e geografie, mentre gli strumenti pittorici impiegati servono non tanto a riprodurre informazione, ma a falsificarla nel senso dell’arte. E tale abbandono sembra concepirsi come l’immagine di qualcosa che non si limita a esplicare la soglia della percezione tra realtà e finzione, tra concreto e illusorio, bensì come soggetto che contiene l’enigma insoluto, la trama che l’arte si porta come dotazione di un matrimonio morganatico tra quotidianità bassa e ricerca d’elevazione spirituale a altitudine esasperata. < […]L’abbandono risiede nel riemerso del quale le persone che abitano i dipinti sono intrise e che il linguaggio, tra il graffiante e l’evanescente, marchia di una soggettività indelebile. L’orientamento è quello di costruire una nuova estetica del segno, qualcosa che sta tra gesto e superficie, ricordo e lampo di presenza, memoria e colori. Così l’abbandono della figura anche quando è più allusiva e sfuggente è strettamente necessaria alla significazione facendo affiorare il discorso, rendendo le storie qualcosa di frammentato, ma che segue un filo logico, quello della metafora personale legata indissolubilmente a decorazioni, curve e linee che mettono in scena il pensiero dell’artista androgino. Ci persuade di una storia reale l’abbandono che sposta l’equilibrio dello spettatore, spaesandolo con l’evidenza e ingannandolo oltre con il nascondimento. E di nuovo l’immagine si accompagna alla fantasia, immagine che in greco è phantasma, nel senso di ciò che appare, un’irrealtà che è contigua tanto alla visione, quanto alla percezione, che al reale. È un’immagine passata e presente che, attraverso oli su tela usati con sapienza si sostanzia celando abilmente la verità nascosta delle cose, dei fatti accaduti, del possibile e dell’incerto. […] >.

©Martina Cavallarin

 

 

 

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