Ricerca e sperimentazione possono dare speranza di cura dal cancro e dalle malattie cardiovascolari: l’imprenditrice brianzola Monica Perna diventa ambasciatrice di speranza in memoria della madre nel mese della prevenzione rosa
Monza, 11 ottobre 2021 – È avvenuto simbolicamente nel mese che in Italia è detto “mese rosa”, ossia della prevenzione del tumore al seno, la donazione da parte dell’imprenditrice brianzola, Monica Perna, di 5.153,50 euro al programma “Polmone” della Fondazione IEO-Monzino. Un ente senza scopo di lucro, attivo dal 1994 nella raccolta di fondi da destinare alla ricerca clinica e sperimentale dell’IEO – Istituto Europeo Oncologico e del Centro Cardiologico Monzino di Milano.
La donazione è stata dedicata da Monica Perna alla memoria della madre scomparsa lo scorso 4 febbraio 2021 a causa di un tumore al polmone, dopo essere stata ricoverata all’IEO di Milano.
Il significato è, in questo caso, doppiamente simbolico, da un lato perché la donazione è dedicata ad una donna e dall’altro perché ciò avviene nel mese che in Italia è detto “mese rosa” ossia della prevenzione del tumore al seno.
La somma è stata versata da Dubai il 2 ottobre, data simbolica per la Perna perché coincidente con il compleanno della madre, ed è stata raccolta tra il 26 e il 30 settembre. Il gesto filantropico della mentore ed English Coach di Seveso è stato molto apprezzato dai suoi studenti che hanno risposto con entusiasmo all’appello e con sincero interesse per la causa.
L’imprenditrice ha deciso, infatti, di devolvere il 5% di ogni quota di iscrizione al suo nuovo programma di apprendimento della lingua inglese, ufficialmente presentato agli studenti della sua Masterclass, il 26 settembre scorso, durante un evento online a porte chiuse.
“Quando ho appreso la notizia della malattia, da Dubai sono volata in Italia – per dimostrare a mia madre tutto il mio affetto e per starle vicina – racconta ancora oggi emozionata la Perna. Ero determinata a fare tutto il possibile per salvarle la vita e i medici dello IEO hanno accettato di ricoverarla e di tentare un trattamento mondiale di prima linea. Questa cura le ha permesso di vivere qualche mese in più rispetto alle previsioni ma, soprattutto, le ha dato speranza. Ed oggi più che mai comprendo quanto importante sia sostenere la ricerca e la sperimentazione, che sono l’unico modo per trovare una cura efficace a queste terribili malattie”.
Proprio nel periodo in cui ha appreso della malattia della madre ed è rientrata in Italia, Monica Perna era prossima alla conclusione di uno studio durato 3 anni che l’ha portata a teorizzare e definire un metodo di insegnamento innovativo che porta il nome della sua impresa, “Metodo Auge”, maturato grazie all’elaborazione di un percorso esperienziale che stimola le capacità di memorizzazione, apprendimento e coinvolgimento.
“Con questa iniziativa – conclude Monica Perna – voglio riempire il vuoto immenso che ha lasciato la scomparsa di mia madre. Lei mi ha insegnato ad aiutare gli altri ed io ho voluto fare qualcosa di degno in suo onore nel giorno in cui avrebbe compiuto 59 anni: aiutare chi si trova nella stessa situazione in cui mi sono trovata io un anno fa, perché dobbiamo avere speranza, fede, ma anche tanta fiducia nella ricerca ed è giusto sostenerla”.
Chi è Monica Perna
Monica Perna, direttore della The English Academy e creatrice della Masterclass online Impara l’Inglese con Monica che l’ha portata al successo in Italia, è una giovane imprenditrice digitale italiana che vive e lavora a Dubai. Monica Perna è infatti Founder e CEO della AUGE International Consulting, l’impresa con cui diffonde globalmente la cultura dell’alta formazione linguistica, fornendo oggi le sue soluzioni formative ad oltre 700.000 studenti in tutto il mondo.
Monica Perna, imprenditrice digitale ed English Coach
Roma, 22 febbraio 2021 – Parlare della malattia oncologica resta ancora oggi un tabù dovuto all’intensa sofferenza e ai timori che seguono una diagnosi così importante. Ma parlare della propria malattia, condividere le proprie ansie, chiedere aiuto, esternare i propri pensieri diventa fondamentale per il mantenimento di una sana relazione con sé stessi e con le persone che si prendono cura del malato.
Il cancro cambia inevitabilmente tanti aspetti della vita di una persona: il rapporto con la propria immagine corporea, le sensazioni fisiche legate ai trattamenti, l’alimentazione, il rapporto di coppia, il rapporto con i figli, l’aspetto lavorativo e la complessiva progettualità della propria vita.
Un aspetto importante, ma spesso sottovalutato, è il dialogo con i bambini in seguito ad una diagnosi di tumore: comunicare ai propri figli l’avvento della malattia e le conseguenze che essa comporta è un compito che si tende a rimandare. Eppure “tale passo può creare le basi per una gestione sana dell’esperienza della malattia del genitore” osserva Gianni Lanari, psicoterapeuta responsabile del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est”.
La reazione che un bambino può avere può essere diversa a seconda di tre importanti fattori:
-La sua età;
-La sua abitudine all’esternazione delle proprie emozioni e alla comunicazione con la famiglia e il mondo;
-La sua personalità;
L’età di un bambino è importante poiché essa fa la differenza sulla sua percezione del mondo. Ad esempio, un bambino sotto i cinque anni d’età potrebbe avere più difficoltà a comprendere l’avvento della malattia e le conseguenze che essa comporta nella vita del proprio genitore e nel complesso della famiglia.
I bambini a quell’età hanno una tipologia di pensiero che Piaget definisce “pensiero magico”, secondo il quale molte cose che accadono attorno a sé possono essere legate al suo comportamento; per esempio, il piccolo può essere portato a pensare cose del tipo “la mia mamma si è ammalata perché quella volta io ho fatto i capricci e l’ho fatta arrabbiare”, un pensiero che può facilmente dar vita a infondati ma intensi sensi di colpa che necessitano di essere sradicati sin da subito.
Un bambino di qualche anno più grande invece potrebbe non essere in grado di esternare il suo disagio e le sue paure, facendole ricadere su sintomatologie corporee, su problematiche legate all’alimentazione o sulla condotta scolastica, potrebbe assumere un atteggiamento adultizzato, iper-responsabile, eccessivamente premuroso come espressione della paura della separazione dalla propria figura di accudimento.
Un adolescente, invece, vive già di suo un periodo più complesso per via dei cambiamenti che riguardano più ambiti della propria esistenza, dai processi fisiologici a quelli ideativi, da quelli umorali a quelli comportamentali. Egli va incontro alla sua progressiva indipendenza, alla sua autodeterminazione ed emancipazione dalle proprie figure genitoriali, per cui l’arrivo di un evento così ingente nella sua vita può comportare un congelamento di tali processi o, al contrario, uno scompenso di essi.
A seconda della struttura di personalità del minore, possiamo osservare la messa in atto di meccanismi difensivi più o meno funzionali per fronteggiare tale situazione: ci sono bambini che tendono a distaccarsi, mettere in atto vere e proprie forme di evitamento allo scopo di prepararsi in qualche modo alla separazione dal genitore; altri ancora potrebbero andare incontro a regressione dello stadio evolutivo, cioè cominciare a comportarsi come bambini più piccoli della loro età perché spaventati, impauriti dalla minaccia della perdita o per attirare l’attenzione degli adulti e tenerli più vicino a sè.
La dott.ssa Maria Giovanna Ginni, psicologa del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est”, afferma:
“Non bisogna dimenticare che le reazioni emotive dei bambini e degli adolescenti agli eventi critici dipendono soprattutto dal loro legame di attaccamento con la figura genitoriale: infatti, una relazione di attaccamento sicuro (J. Bowlby, 1988) favorisce uno sviluppo più sano e una maggiore capacità del bambino di affrontare eventi critici della vita. Un aspetto sano di questo tipo di attaccamento e, che in un momento come quello della malattia oncologica di un genitore risulta fondamentale, è la comunicazione.
Avere la possibilità di comunicare, sia da parte del bambino sia da parte del genitore, riduce la possibilità di fraintendimenti e favorisce una risposta alla sofferenza che sia più semplice da tollerare. Per favorire un sano processo di crescita nel bambino e un miglior adattamento ai cambiamenti che la malattia del genitore comporta, è importante che ci sia una buona comunicazione emozionale. Cosa vuol dire?
Innanzitutto, è importante che il genitore sia trasparente con lui, sin dal momento della diagnosi: scegliere di non mentire, ma di spiegare la situazione in termini comprensibili e adatti all’età del bambino significa permettere a quest’ultimo di avere il tempo per mentalizzare e metabolizzare i cambiamenti della malattia dell’adulto. È preferibile che sia il genitore stesso, dunque l’adulto affetto da cancro, a spiegare al bambino di che si tratta e che cosa succederà, lasciando che le emozioni fluiscano naturalmente.
Va bene condividere il bisogno di piangere, ascoltare le paure del bambino e permettergli di fargli fare domande: il piccolo ha bisogno di capire e di avere chiaro ciò che accadrà, pian piano, con la massima delicatezza ed un linguaggio semplice e adatto a lui.
Comunicare apertamente con lui significa trasmettergli un messaggiodi fiducia, maturità, significa farlo sentire parte importante della famiglia e renderlo agente attivo nel processo di cura verso il genitore. Egli ha bisogno di sentire il contatto stretto con la propria mamma o il proprio papà e quando questo non è possibile a causa del ricovero, si può permettergli vicinanza attraverso telefonate, videomessaggi, disegni, letterine da condividere con il proprio genitore momentaneamente lontano.”
Non è da trascurare l’aspetto della progettualità: pensare a cosa fare in futuro non appena la malattia sarà passata o comunque sarà avviato il processo di guarigione, aiuta sia il bambino che l’adulto a generare pensieri positivi e mantenersi attivi e propositivi.
Nel caso in cui un genitore non guarisca o sia ad uno stadio terminale della malattia, è importante che qualcuno per lui spieghi al bambino con parole semplici quello che sta accadendo, dando spazio alle sue emozioni, come la sua rabbia, il suo smarrimento, la sua paura. Legittimare, accogliere e attribuire un significato ai sentimenti del bambino lo aiutano ad affrontare con più forza e lucidità il distacco dal proprio genitore ammalato.
Non sempre si riesce a trovare le parole giuste per la sensibilità di un bambino o un adolescente, per questo potrebbe essere utile farsi aiutare da un esperto.
Il sostegno psicologico per il malato e per i familiari che vivono l’impatto di una diagnosi oncologica è fondamentale per l’elaborazione delle emozioni e dei sentimenti che insorgono in circostanze critiche come questa.
É per tale motivo che il Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” ha istituito un apposito servizio, offerto da una rete di 272 psicologi presenti in 20 paesi (Italia, Regno Unito, Hong Kong, Messico, Russia, Argentina, Grecia, Kenya, Ghana, Brasile, Portogallo, Serbia, Romania, Bulgaria, Egitto, Giordania, Azerbaijan, India, Spagna, Svizzera).
Per contattare il servizio, offerto in 21 lingue, basta telefonare al n. 06 227 963 55 o al n. 349 187 4670, o collegarsi al sito www.pronto-soccorso-psicologico-roma.it.
Roma, 5 dicembre 2021 – La diagnosi di cancro nella vita di un individuo è un fenomeno devastante, a causa di tutto ciò che la malattia porta con sé. Nel momento in cui il paziente oncologico si trova a dover gestire la malattia, tutto il suo mondo subisce una trasformazione di significati.
La prima a cambiare è la dimensione corporea, poiché il corpo è il primo nucleo dell’identità personale che viene colpito: gli effetti della malattia e delle terapie, come il dolore, la nausea, la perdita di capelli, la diminuzione o l’aumento di peso, ecc. hanno un peso notevole sulla propria immagine.
Dal punto di vista psicologico il paziente con diagnosi di cancro vive sentimenti intensi di irrealtà, incredulità, disorientamento e rabbia.
Il modo di gestire la crisi esistenziale scaturita dalla diagnosi differisce in base all’atteggiamento e allo stile di coping appartenenti al singolo individuo, che a loro volta influenzano la compliance ai trattamenti medici e il decorso biologico della malattia (Putton et al., 2011). Burgess nel 1988 ha individuato le principali strategie di coping adottate per affrontare la malattia neoplastica:
• hopelessness/helplessness, caratterizzato da elevati livelli di ansia e di depressione, dall’incapacità di mettere in atto strategie cognitive finalizzate all’accettazione della diagnosi, dalla convinzione di un controllo esterno sulla malattia;
• spirito combattivo, contraddistinto da moderati livelli di ansia e di depressione, da numerose risposte comportamentali attraverso le quali il paziente cerca di reagire positivamente e costruttivamente alla situazione, dalla convinzione di un controllo interno sulla malattia;
• accettazione stoica, con bassi livelli di ansia e depressione, attitudine fatalistica, dalla convinzione di un controllo esterno della malattia;
• negazione/evitamento, in cui appaiono del tutto assenti sia le manifestazioni ansioso-depressive, sia le strategie cognitive, nella convinzione da parte del paziente di un controllo sia interno che esterno della malattia.
Ciò che si riscontra più spesso è proprio l’atteggiamento di negazione, in particolar modo in fase diagnostica, come frutto di un meccanismo di difesa che permette in qualche modo all’individuo di prendere le distanze da una realtà minacciosa e preoccupante. Un meccanismo di difesa che va osservato, accolto, ma subito gestito: la negazione o il diniego, infatti, possono compromettere l’aderenza del paziente alle prescrizioni mediche, ai farmaci e a tutti i controlli che l’iter clinico prevede.
Un fenomeno spesso riportato dalla letteratura in merito alla diagnosi di cancro è quello della “sindrome psiconeoplastica”. Si tratta di una serie di dinamiche psicologiche profonde scaturite dalla stessa diagnosi che può presentarsi sotto forma di sintomi psicopatologici, la cui intensità dipende dall’insieme di diversi fattori: la personalità del paziente, le esperienze passate, la sua età, le relazioni interpersonali presenti e passate, la presenza di un contesto sociale e familiare supportivo, la gravità e il tipo di tumore diagnosticato.
I sintomi psicopatologici maggiormente presenti sono paura, stress, rabbia, ansia, depressione, alterazione della propria immagine corporea, aggressività e forte senso di ingiustizia.
Ginni Maria Giovanna, psicologa del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” afferma:
“Guardare negli occhi un paziente oncologico spesso si traduce nel cogliere il suo forte senso di impotenza. In seduta spesso essi riferiscono di veder ridursi il proprio senso di progettualità a causa del profondo e repentino senso di immanenza della propria morte, a causa delle modificazioni imposte al proprio stile di vita, dalla perdita del ruolo familiare, dalla riduzione delle capacità lavorative e dall’angoscia di disgregazione fisica e mentale.”
L’avvento della pandemia da Covid-19 ha reso più difficili le condizioni di chi convive con un tumore. Sono cresciute le ansie per la propria salute, per la normale conduzione delle terapie (chemio, radio, ecc.) e per le conseguenze che può comportare sul proprio corpo l’arrivo di un virus così potente. Molti pazienti si sono chiesti se fosse necessario sospendere le normali terapie, molti altri si sono chiesti se la loro condizione già di per sé fragile potesse diventare irrecuperabile una volta incontrato il virus.
La risposta data dagli esperti in merito è che fondamentalmente tutte le persone ammalate di cancro, così come chi presenta patologie cardiache, respiratorie e del sistema immunitario, fanno parte del gruppo a rischio. Bisogna tuttavia considerare che non tutti i pazienti affetti da cancro sono ugualmente suscettibili all’infezione da coronavirus e ugualmente a rischio per un decorso grave; incidono fattori come la tipologia di cancro, l’organo colpito, lo stadio del trattamento, l’età e la presenza di altre malattie.
A tal proposito, un gruppo di ricercatori britannici ha analizzato gli effetti del Coronavirus su pazienti con diverse caratteristiche e vari tipi di tumore, scoprendo che le differenze non mancano e che non tutti i pazienti oncologici sono più a rischio degli altri. Tale studio, riportato su Lancet, ha previsto il confronto tra persone con neoplasia e Covid-19 e pazienti oncologici che non risultavano affetti da coronavirus.
È stato osservato che nei pazienti con tumori del sangue, come leucemia, linfoma e mieloma, rispetto a quelli con tumori solidi, il Covid-19 ha avuto effetti più pesanti e il tasso di letalità è risultato più alto. “Il tumore del polmone e quello della prostata non sembrano legati a un maggior rischio di contrarre l’infezione e di morirne, mentre la categoria di pazienti con il rischio in assoluto più basso sono risultate essere le donne affette da tumori del seno e ginecologici” affermano gli autori.
Dunque, per motivi che possiamo facilmente immaginare, l’arrivo di questo virus sconosciuto ha messo in allarme i pazienti con diagnosi di tumore.
Un’altra ricerca ha mostrato che i pazienti affetti da cancro non hanno un rischio di infezione da Coronavirus maggiore di quello della popolazione non affetta da tumore, ma che la percentuale di persone risultate positive al virus e ospedalizzate era maggiore tra i pazienti oncologici, così come la percentuale di decessi.
Aspetti da non sottovalutare in questo caso, più che in altri, sono le conseguenze psicologiche dell’isolamento e il cambiamento dell’assetto lavorativo. La lontananza dagli affetti, la difficoltà di contatto anche con il proprio oncologo, lo stravolgimento delle abitudini quotidiane, hanno accresciuto il senso di disorientamento, la paura, il senso di abbandono fino a compromettere la motivazione e l’aderenza alla terapia.
Secondo i dati dell’Associazione Italiana di Oncologia medica (Aiom), il 15-20% dei pazienti si sono sentiti in qualche modo “frenati”dall’andare a eseguire le terapie salvavita, anche negli ospedali che hanno garantito i “percorsi puliti”.
Per tale ragione, molti centri oncologici, associazioni di medici e di psicologi hanno cominciato a offriresostegno a distanza, ai pazienti e ai loro familiari. Da un punto di vista lavorativo, i pazienti malati di cancro sono coloro che in via prioritaria hanno diritto a svolgere il proprio lavoro da remoto, attraverso lo smart working, così come stabilito dal decreto “Cura Italia”.
Un’ulteriore forma di isolamento quindi, in una condizione per la quale il contatto con l’esterno e l’interazione sociale diventano fattori prioritari per il mantenimento di un buon equilibrio psicologico.
Lo psicologo clinico può fare molto all’interno dell’equipe medica, riconoscendo i bisogni del paziente e aiutandolo ad affrontare il grande percorso del cambiamento fisico e psicologico che la malattia comporta, il passaggio dall’essere sani ad essere malati, a elaborare una situazione caratterizzata da incertezza e minaccia di morte.
“Nella situazione attuale i malati oncologici si ritrovano spesso a combattere una guerra su due fronti, quello della pandemia e quello del tumore. Diventa quindi molto importante la presenza di centri di supporto psicologico a cui appoggiarsi”, afferma Gianni Lanari, psicoterapeuta responsabile del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est”.
Il Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” ha per questo deciso di offrire un servizio, in 20 lingue, di aiuto psicologico per i malati oncologici e i loro familiari.
La rete “Roma Est” è composta da 252 psicologi presenti in tutte le regioni italiane e in 17 paesi esteri (Regno Unito, Hong Kong, Messico, Russia, Argentina, Grecia, Kenya, Ghana, Brasile, Portogallo, Serbia, Romania, Giordania, Azerbaijan, India, Spagna, Svizzera).
Per contattare il servizio di supporto psicologico basta telefonare al numero 06 22796355 o al numero 349 1874670, o collegarsi al sito internet www.pronto-soccorso-psicologico-roma.it.
Roma, 11 settembre 2019 – Un team di ricerca internazionale dell’Università Mahidol di Bangkok, in Thailandia, ha sviluppato un nuovo esame del sangue in grado di rilevare il carcinoma prostatico clinicamente significativo nei pazienti ad alto rischio.
Secondo il principale scienziato, il dott. Sebastian Bhakdi, il test è in grado di isolare e visualizzare cellule endoteliali circolanti associate al tumore (tCEC) da un piccolo campione di sangue da 10 ml.
Le cellule endoteliali circolanti associate al tumore sono biomarcatori altamente promettenti per la rilevazione di tumori in fase precoce perché si pensa che derivino direttamente dai vasi sanguigni di un tumore.
Sfortunatamente, tuttavia, sono estremamente rari e quasi indiscernibili dalle normali cellule del sangue, motivo per cui sono stati finora considerati non rilevabili nei laboratori di routine.
“Mentre i tumori maligni iniziano a crescere i vasi sanguigni quando hanno una dimensione di appena 1 mm, ma i tumori dormienti non si comportano allo stesso modo. Di conseguenza, il tCEC è il primo tipo di cellule associate al tumorea diffondere nella circolazione dell’ospite e può indicare se la malattia danneggerà o meno il paziente” spiega il Dr Andrea Militello, Urologo e Andrologo di Roma, eletto Miglior Andrologo d’Italia 2018.
“Non tutti i tumori hanno bisogno di cure. Non è solo importante rilevare precocemente la malattia, ma anche valutare se è di natura aggressiva o meno. I test per tCEC potrebbero risolvere entrambi i problemi allo stesso tempo” spiega ancora il dottore.
In collaborazione con partner privati, il dott. Bhakdi e il suo team hanno sviluppato una serie di nuove tecnologie che operano a temperature sotto lo zero che consentono loro di isolare tCEC dal sangue intero in appena 6 ore e visualizzarle al microscopio.
I colleghi sviluppato il primo test di screening al mondo basato su tCEC in grado di rilevare sistematicamente queste cellule molto rare in campioni di sangue standard. Lo studio suggerisce che il test serve a distinguere tra uomini con e senza carcinoma prostatico clinicamente significativo.
Secondo il medico thailandese-tedesco, che ora sta lavorando a Singapore, il nuovo test tCEC non è stato progettato come un test autonomo, ma come un componente aggiuntivo per lo screening dell’antigene prostatico specifico (PSA) in modo da adattarsi perfettamente nei percorsi diagnostici esistenti.
“Lo screening del PSA è un argomento molto dibattuto nell’urologia moderna. In oltre il 75% di tutti i casi in cui i test del PSA hanno portato a una biopsia multi-core della prostata, è risultato negativo. Il che significa che il paziente è stato sottoposto a una procedura altamente invasiva per ragione a tutti “, ha detto il Dr. Militello, che da anni si occupa della diagnostica non invasiva del carcinoma prostatico.
“Il test tCEC ora può colmare il divario tra lo screening del PSA e la biopsia, assicurando solo quei pazienti che hanno davvero bisogno di sottoporsi all’operazione. Con questo, speriamo di creare un reale beneficio clinico senza dover scuotere i percorsi diagnostici esistenti” dice ancora l’urologo romano.
I risultati , ora pubblicati su Cancers, una delle riviste di oncologia di più alto livello nel mondo, indicano che i test tCEC potrebbero evitare oltre il 70% delle biopsie innescate dalle letture del PSA nella cosiddetta “zona grigia diagnostica” (4-20 ng / mL).
Secondo il Dr Militellol’alto valore predittivo negativo del test (probabilità che i soggetti con un test di screening negativo non presentino la malattia) del 93%, sarebbe la chiave per escludere con sicurezza risultati falsi negativi, e con esso, ulteriore esame del paziente.
“Esistono diversi test promettenti per governare il carcinoma prostatico, in particolare il PSA e la risonanza magnetica multiparametrica (mpMRI). Il problema è che nessuno di loro è in grado di escludere con sicurezza la malattia, che è la chiave per evitare test di follow-up potenzialmente dannosi. In combinazione con PSA come test di regole, l’alto valore predittivo negativo del nostro test potrebbe finalmente colmare il gap” conclude l’andrologo Militello.
Uno studio ha individuato nel caffè composti che potrebbero inibire il cancro alla prostata
Roma, 27 agosto 2019 – Per la prima volta gli scienziati hanno identificato composti del caffè che potrebberoinibire la crescita del cancro alla prostata.
La notizia è stata presentata al congresso dell’Associazione europea di urologia a Barcellona, dopo la pubblicazione sulla rivista The Prostate (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1002/pros.23753).
Il caffè è una complessa miscela di composti che ha dimostrato di influenzare la salute umana sia in modo positivo che negativo.
E vi sono ormai prove crescenti che l’assunzione di alcuni tipi di caffè sia associata a una riduzione dell’incidenza di alcuni tumori, inclusi i tumori della prostata.
Ora gli scienziati giapponesi hanno studiato gli effetti di due composti trovati nel caffè, il kahweol acetato e il cafestol, sulle cellule tumorali della prostata e negli animali, dove sono stati in grado di inibire la crescita delle cellule resistenti ai comuni farmaci anticancro come il Cabazitaxel.
Kahweol acetato e cafestol sono idrocarburi, naturalmente presenti nel caffè arabico e si è scoperto che il processo di preparazione del caffè influenza se questi composti rimangono nel caffè dopo la preparazione (come con l’espresso) o se vengono rimossi (come quando vengono filtrati).
I ricercatori hanno inizialmente testato sei composti, naturalmente presenti nel caffè, sulla proliferazione delle cellule tumorali della prostata umana in vitro (cioè in una capsula di Petri).
Hanno scoperto che le cellule trattate con kahweol acetato e cafestol sono cresciute più lentamente dei controlli. Hanno quindi testato questi composti su cellule tumorali della prostata che erano state trapiantate in 16 topi: 4 topi erano controlli, 4 sono stati trattati con acetato di kahweol, 4 con cafestol, mentre i topi rimanenti sono stati trattati con una combinazione di acetato di kahweol e cafestol.
“In questo interessante studio l’acetato di kahweol e il cafestol hanno inibito la crescita delle cellule tumorali nei topi, ma la combinazione sembrava funzionare sinergicamente, portando a una crescita tumorale significativamente più lenta rispetto ai topi non trattati. Dopo 11 giorni, i tumori non trattati erano cresciuti di circa 3 e mezzo volte il volume originale (342%), mentre i tumori nei topi trattati con entrambi i composti erano cresciuti di poco più di una volta e mezzo (167%) volte le dimensioni originali” ci dice l’andrologo e urologo Dr. Andrea Militello (www.urologia-andrologia.net).
“È importante mantenere questi risultati in prospettiva. Questo è uno studio pilota, quindi questo lavoro mostra che l’uso di questi composti è scientificamente fattibile, ma necessita di ulteriori approfondimenti; non significa che i risultati possano ancora essere applicati agli esseri umani. E’ stata anche riscontrata la riduzione della crescita nelle cellule tumorali trapiantate, piuttosto che nelle cellule tumorali native. Ciò che mostra è che questi composti sembrano avere un effetto sulle cellule resistenti ai farmaci nelle cellule del carcinoma della prostata nelle giuste circostanze e che anche loro hanno bisogno di ulteriori indagini. Attualmente si sta valutando come si potrebbero testare questi risultati in un campione più ampio, e quindi nell’uomo” spiega ancora il professore.
Quindi l’uomo nell’età a rischio deve aumentare l’uso del caffè?
“Questi sono risultati promettenti ma non dovrebbero far sì che le persone cambino il loro consumo di caffè. Il caffè può avere effetti sia positivi che negativi (ad esempio può aumentare l’ipertensione), quindi dobbiamo scoprire di più sui meccanismi alla base di questi risultati prima di poter pensare alle applicazioni cliniche. Tuttavia, se possiamo confermare questi risultati, potremmo avere candidati per il trattamento del carcinoma della prostata resistente ai farmaci” conclude il Dr Andrea Militello.
Roma, 28 maggio 2019 – Novità importanti sulla cura del tumore alla prostata grazie all’epigenetica, il meccanismo principale che controlla la trascrizione di geni specifici senza cambiamenti nelle sequenze del DNA sottostanti. Le alterazioniepigenetiche portano a modelli anormali di espressione genica che contribuiscono alla carcinogenesi e persistono durante la progressione della malattia.
“A causa della natura reversibile le modificazioni epigenetiche emergono come promettenti bersagli farmacologici antitumorali. Diversi composti sono stati sviluppati per invertire le attività aberranti degli enzimi coinvolti nella regolazione epigenetica, e alcuni di essi mostrano risultati incoraggianti in studi preclinici e clinici” – spiega il Dr. Andrea Militello, eletto come miglior andrologo e urologo nel 2018 e già libero docente presso l’Università Federiciana di Cosenza.
“Negli ultimi tempi i nostri studi, cercano di interpretare in modo completo i ruoli aggiornati dell’epigenetica nello sviluppo e nella progressione del cancro alla prostata. Ci concentriamo soprattutto su tre meccanismi epigenetici: metilazione del DNA, modificazioni dell’istone e RNA non codificanti. Elaboriamo gli attuali modelli / teorie che spiegano la necessità di questi programmi epigenetici nel guidare i fenotipi maligni delle cellule tumorali della prostata” racconta ancora l’urologo.
In particolare, si cerca di far chiarezza in che modo alcuni regolatori epigenetici incrociano con percorsi biologici critici, come la segnalazione del recettore degli androgeni (AR), e come la cooperazione controlli dinamicamente i profili trascrizionali orientati al cancro.
Il ripristino di un paesaggio epigenetico “normale” è promettente come cura per il cancro alla prostata.
“Potremmo in futuro prossimo, evidenziare particolari modificazioni epigenetiche come biomarcatori diagnostici e prognostici o nuovi bersagli terapeutici per il trattamento della malattia”, conclude il dott. Militello.
Viareggio, 21 marzo 2019 – Sarà presentato a Viareggio presso Villa Argentica, il 27 marzo prossimo, con la Onlus ‘Amici per sempre’, con il patrocinio della Provincia di Lucca il libro “18 millimetri di indifferenza”, della scrittrice vercellese Barbara Appiano. I proventi del libro saranno devoluti interamente alla stessa Onlus, creata dal Primario della Chirurgia dell’ospedale di Desio Dott. Maggioni Dario, e in seguito il libro sarà presentato presso lo stesso ospedale, alla presenza dei malati oncologici.
Onlus i cui fini sono quelli di finanziare la ricerca, dare assistenza agli ammalati, e erogare borse di studio agli studenti più meritevoli, ad essere dedicato al
Il libro, dedicato dalla scrittrice ai Dott.Francesco Dessi e Dott.Valter Berardi che l’hanno liberato dalle “particelle scomunicate da Dio” parte dalla scoperta del cancro dalla scrittrice, per arrivare a profonde riflessioni sul significato del cancro, della malattia e delle nostre stesse esistenze.
“18 millimetri di indifferenza” è un libro sperimentale in cui a parlare è la stessa malattia, perché la Appiano giunge alla conclusione che “il tumore abbia una sua forma di coscienza, oltre che una spinta del cervello frontale, o limbico, che é la parte emozionale della mente2.
Da qui la convinzione della scrittrice per cui “sia il nostro stesso subconscio a decidere di farci ammalare“, con dimostrazioni di questa sua tesi nello stesso libro .
Perché per Barbara Appiano “il tumore è il complemento oggetto della nostra vita spesa male, a distruggere prima il pianeta, e poi noi” e perché “il tumore è la più perversa forma di suicidio assistito”.
Questa la prefazione del libro scritto dalla Prof.ssa Francisetti Brolin Sonia.
“Nella rapidità dei tempi moderni, dominati dal motto “tutto e subito”, sono sempre più presenti due spettri: la nostalgia e il cancro. Spesso questi incubi sono passati sotto silenzio, come se la damnatio memoriae servisse a un’atetesi implicita, mentre, in realtà, acquisiscono maggior forza tra le nostre paure. In tal senso, Barbara Appiano, parlando della propria esperienza di malata oncologica, ci mostra e ci insegna, quale pedagogista di un nuovo umanesimo, una via per capire il tumore e sconfiggerlo.
Il testo, attraverso ventiquattro capitoli, al pari dei libri dei poemi epici, incarna una novella enciclopedia tribale, per usare una espressione di Parry in relazione all’Iliade, Infatti, l’autrice tenta di fornire un libretto di istruzioni per la vita, nella quale ci accompagnano sempre, ancelle del Fato, le malattie, anche se l’uomo si illude di essere immortale. Solitamente, le narrazioni sulla sconfitta di un brutto male, eufemismo rassicurante, sono scritte in prima persona dal vincente, il paziente che ha sconfitto l’intruso. Barbara Appiano, invece, fa parlare in prima persona la cellula tumorale, il Bosone di Higgs, che è stato costretto a cedere di fronte alla sua forza d’animo.
La scrittura, con un approccio di pavesiana memoria, diventa, dunque, un metodo per liberarci dalla codardia, che spesso spinge il malato ad arrendersi alla malattia per sfinimento. Il tumore, difatti, è correlato a un altro grande male del nostro secolo, cioè la nostalgia, intesa quale malinconia, solitudine, che rende il singolo, ormai indebolito nella sua essenza di animale sociale, una facile preda del Bosone.
Il Bosone predatore, un’immagine forse un poco forte a una prima lettura, rappresenta bene l’istinto di predazione dell’umanità stessa, un istinto negativo, se le ambizioni e le ansie distruggono la nostra physis, ma positivo, se si tratta della capacità, insita in noi, di reagire al gioco d’azzardo di una vita che, tante volte, ci pone davanti a un tavolo da poker, a cui, pur controvoglia, dobbiamo giocare una partita. Così, con fatalismo dirompente, l’autrice racconta la scoperta, durante una mammografia, di una massa tumorale di diciotto millimetri, ma, con il suo abituale taglio ironico e uno stile inconsueto, il tumore viene presentato come un condannato a morte, perché, se non si pensa alla malattia, il cancro muore, sopraffatto dalla nostra vis.
Il libro, dedicato ai malati incontrati in ospedale e descritti in modo vivo con bozzetti dal realismo verghiano, non si prefigge di essere una celebrazione utopistica di un mondo senza tumori, bensì, nella consapevolezza di aver vinto una battaglia in una guerra ancora in corso per l’intera umanità, Barbara Appiano, ringraziando profondamente i medici per le cure e il supporto, esprime la volontà della sopravvivenza, per insegnarci a vivere i minuti, le ore e i giorni senza pensare ossessivamente, in solitudine, alla malattia.
La voglia di vivere non è certo un passe-partout contro la morte, ma, nella dicotomia shakespeariana tra l’essere e il non essere, la scrittura può offrire una terza via, ossia sognare, perché i sogni, non essendo del singolo, ma degli uomini nel complesso, non muoiono mai.
Nel suo idealismo, Barbara Appiano cede ai lettori e, in particolare, ai pazienti oncologici, nonché alle loro famiglie, i propri sogni, le visioni oniriche di una pioniera, pronte per essere scongelate e scaldate nel cuore di chi, purtroppo, è più debole di fronte alle emergenze esistenziali della vita”.
Copertina 18 millimetri di indifferenza – L’ultimo libro di Barbara Appiano
Roma, 6 novembre 2018 – Subito dopo il recente congresso mondiale sul cancro del polmone di Toronto, di cui si è a lungo discusso durante il 4° Meeting Nazionale Alcase, l’appuntamento annuale dei pazienti e “caregiver” del settore, si è assistito ad un’accelerazione dell’interesse medico-scientifico sulla possibilità di contrastare lapandemia di morti per cancro del polmone attraverso lo screening delle popolazioni a rischio mediante tac toracica a bassa dose di radiazioni.
Qualche giorno fa è stata resa poi nota la posizione ufficiale della IASLC, l’ International Association for the Study of Lung Cancer (www.iaslc.org) che sollecita gli organismi sanitari di tutti i paesi del mondo a introdurre programmi nazionali di screening.
“Il consenso degli esperti è unanime, è tempo per i leader internazionali di governo, e di coloro che gestiscono i sistemi sanitari, di implementare i programmi di screening del tumore al polmone, così come avviene per la prevenzione del cancro al seno con le mammografie, del cancro al colon con la colonscopia, che stanno salvando un numero considerevole di vite umane”, hanno detto dalla IASLC .
Alcase, da parte sua, ha sempre sostenuto la necessità di implementare in Italia un programma nazionale di screening visto anche che altrove, come negli USA per esempio, questi programmi nazionali sono già attivi da qualche anno.
Per questo l’associazione Alcase ha lanciato la Campagna Nazionale sullo Screening (https://www.alcase.eu/education/screening/campagna-nazionale-per-lo-screening) e una petizione su Change.org, che ha già ampiamente superato le 10.000 firme (https://www.change.org/p/ministero-della-salute-screening-gratuito-per-il-cancro-al-polmone).
Secondo la Alcase è giunto il momento di dare un forte accelerazione alla campagna, per questo ha lanciato la lettera aperta al Presidente della Repubblica, che il 2 novembre scorso è stata ricevuta in Quirinale e che qui di seguito riportiamo.
Chi volesse può scaricare qui la lettera al Presidente Mattarella, e diffonderla fra parenti, amici, conoscenti, per aiutare la campagna ad avere il massimo impatto possibile.
LETTERA APERTA AL PRESIDENTE MATTARELLA PER SALVARE 5.000 ITALIANI ALL’ANNO CON GLI SCREENING AL POLMONE
Stimato Presidente
l’associazione nazionale The Alliance for Lung Cancer Advocacy Support and Education – Italian Chapter (ALCASE Italia), che ho l’onore di presiedere, è l’unica organizzazione non-profit italiana esclusivamente dedicata ai bisogni dei malati di cancro del polmone, dei loro familiari, e di tutte le persone a rischio di ammalarsi. Ed, appunto, per il bene di quest’ultima categoria di persone, quella a rischio, che le scrivo.
Lei saprà certamente che il tumore del polmone è molto frequente ed é soprattutto gravato da un indice di mortalità che lo rende la causa più frequente di morte per cancro nel nostro paese (dati AIOM-AIRTUM).
C’è un modo, però, per ridurre significativamente il numero di morti: implementare un programma nazionale di screening, mediante tomografia computerizzata del torace a bassa dose di radiazioni (TC).
Pochi giorni fa, alla conferenza mondiale sul cancro del polmone (IASLC-WCLC 2018 ) sono stati presentati i risultati, molto attesi, di un grande studio europeo (oltre 15.000 persone arruolate): lo studio Nelson. Lo studio dimostra una riduzione di almeno il 26% della mortalità per cancro del polmone nella popolazione sottoposta a screening con TC, rispetto alla popolazione di controllo non sottoposta a screening. Questi dati confermano definitivamente quelli del gigantesco trial americano, il National Lung Screening Trial (NLST), condotto similmente su oltre 50.000 individui. Quest’ultimo studio aveva ottenuto, sempre con lo screening mediante TC, una riduzione del 20% delle morti per cancro del polmone.
Tornando ai dati italiani e applicando le percentuali di riduzione della mortalità ottenute nei due studi su citati, lo screening avrebbe potuto evitare qualcosa come il 20-26% dei 33.836 decessi per cancro al polmone avvenuti in Italia nel solo 2015. Considerando come reale il valore intermedio del 23% , 7.800 italiani avrebbero visto il loro tumore scoperto in uno stadio precoce di malattia, sarebbero state sottoposte ad intervento di resezione radicale definitiva, e sarebbero guariti. In teoria…
Nei fatti, il numero di 7.800 persone salvabili sovrastima un po’ il numero reale dei beneficiari dello screening, in quanto non tutti gli italiani, ma solo le persone a rischio di cancro al polmone andrebbero sottoposte a screening. Noi stimiamo, anche grazie al supporto esterno di esperti italiani di fama mondiale, che il 60% dei 33.836 decessi sia avvenuto nella sottopopolazione di forti fumatori, che costituiscono, appunto, la popolazione a rischio su accennata. Ciò si tradurrebbe in un numero di 4680 morti in meno.
Dunque, quasi 5.000 vite umane salvate in un solo anno!!
Alla luce di questi dati e di queste considerazioni, noi di ALCASE la preghiamo, Signor Presidente, di voler prender coscienza della enormità del danno, sociale ed individuale, provocato da un tumore che, non a caso, tutti conoscono come il Big Killer. E di prendere atto della possibilità concreta, oggi esistente, di limitarne gli effetti mortali, con una semplice riorganizzazione delle strutture sanitarie oggi esistenti, e con costi tutto sommato contenuti.
Quando, a seguito di una calamità naturale, è a rischio la vita di un gruppo di persone o anche di un solo essere umano, il nostro paese è capace di slanci di solidarietà incredibili e… non guarda certo alle spese! Perché di fronte a qualche migliaio di vite in pericolo -certamente salvabili- giriamo lo sguardo da un’altra parte?… Non è giusto, non è etico, non è da Italiani.
Dopo aver preso coscienza della tragedia silenziosa di migliaia di connazionali, la preghiamo poi di volersi attivare sollevando il problema in tutte le occasioni e in tutte le sedi in cui ve ne sia l’opportunità.
La preghiamo di intercedere per noi con chi ha la responsabilità del governo del paese, perché nessun italiano venga abbandonato a morte certa se lo si può salvare. La imploriamo di dedicare un passaggio di uno o più discorsi pubblici a questa tragedia, ignorata da tutti e dai mass media in particolare.
Bisogna creare un movimento di empatia nei confronti di chi soffre di una malattia così grave. Bisogna creare una consapevolezza diffusa del fatto che esistono provvedimenti in grado di limitare realmente, già da oggi ed in maniera significativa, il dolore che il cancro del polmone provoca in una larga fetta della popolazione italiana.
Bisogna investire nella vita. No solo quella sotto riflettori dei media, ma anche quella di chi muore in silenzio fra le braccia della propria famiglia.
Signor Presidente, la sua funzione di garante del benessere di tutti i cittadini italiani la obbliga ad essere presente e ad impegnarsi in molteplici settori. Milioni di Italiani, che rischiano di essere le prossime vittime del Big Killer, la pregano di voler dare una risposta anche alla questione qui sollevata.
Noi tutti, la invitiamo a voler diventare il supremo “Advocate” della implementazione di un programma nazionale di screening per il cancro del polmone!
Roma, 30 ottobre 2018 – Si è chiuso da poco il 4° Meeting Nazionale ALCASE, il meeting italiano di pazienti, ex-pazienti e familiari di persone colpite dal cancro al polmone e si comincia a trarre le prime conclusioni sullo stato della malattia in Italia. Sono stati circa 60 i partecipanti provenienti da tutta Italia, che si sono riuniti a Milano con l’intento di rinnovare il loro comune impegno nella lotta contro il cancro del polmone.
Alcuni dei partecipanti erano dei veri e propri veterani del meeting, avendo preso parte a tutte e tre le edizioni precedenti, mentre altri hanno, in questa occasione, avuto modo di partecipare all’iniziativa per la prima volta.
Tutti hanno condiviso una storia di malattia oncologica, unica e irripetibile. Fra gli altri è stato presente in sala il bis-maratonetaLeonardo Cenci, che ha infuso forza, determinazione e visione positiva della vita a tutti i partecipanti raccontando come da oltre 6 anni tiene sotto controllo il proprio tumore al polmone, mantenendo una ottima qualità di vita e ottenendo risultati sportivi eccellenti, anche per soggetti in piena salute.
Nel contesto del meeting di Milano, realizzato con il contributo non condizionato di AstraZeneca, Leonardo Cenci è stato insignito del premio di eccellenza giornalistica della Global Lung Cancer Coalition (GLCC) per il suo libro: “Vivi, Ama, Corri. Avanti tutta!”.Il premio, nella sua edizione precedente, era stato assegnato a Paola Staccioli, scrittrice e “cancer survivor” della stessa malattia che quest’anno si è aggiudicata il Global Award (la versione internazionale del premio) per il suo blog su Repubblica.it,“Le O2”.
La stessa GLCC era idealmente presente al Meeting ALCASE con Maureen Rigney, giunta a Milano in rappresentanza di una organizzazione americana molto influente, la LCA, Lung Cancer Alliance (lungcanceralliance.org).La Rigney ha presentato la propria organizzazione e alcuni dei suoi successi, fra cui il “Recalcitrant Research Act”, grazie al quale milioni di dollari del governo federale sono stati destinati alla ricerca biomedica riguardante, nello specifico, il cancro del polmone a piccole cellule. Si è poi soffermata sull’importanza delle relazioni internazionali, ed in particolare sui rapporti di LCA con la GLCC e con ALCASE Italia.
Un tema molto discusso nel corso del meeting è stato la necessità di avviare unprogramma nazionale di screening per il cancro al polmone, come già realizzato da 4 anni negli Stati Uniti e come avviene da molti anni, per altri tipi di tumore, nel nostro paese.
“I fondamentali scientifici che giustificherebbero l’introduzione dello screening anche in Italia e in Europa ci sono tutti: lo screening riduce la mortalità per cancro al polmone del 20% (o persino di più secondo i dati dell’europeo Nelson Trial, appena presentati alla recentissima conferenza mondiale, WCLC-2018, di Toronto).Manca solo un sostanziale elemento: la volontà politica di salvare decine di migliaia di vite umane” ha commentato Gianfranco Buccheri, Direttore Scientifico di ALCASE.
Oltre allo screening si è parlato infine di come affrontare lo “stigma” che circonda il cancro del polmone (ovvero il marchio di colpevolezza che percepiscono i malati, anche quando non hanno mai fumato nella loro vita) e della necessità di abbattere il “muro del silenzio”, in quanto si parla molto poco di questa malattia, in generale e sui media in particolare, nonostante il fatto che la scienza abbia recentemente ottenuto importanti successi nell’assicurare una vita prolungata e di qualità a chi un tempo aveva un’aspettativa di vita di solo pochi mesi.
Prima causa di morte per cancro nel mondo, con 2,09 milioni di persone colpite ogni anno e 1,7 milioni di morti (una mortalità quasi tre volte superiore a quella del tumore della mammella, dati OMS).
Se diagnosticato in uno stadio iniziale è guaribile nel 60-70% dei casi (95% nello stadio Ia, quello più favorevole).
Purtroppo, la maggior parte dei pazienti viene diagnosticato in uno stadio avanzato omolto avanzato, il che fa crollare le possibilità complessive di guarigione al 15%.
Su ALCASE Italia:
ALCASE Italia, acronimo in lingua inglese che sta per “Alleanza –alliance- per la promozione della causa di malati –advocacy– di cancro del polmone –lung cancer-, il loro supportomaterialee morale –support- e per la divulgazione medico-scientifica e la prevenzione –education-”) è la prima e più influente associazione di pazienti di cancro del polmone in Italia.E’ affiliata all’omonima organizzazione americana (oggi Lung Cancer Alliance, http://www.lungcanceralliance.org) e porta avanti la propria missione in sintonia ed in collaborazione con la Global Lung Cancer Coalition (www.lungcancercoalition.org), di cui è membro fondatore. L’informazione (education) è fra i pilastri della missione di ALCASE.
ALCASE Italia conta oggi su una visibilità su internet costituita da una media di oltre 2.000 nuovi visitatori unici al giorno nei due siti web (ovvero circa 740.000 in un anno); oltre a 24.000 followers sulle 2 pagine FB, e 2.000 nei vari gruppi FB collegati.
Roma, 24 settembre 2018 – Il dramma del cancro va in scena in teatro grazie ad una rassegna di incontri gratuiti aperti a tutti con lo scopo di sensibilizzare e informare sui percorsi oncologici.
“Egregio Ministro, sono Carlo Oldani, ho 29 anni e vivo a Roma. Le scrivo per manifestarLe un malessere così denso e torbido che mi impedisce una vita serena. Come molte persone ho una storia da raccontare, una voce che ne racchiude tante altre, un grido…”
È da questa frase, da questa lettera diretta alle istituzioni, che nasce il progetto Costellazione Cancro. Un’idea scaturita da un’esperienza di vita diffusa che da gennaio 2019 prenderà vita grazie al Nuovo Teatro Orione di Roma, grazie alla consulenza medica del dott. Andrea Mancuso, specialista in Oncologia Medica di Ricerca e Biologia Molecolare applicata ai Tumori Solidi, al suo staff e all’importante sostegno di B-MAT ILAB e della Clinica Sanatrix.
Spesso il cammino delle persone che affrontano il cancro è colmo di imprecisioni e informazioni frammentarie, con poca attenzione al modo in cui il mondo progredisce.
L’obiettivo principale di questo ambizioso progetto è dare un contributo divulgativo libero e trasparente, con un’attenzione particolare ai metodi, alle varianti di cura e alla sofferenza psicologica del paziente e di chi gli sta attorno.
Un evento che rende ancora una volta il Nuovo Teatro Orione (www.teatroorione.it) protagonista della cultura, sotto diverse forme e interpretazioni, per informare, guidare e condividere.
La rassegna di Costellazione Cancro, che verrà presentata al pubblico e alla stampa dal dott. Mancuso e dalla Direzione del Teatro in occasione della conferenza stampa del 26 settembre alle ore 12.00, è solo una dei numerosi, nuovi, non convenzionali progetti che faranno parte della stagione 2018/2019 del Nuovo Teatro Orione.