Fare impresa: gamification e welfare rendono più produttive le risorse umane

Sistema Manuagere

Gamification e welfare aziendale valorizzano e rendono più produttive le risorse umane

Roma, 26 gennaio 2022 – Un nuovo format sta stravolgendo l’organizzazione aziendale, aiutando gli esperti in Project Management ad ingaggiare i propri collaboratori, a migliorarne il benessere e conseguentemente a incrementarne la produttività. Tutto si basa sulla volontà di dare il giusto valore al “capitale umano”, inserendo la gamification aziendale in un progetto più ampio di welfare aziendale.

Parte da questi presupposti l’innovativo “Sistema Manuagere” lanciato da Fattoria dei Talenti, una cooperativa che offre consulenza alle imprese, garantendone la competitività nello scenario attuale che è molto diverso da quello che predominava fino a pochi anni fa.

L’impatto della pandemia sull’organizzazione aziendale

La pandemia ha accentuato e velocizzato lta trasformazione dell’organizzazione aziendale.

“Pochi giorni dopo il primo lockdown – dichiara Ugo D’Alberto, business trainer e Presidente di Fattoria dei Talenti – abbiamo capito che le cose sarebbero cambiate per sempre: avevamo bisogno di digitalizzare parte del nostro lavoro. Ci serviva una piattaforma digitale, per facilitare l’engagement delle HR e che semplificasse il project management di imprenditori e manager. Abbiamo trovato la soluzione nella gamification aziendale, che utilizza la teoria dei giochi per coinvolgere le persone e monitorare il loro progresso in termini di acquisizione di competenze e di produttività. Il nostro sistema Manuagere (dal latino: condurre con mano) permette di accumulare punti per ogni azione che viene compiuta e di premiare i risultati ottenuti dalle persone, il tutto facilmente dal proprio smartphone”.

Lo studio dei dati

Le imprese da quando è scoppiata la pandemia hanno iniziato a sperimentare le opportunità del welfare aziendale ma senza riuscire ad identificare in modo oggettivo alcuni indicatori di produttività (KPI). Gli esperti di Fattoria dei Talenti, studiando le azioni intraprese da queste imprese, hanno scoperto che quasi nessuna di queste ha abbinato le enormi opportunità della gamification aziendale, che permette di aumentare il coinvolgimento e la produttività delle persone utilizzando dinamiche derivate dal mondo dei giochi, ad un progetto di welfare aziendale.

È per questo motivo che, ispirati da questi questi dati, hanno condotto ulteriori studi e ricerche riuscendo a dimostrare che, in un contesto di bassa motivazione, sono proprio le risorse migliori ad uscire dall’azienda per cercare ambienti più stimolanti.

Un individuo, infatti, esprime il suo potenziale non solo grazie all’insieme di capacità, competenze, conoscenze, abilità professionali e relazionali acquisite mediante l’istruzione scolastica ma anche – e soprattutto- attraverso l’apprendimento e l’esperienza maturata sul posto di lavoro che ricopre.

È da questo principio che il capitale umano assume un’importanza cruciale per qualsiasi azienda: le conoscenze e le competenze dei membri di un team di lavoro non sono facilmente sostituibili in quanto intrinsecamente elaborate dai soggetti che le hanno acquisite.

Le attività di Manuagere

Mappatura dei talenti presenti nel team di lavoro

Ogni componente del gruppo viene mappato in termini di talento grazie ad efficaci analisi psicometriche. Il risultato che ne emerge viene messo in relazione al ruolo e si analizzano le dotazioni dei talenti e le aree di miglioramento. In questo modo diventa evidente quale sia il gap da colmare per rendere più coinvolta e produttiva la persona.

Implementazione dell’E-learning gamification

Ottenuta la mappatura del talento e compreso il gap da colmare, vengono creati il piano di studio e il percorso di carriera. Ogni membro del gruppo avrà i suoi contenuti da studiare su cui vengono erogati questionari di comprensione. La gamification permette di spingere le persone a studiare sfruttando le dinamiche di gioco: più studi, più vinci.

Applicazione di un modello di governance aziendale efficace

Manuagere permette al manager di avere tutti gli elementi per svolgere al meglio il suo ruolo con un solo strumento. La piattaforma, è la miglior palestra di management esistente perché integra in modo ottimale aspetti teorici con la pratica del project management.

Definizione oggettiva dei KPI

La digitalizzazione e il lavoro a distanza hanno amplificato la necessità di passare da un “controllo del fare” a una “gestione per KPI”. Con Manuagere ogni membro del team ha la possibilità di vedere i propri risultati in tempo reale da qualsiasi device e confrontarli con i KPI dei suoi colleghi. L’effetto immediato è la riduzione dei Costi di Non Qualità (CNQ) e l’incremento della marginalità.

Aumento della produttività

Passare dalla logica “del fare” alla logica “dell’avere” un risultato consente un collegamento immediato a gratificazioni sotto forma anche di semplici riconoscimenti o premi che possono rientrare in un paniere del welfare aziendale. Attraverso Manuagere si possono creare veri e propri percorsi legati al raggiungimento di risultati e ogni componente può avere i suoi parametri di riferimento in base al suo percorso professionale e ai budget da raggiungere.

Per consigli e suggerimenti su come migliorare la produttività del personale rimandiamo al blog www.fattoriadeitalenti.it/blog, o alla pagina dei contatti del blog.

 

 

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Ufficio Stampa

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Ugo D’Alberto, presidente Fattoria dei Talenti

 

 

Automotive: per scovare i migliori talenti essenziale l’head hunting puro

Milano, 2 marzo 2020 – Croce e delizia dell’economia italiana, il settore automotive conta oggi in Italia circa 250.000 occupati. La maggiore complessità dei nuovi veicoli obbliga le aziende a ricercare profili altamente qualificati, difficili da individuare sul mercato italiano: diventa quindi fondamentale il supporto di selezionatori professionisti

Il settore Automotive assicura al Prodotto Interno Lordo italiano un contributo di 93 miliardi di euro, e per questo si tratta indubbiamente di un settore strategico per l’economia del Paese. Eppure, dopo una sensibile ripresa economica registrata tra il 2014 e il 2017, il comparto sembra essere tornato a decrescere flebilmente.

Ciononostante, gli analisti prevedono una crescita costante delle vendite globali di auto nel prossimo decennio, con un incremento di circa il 20%. Questo dato non può certo essere trascurato, partendo dal presupposto per cui circa il 65% delle auto prodotte in Italia è destinato ai mercati esteri.

A intimorire le imprese del settore è la falsa partenza del 2020, con immatricolazioni di gennaio diminuite del 5,9% rispetto al 2019. Ma c’è anche un altro dato interessante, relativo al raddoppio delle vendite delle auto ibride, che crescono insieme alle elettriche: in tutto, la vendita delle auto elettriche a gennaio 2020 è stata 5 volte quella del 2019. Questo a dimostrare il fatto che l’industria automobilistica sta effettivamente cambiando, con una necessità crescente di nuovi profili specializzati.

A fronte di una crescente difficoltà delle aziende nell’individuare i profili necessari nel mercato del lavoro, nel nostro Paese si contano poche agenzie di ricerca e selezione del personale specializzate nel settore Automotive.

«L’industria automobilistica sta cambiando velocemente» spiega Carola Adami, co-founder e CEO di Adami & Associati «muovendosi verso un futuro che, è già scritto, vedrà delle auto sempre più connesse e iperconnesse. I veicoli attuali e del futuro sono e saranno caratterizzati da una maggiore complessità a livello progettuale e costruttivo: alle classiche figure professionali dell’Automotive se ne stanno così via via affiancando delle altre con peculiari competenze IT, le quali però, a causa dell’endemico gap italiano tra domanda e offerta, non sono sempre di facile reperimento».

Da qui l’importanza di poter contare su una società di head hunting specializzata nella ricerca e selezione di personale per il settore Automotive, che diventa ancora più evidente.

A fare la differenza è per l’appunto la specializzazione: un’agenzia di recruiting nell’automotive, come la Adami & Associati, per esempio, può contare su degli head hunter focalizzati sul mondo dell’automobile, e che conoscono quindi le reali esigenze delle industrie e delle PMI attive nel settore.

La Adami & Associati è infatti una società di head hunting nata a Milano circa quindici anni fa specializzata, tra le altre aree di expertise, anche nella ricerca e selezione di personale per il settore Automotive. Contraddistinta fin da subito da un respiro internazionale, la società collabora abitualmente sia con PMI che con multinazionali, e conta tra i propri collaboratori cacciatori di teste esperti, con lunga esperienza nel recruiting di designer, di progettisti, di quality manager, di ingegneri e di tante altre figure chiave per l’industria automobilistica.

A questo si aggiunge il fatto che, lavorando con realtà dell’Automotive da quasi 15 anni, questa agenzia di selezione del personale ha costruito un consistente database di contatti, a riassumere un ricco network nazionale e internazionale composto da professionisti del settore automobilistico, con una particolare attenzione per le fasce senior professionali, top e middle management.

“Diversamente dalle classiche agenzie di recruiting i nostri esperti non si limitano a usare i tipici strumenti di selezione, fermandosi alla pubblicazione di annunci di lavoro. Il metodo da noi adottato è infatti quello dell’head hunting puro, con la caccia diretta dei migliori talenti. Questo, in un settore come quello dell’automotive in cui è fondamentale individuare i pochi professionisti con le giuste competenze, ed è l’approccio che può fare la differenza” conclude la Ceo di Adami & Associati.

 

 

 

La Fondazione Padre Pio al Salone del Lavoro: si cercano medici specialisti e operatori

San Giovanni Rotondo (Fg), 22 ottobre 2019 – La “Fondazione Centri di Riabilitazione Padre Pio” Onlus sarà presente a “Energy at work”, Salone del lavoro e della creatività dell’Università degli Studi di Foggia, dal 22 al 24 ottobre prossimi.

Il personale della Fondazione sarà a disposizione dei visitatori in Fiera, presso lo stand dedicato, dove si alterneranno dirigenti, medici e professionisti sanitari dell’Ente, e del Presidio d’eccellenza “Gli Angeli di Padre Pio” di San Giovanni Rotondo, primo presidio riabilitativo extraospedaliero italiano ad ottenere la certificazione internazionale Joint Commission International (JCI).

E proprio in considerazione di questo ultimo traguardo sarà impostato il colloquio e lo screening dei curricula dei professionisti interessati che visiteranno lo stand della Fondazione.

Le posizioni aperte ad oggi, e rese pubbliche come sempre anche attraverso i suoi canali social, sono: medici specialisti in medicina fisica e riabilitazione, neurologia, neuropsichiatria infantile, geriatria, ortopedia.

In futuro, e anche questa attività sarà oggetto di pubblicazione sui social dell’Ente, la selezione di personale sarà allargata ad altre professionalità come professionisti sanitari della riabilitazione, infermieri, ingegneri biomedici, tecnici ortopedici, informatori tecnico scientifici/commerciali.

Il Direttore dell’Area del Personale, dr.ssa Libera Giardino, a riguardo, ha dichiarato:

“La selezione delle risorse umane della Fondazione è molto complessa, per la tipologia variegata delle professionalità necessarie che richiedono un intervento in sede di screening di curriculum e colloqui, di un’équipe multiprofessionale. La Fondazione si è dotata di una procedura molto articolata, ma trasparente che mette al centro: percorso culturale, competenze e professionalità in linea con gli standard internazionali JCI, e in ottemperanza alla trasparenza dettata dal Dlgs n. 231/2001, manuale organizzativo di cui è dotata la Fondazione. L’attività di selezione, spesso, viene rivolta anche al personale interno, quando si tratta di affidargli competenze ulteriori o iper specialistiche. Per sottolineare l’importanza che il nostro Ente dedica al recruiting bisogna leggere i dati. Nel solo anno 2018 sono stati assunti a tempo indeterminato n. 26 unità tra medici specialisti, professionisti della riabilitazione e operatori socio sanitari e contrattualizzati n. 10 consulenti di varie tipologie professionali”.

Il dr. Giacomo F. Forte, Direttore dell’Area strategica della Fondazione, al quale abbiamo chiesto un consiglio per i ragazzi che presenteranno il proprio curriculum, ha dichiarato:

“I nostri professionisti sanitari devono conoscere l’informatica, devono amare la ricerca e saper scrivere una pubblicazione scientifica, ma soprattutto conoscere la lingua inglese o più lingue straniere. Se hanno anche esperienze multiculturali, allora sono i candidati ideali. La nostra internazionalizzazione lo impone”.

Una occasione preziosa per gli studenti, per visionare i loro curricula e per mettere a valore un principio di particolare rilievo per le strutture dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini della Provincia Religiosa di Sant’Angelo e Padre Pio: quello dell’attenzione costante verso la Capitanata, per la cura e il benessere delle persone e per le risposte che sempre ha fornito anche sul piano occupazionale.

La cerimonia inaugurale, prevista per il 22 ottobre con la partecipazione di diverse autorità, aprirà la 3 giorni di workshop, colloqui e laboratori tematici. Durante la scorsa edizione, sono stati conclusi oltre 6mila colloqui con più di 200 proposte di occupazione formulate a vario titolo ad altrettanti candidati.

Il Salone del Lavoro e della Creatività dell’Università di Foggia, organizzato con il sostegno della Regione Puglia e il patrocinio del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, fa incontrare nuovamente laureati (e laureandi), oltre a studenti dei licei e degli istituti superiori, con oltre 60 aziende – provenienti da tutta Italia – che selezionano personale nella speranza di incontrare la persona giusta, di assicurarsi un talento.

Il tentativo di questa “vetrina” sul territorio è quello di abbreviare la “filiera della collocazione professionale”, mettendo domanda e offerta una di fronte all’altra: senza intermediari, senza filtri, senza burocrazie.

 

 

 

 

Aziende, selezionare i venditori: “Devono saper ascoltare e educare i clienti”

Milano, 30 settembre 2019 – Alla fine, si concentra tutto lì, nel reparto vendite. Non importa quanto abbiano lavorato bene gli altri comparti dell’azienda: se i profili sales non sono all’altezza, il castello di carte non può che crollare miseramente. Il problema, però, è che per essere un buon commerciale non è sufficiente essere un buon venditore.

Oggi il mercato è altamente competitivo e si raffronta con un pubblico particolarmente attento e informato. Non esistono più, dunque, i prodotti e i servizi che si vendono da soli. Ne consegue quindi che il profilo sales ideale non è più la figura estroversa che, facendosi amico il potenziale cliente, si limita a esporre le caratteristiche del prodotto.

«I profili sales ormai devono essere in grado di educare i potenziali clienti, senza mai spingerli all’acquisto, perché il pubblico di oggi vuole arrivare da solo alla decisione di comprare. E non è tutto qui, in quanto il commerciale deve essere in grado di connettersi a livello personale con i prospect, ascoltando in modo attivo le loro esigenze, anche quelle che lo stesso cliente non sa di avere».

A delineare la figura del profilo sales del terzo millennio è Carola Adami, amministratore delegato della società di head hunting Adami & Associati, specializzata proprio nella selezione di personale in ambito sales.

«Siamo tra i pochi head hunter in Italia che hanno inserito dei consulenti specializzati nella selezione di figure commerciali, e che dunque si occupano quotidianamente della ricerca di figure chiave come i direttori vendite, i responsabili commerciali e i tecnici commerciali» spiega Adami, aggiungendo che «chi non ha competenze in questo specifico ambito difficilmente può riuscire a selezionare il venditore più adatto per un’azienda. Si tratta infatti di professionalità del tutto particolari, che negli ultimi anni si sono evolute enormemente. Del resto, gli stessi mercati in cui queste figure si trovano a muoversi sono cambiati in modo netto».

Come si sceglie quindi il profilo commerciale più idoneo per un’azienda?

«Prima di tutto si deve partire da un’analisi approfondita dell’azienda, delle sue esigenze e del suo ambiente, per poi valutare il mercato di riferimento. Questa fase preliminare è necessaria per capire quale tipo di professionista può effettivamente soddisfare i bisogni dell’azienda, ed è chiaro che un recruiter generico non potrebbe in alcun modo affrontare tale passaggio» spiega Adami. «A quel punto si procede con la ricerca del profilo ideale, utilizzando gli strumenti più efficaci».

Di quali strumenti stiamo parlando?

«Ebbene, si parla ovviamente anche di strumenti noti ai più, come per esempio LinkedIn e le altre piattaforme dedicate al mercato del lavoro che si possono trovare online. Occupandoci di head hunting da molti anni, però, possiamo contare anche su un database estremamente ricco, nel quale teniamo traccia di migliaia di figure sales a livello nazionale e internazionale. A questo si aggiunge poi l’ampio network di ogni singolo head hunter, pur partendo dal presupposto che il nostro codice etico ci proibisce di fare delle proposte lavorative a delle aziende clienti».

Ma come deve essere, dunque, il perfetto direttore delle vendite?

«Si tratta di una figura sfaccettata e complessa. Oltre a essere un buon venditore e avere il polso del mercato, questo professionista deve essere in grado di formare e di incoraggiare il proprio team di vendita, costruendo una visione a lungo termine che possa fare da timone all’intero reparto e che riesca a coinvolgere in modo attivo ed entusiasta ogni singolo commerciale».

 

 

Imprese, oggi in azienda fino a 5 generazioni

Milano, 16 settembre 2019 – Da una parte, l’aumento dell’età pensionistica, che ha portato le persone a restare in azienda più anni di quanto avveniva in passato. Dall’altra parte, seppur meno marcata, l’entrata anticipata di tanti giovani nel mondo del lavoro, dettata dalla necessità di creare un reddito il prima possibile in risposta della crisi economica degli ultimi anni.

Questi due fattori insieme hanno portato, per la prima volta, al coesistere in azienda non  tre, non quattro, ma ben cinque generazioni diverse.

Non si tratta di puri dati statistici che non hanno effetti concreti sulla gestione o sull’operatività delle imprese, ma una realtà concreta che tante aziende si trovano a gestire. Una realtà con estremi talmente distanti, tanto da poter spaventare le Risorse Umane.

Ci sono infatti i veterani, ovvero i lavoratori over 60, tendenzialmente fedeli a un datore di lavoro per lunghissimo tempo, portati alla comunicazione faccia a faccia e di stampo formale.

Ci sono poi i baby boomers, contraddistinti da una forte etica del lavoro, e i lavoratori della Generazione X, che compongono la più grande fetta della popolazione lavorativa e che per primi si sono avvicinati alle nuove tecnologie.

All’estremo opposto, ci sono i Millennials e giovanissimi della Generazione Z, nativi digitali che hanno abbandonato l’ideale del posto fisso, iperconnessi e portati alla comunicazione costante online.

Il primo compito, per le aziende, è quello di comprendere quali sono le differenti esigenze dei propri dipendenti di generazioni diverse. E questo deve essere fatto sia per ottimizzare la produttività, sia per poter poi sfruttare queste conoscenze per attirare nuovi talenti.

«Un’azienda che non dedica tempo e risorse per capire i diversi modi di collaborare, di comunicare e di lavorare dei propri collaboratori, perde una grossa opportunità» spiega Carola Adami, amministratore delegato della società di head hunting Adami & Associati «e rischia allo stesso tempo non solo di allontanare nuove preziose risorse in grado di accompagnare lo sviluppo del business, ma anche di perdere i talenti già presenti in azienda. L’ambiente di lavoro è infatti uno dei fattori fondamentali in base ai quali un dipendente decide se restare in azienda o se cercare lavoro altrove».

Rispondere alle preferenze di un 2 o 3 generazioni di collaboratori non è particolarmente complicato: è quello che le migliori aziende hanno sempre fatto.

Oggi, invece, le stesse aziende si trovano a misurarsi con le esigenze di ben 5 generazioni, ognuna delle quali ha delle priorità differenti.

Fino a qualche anno fa erano pochissime, per esempio, i reparti HR che mettevano al centro dei propri sforzi i valori della sostenibilità ambientale. Oggi, invece, le cose devono cambiare, in quanto – con l’inserimento di risorse delle nuove generazioni – la sostenibilità ambientale è un valore importante da considerare per il 61% dei lavoratori.

A rivelarlo è stato uno studio HP, con l’Amministratore Delegato di HP Italy Tino Canegrati a sottolineare che «per i dipendenti di oggi e di domani la responsabilità sociale è diventato un must, la cui importanza è solo destinata ad aumentare».

Si sommano priorità differenti, e insieme a esse entrano in azienda anche nuove opportunità di comunicazione, di condivisione e di collaborazione, rivoluzionando dall’interno il modo di lavorare.

«La presenza contemporanea di generazioni tanto diverse, sommata alla forte rivoluzione tecnologica in corso, può spaventare i reparti HR di qualsiasi azienda. Eppure proprio grazie alle nuove tecnologie è possibile sfruttare al massimo le risorse multigenerazionali presenti in azienda, valorizzando al massimo il potenziale di ogni singolo collaboratore» spiega Adami, aggiungendo che «in una fase di cambiamento come quella che stiamo vivendo in questi ultimi anni, poter contare su un’ampia gamma di punti di vista è senza ombra di dubbio un vantaggio competitivo».

 

Smartworking, ovvero lavorare con intelligenza per vivere meglio

Milano, 30 agosto 2019 – Lo smartworking come nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità ed autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati e della focalizzazione degli obbiettivi professionali, come definito dall’Osservatorio del Politecnico di Milano.

A parlarne il nuovo saggio  “Il lavoro intelligente” di Ugo Serena, in uscita ai primi di settembre.

Saggio che è strutturato in tre parti.

La prima è dedicata ai vantaggi ambientali, economici e sociali che questa modalità di lavoro ci sta offrendo e di come essa consentirà di allocare al meglio le proprie risorse economiche e umane, abbattendo i costi e incrementando la produttività.

Ma poiché il benessere delle persone e dell’ambiente va di pari passo con l’efficienza delle aziende si illustrano i vantaggi dello smartworking per la nostra qualità della vita, come questo sia un’occasione per promuovere le pari opportunità in termini reali, consentire a uomini e donne di gestire meglio lavoro e famiglia, permettere a persone disabili di essere considerate alla pari degli altri, lavorare pragmaticamente in modo più efficace conciliando lavoro e vita.

Meritiamo di vivere dove vogliamo e di avere tempo per coltivare i nostri interessi, le nostre relazioni, la nostra creatività e metterli in relazione con il nostro lavoro.

La seconda parte del libro è dedicata al diverso modello di management necessario a promuovere questa visione.

Un modello fondato su parametri qualitativi anziché quantitativi, un modello in cui da un sistema fondato sulla gerarchia e le procedure standardizzate si passa a una struttura costruita sulla crescita delle competenze e delle responsabilità individuali.

Infine il libro si rivolge direttamente ai lavoratori fornendo suggerimenti pratici per sfruttare nel modo migliore questa opportunità, che richiede responsabilità, organizzazione, disciplina e impegno.

Particolare attenzione è rivolta ad un modello di comunicazione costruttivo e pragmatico volto a trovare convergenze e ad evitare conflitti, finalizzato alla realizzazione degli obiettivi professionali e del benessere personale.

CHI È UGO SERENA

Ugo Serena ha iniziato sua esperienza professionale a Londra nel 1988 presso Assitalia UK.

Da allora ha lavorato per alcune delle più importanti compagnie assicurative italiane e per i principali riassicuratori internazionali.

Attualmente si occupa del coordinamento del Ramo Responsabilità Civile per Austria Central Eastern Europe e Russia per Generali CEE Holding con sede a Praga.

Da circa tre anni svolge una parte sostanziale del suo lavoro attraverso lo smartworking.

E’ autore del libro “Undrewriting il mestiere di immaginare”, di cui è disponibile la traduzione in Inglese, e dell’omonimo blog.

 

 

Mamme lavoratrici, ancora troppi gli ostacoli

Milano, 28 agosto 2019 – Sono ancora tanti gli ostacoli, e troppi i sacrifici che le mamme lavoratrici italiane sono costrette ad affrontare una volta tornate a lavoro. In Italia il 37% delle donne tra i 25 e i 49 anni con almeno un figlio risulta infatti inattiva. E la percentuale cresce con l’incrementare del numero di figli, per arrivare a uno sconcertante 52,5% nel caso di donne con tre o più figli.

Si guardi, per esempio, al 2016: stando ai numeri dell’Ispettorato nazionale del lavoro, in quell’anno le donne che si sono licenziate poco dopo la gravidanza sono state 35.140. Di queste, solo 5.261 sono passate a un’altra azienda dopo il periodo di maternità. Per tutte le altre, cioè ben 29.879 donne, la difficoltà di conciliare famiglia e lavoro è stata tale da tenerle lontane dal mondo lavorativo.

Ma quali sono le principali preoccupazioni che affliggono le neo-mamme al momento di tornare al lavoro?

Una risposta a questa domanda arriva da uno studio statunitense condotto da OnePoll, per il quale sono state intervistate 1.000 donne (tenendo conto che negli Stati Uniti, come afferma il Dipartimento del Lavoro, il 75% delle madri lavora full-time).

Grazie a questo studio si è scoperto che il 40% delle donne ha paura di essere troppo stanca per lavorare in modo efficiente; il 39% teme l’imbarazzo delle macchie provocate dalle fuoriuscite del latte materno; il 37% è preoccupata dei cambiamenti che il rispettivo ruolo potrebbe aver subito durante il periodo di assenza. Altro timore diffuso è quello di ritrovarsi a dover interrompere l’allattamento una volta rientrata in azienda.

Nonostante tutti questi timori, il 79% delle donne intervistate ha dichiarato comunque di essere tornata a lavoro, e di aver trovato un buon supporto sul luogo di lavoro.

In Italia, guardando i numeri, si scopre una realtà diversa, confermata dal basso tasso di occupazione femminile.

Ma non deve essere per forza così:

«Il rientro al lavoro dopo la maternità è un passaggio delicatissimo e denso di ansie» spiega Carola Adami, amministratore delegato della società di head hunting Adami & Associati «ma esistono alcuni alcuni accorgimenti ed alcune tecniche per rendere questo momento meno difficile».

«In primo luogo, è necessario eliminare i tipici sensi di colpa che tengono le neo-mamme lontane dal rientro: tornare nel mondo del lavoro non significa in alcun modo compromettere il benessere dei figli, anzi, per molti versi è vero il contrario. Certo, mescolare carriera e maternità comporta dei sacrifici» sottolinea l’head hunter «ma il fatto stesso di avere una carriera soddisfacente permette di vivere anche la vita familiare con maggiore serenità. Ovviamente per tutte le mamme, e ancor di più per le working mom, è necessario rinunciare all’ideale della ‘mamma perfetta’, concentrandosi invece sull’essere dei buoni genitori, così da eliminare l’ansia eccessiva».

Esistono poi tanti elementi pratici per permettere un rientro a lavoro indolore.

Vanno ovviamente presi in considerazione gli asili nido, individuando la soluzione migliore tra il nido ordinario e il tagesmutter; è inoltre inevitabile affidarsi a una baby sitter, perlomeno ‘a chiamata’, per poter gestire agevolmente anche le emergenze.

«Non sono pochi gli studi che dimostrano i vantaggi, per le aziende, di contare delle mamme nel proprio organico» sottolinea ancora Carola Adami «e per questo i dirigenti aziendali dovrebbero impegnarsi doppiamente per rendere il luogo di lavoro più accogliente per le working mom. La parola d’ordine, da questo punto di vista, è ‘flessibilità’, un concetto che, grazie allo smart working, si sta diffondendo sempre di più.

Non è certo un caso se nelle classifiche dedicate alle compagnie ‘amiche delle neo-mamme’ spiccano aziende altamente innovative e presenti anche in Italia, come Marriott, IBM, American Express, Procter & Gamble, Lego, Johnson & Johnson e via dicendo» conclude l’head hunter.

 

 

 

Mercato del lavoro: il gap tra domanda e offerta continua a crescere, soprattutto al Nord

Milano, 19 aprile 2019 – In piena rivoluzione digitale sono molte le aziende, soprattutto quelle di medie e di grandi dimensioni, che hanno difficoltà crescenti nel reperire sul mercato i talenti di cui hanno necessità. A spiegarlo è chi si occupa quotidianamente di recruiting di profili specializzati, conoscendo molto bene, in prima persona, quanto il gap tra domanda e offerta si stia allargando sempre più .

Operai specializzati, dirigenti, ingegneri elettronici, analisti, agenti assicurativi, insegnanti di lingue straniere: sono molte le figure professionali ricercate che vengono trovate con sempre maggiore difficoltà”, commenta Carola Adami, CEO di Adami & Associati, società di ricerca e selezione di personale qualificato.

Ma cosa manca ai candidati?

«A mancare in molti casi è l’esperienza, creando così un circolo vizioso. Ma tante volte i recruiter si trovano di fronte a una generalizzata assenza di competenze specialistiche, nonché alla mancanza di soft skills fondamentali, come per esempio il problem solving o le abilità di comunicazione» aggiunge Adami.

L’impressione dei cacciatori di teste viene confermata da i numeri, a partire da quelli relativi al Rapporto Excelsior 2018 di Unioncamere. Stando a questa indagine, infatti, nel 2018 la domanda non ha incontrato l’offerta in oltre il 26% dei casi, con un aumento di ben 5 punti rispetto all’anno precedente. Il gap si rivela particolarmente marcato nel Settentrione, un dato motivato prima di tutto dalla maggiore richiesta di profili specializzati.

Le aziende lombarde, per esempio, durante lo scorso anno hanno incontrato notevoli difficoltà nel coprire i 28% dei posti lavorativi offerti. Guardando invece al Nord-Est, il mancato soddisfacimento dei prerequisiti fondamentali ha portato a lasciare scoperto circa un posto su 3, rallentando in modo significativo lo sviluppo delle imprese. Anche nel Meridione, del resto, il disallineamento tra domanda e offerta si è fatto sentire, con le imprese sicule, pugliese e campane che hanno lamentato difficoltà nell’individuare un lavoratore su 5.

«La mancanza di esperienza finisce per colpire soprattutto i candidati più giovani: le imprese ricercano continuamente profili under 30, i quali però, molto spesso, non vantano le competenze necessarie» spiega l’head hunter Adami. Il gap del resto si allarga drasticamente per quanto riguarda  determinate figure specialistiche: la forbice evidenziata dal Rapporto Excelsior 2018 arriva al 62% nel caso di specialisti in scienze chimiche, fisiche e informatiche. Come ha spiegato lo stesso  presidente di Unioncamere Carlo Sangalli, «lo sviluppo tecnologico sta incidendo anche sulle competenze richieste ai lavoratori: in futuro a oltre 9 profili su 10 sarà associata la richiesta di competenze digitali».

«Questo trend è destinato a continuare e persino ad aumentare nei prossimi anni» ha precisato Carola Adami «poiché le imprese continueranno a ricercare sempre più profili specializzati, con competenze molto elevate. Il mondo del lavoro sta cambiando, e con esso non può che mutare profondamente anche il capitale umano delle aziende. Poter contare sul giusto mix di competenze, per le imprese, è assolutamente fondamentale, a qualunque livello: per questo motivo è necessario affinare la tecniche di ricerca del personale specializzato nonché, dall’altra parte, puntare sulla formazione».

 

Lavoro, per conquistare i talenti digitali bisogna offrire flessibilità e possibilità di crescita

Flessibilità e possibilità di crescita: ecco cosa cercano i Millennials, risorse inportanti per la digital trasformation delle aziende…

Milano, 14 marzo 2018 – Saranno i leader del futuro e più in generale, quelli che, nel 2025, costituiranno il 75% della popolazione attiva. Sono loro, i Millennials.

«I Millenials sono stati definiti nei modi più diversi dal punto di vista lavorativo» spiega Carola Adami, CEO di Adami & Associati, società di head hunting leader nella ricerca e selezione di personale qualificato.

«Gli osservatori e le stesse aziende, a proposito di questa generazione, parlano e hanno parlato di lavoratori pigri, egocentrici, scoraggiati, ma anche di professionisti particolarmente portati all’utilizzo delle nuove tecnologie, di risorse fondamentali per la digital trasformation aziendale, di talenti maggiormente attratti dalla crescita professionale che dagli alti salari».

In poche parole, dunque, le aziende hanno di fronte a sé un’immagine piuttosto complessa e confusa dei Millennial.

A partire da queste basi, non deve stupire il fatto che molte imprese abbiano delle difficoltà nell’attirare i talenti di questa generazione, temendo tra l’altro di non essere poi in grado di organizzare delle giornate lavorative altamente produttive con delle risorse con esigenze marcatamente ‘diverse’ da quelle ormai note della generazione X.

«In generale, alle competenze manageriali e alle skills di problem solving tipiche della X Generation, i Millenials ribattono con un maggiore entusiasmo, con alte capacità tecnologiche e con un maggiore bisogno di essere riconosciuti come individui all’interno dell’azienda».

Ma cosa deve dunque fare un’azienda per assicurarsi le competenze dei Millenials e per gestirli al meglio?

«Il primo e fondamentale punto» spiega l’head hunter Adami «è capire che i giovani, in generale, non danno la priorità assoluta al salario, assegnando invece un’importanza inedita alla flessibilità e alla crescita personale».

Il primo passo da fare per attirare dei Millennials in azienda e per sfruttare al meglio il loro potenziale è dunque quello di essere meno rigidi per quanto riguarda orario e luogo di lavoro, abbandonando il vecchio concetto del cartellino da timbrare ogni mattina, alla stessa ora.

Questo, ovviamente, richiede – almeno inizialmente – una massiccia dose di fiducia nei confronti dei propri dipendenti.

Con il crescere della flessibilità, però, aumenterà anche il benessere aziendale, per i Millennial e non solo, e dunque anche la produttività.

Il secondo passo da fare è poi quello di assicurare delle possibilità di crescita ai giovani talenti, i quali difficilmente sono disposti ad accettare un posto di lavoro che non prevede percorsi formativi e occasioni di fare passi avanti in tempi contenuti.

Accanto al salario, i Millenials si aspettano infatti di ricevere dall’azienda anche nuove competenze e nuove conoscenze.

Lo dimostra un’indagine condotta da Udemy, la quale ci dice che, per il 42% dei giovani, l’attività di Learning & Development è il benefit più importante subito dopo il salario. Non stupisce dunque scoprire che, nel 73% dei casi, i Millennials sono persuasi di dove imparare ancora molto per fare degli avanzamenti di carriera.

«I Millenials, inoltre, assegnano un grande valore al comportamento dell’azienda, e quindi all’etica dell’impresa» spiega Adami. E questo, in molti casi, può essere un problema, partendo dal presupposto secondo il quale – stando ai dati Deloitte – solo il 48% dei Millenials è convinto che le aziende si comportino in modo etico.

«Diventa dunque fondamentale fornire ai lavoratori uno scopo comune e allo stesso tempo etico, una mission che sappia incrementare il loro entusiasmo».

 

Lavoro: per attirare i millennials non basta solo lo stipendio

Milano, 8 gennaio 2019 – Da una parte ci sono tantissimi millennials carichi di skills specifiche e di talento, e dall’altra ci sono altrettante aziende che cercano senza successo di assicurarsi le loro competenze. Non si contano le imprese che faticano nell’inserire in azienda i giovani talenti necessari. Un’affermazione strana per un Paese in cui la disoccupazione giovanile, nonostante l’uscita dalla crisi, resta a tassi molto alti, ma è proprio così.

Eppure nella maggior parte dei casi sono proprio i millennials ad avere le competenze necessarie per accompagnare le imprese nel processo di digital trasformation.

«Il problema di tante aziende e di tanti uffici HR risiede nel loro approccio nei confronti di questi giovani candidati» spiega Carola Adami, head hunter di Milano e fondatrice dell’agenzia di selezione del personale Adami & Associati (www.adamiassociati.com). «Nella maggior parte dei casi è infatti inutile offrire ai millennials lo stesso trattamento che si sarebbe riservato quindici anni fa ai loro coetanei: servono altre attrattive, altre offerte e altri benefit».

Da anni gli esponenti della generazione dei millennials sono stati accusati di essere pigri e di non avere alcuna etica lavorativa.

«La cattiva nomea dei millennials è perlopiù legata al particolare frangente storico durante il quale questa generazione si è presenta sul mercato del lavoro – sottolinea Adami – e non bisogna scordare che in Italia la metà dei giovani ha dei contratti precari, che non valorizzano le loro competenze: anche questo aspetto, ovviamente, determina una diversa visione della situazione lavorativa».

Ma cosa possono fare le aziende per attirare questi talenti?

«Le indagini degli ultimi anni dimostrano molto chiaramente che lo stipendio non è un fattore importante per i millennials come lo è stato per le generazione precedenti: i giovani sono per esempio assolutamente disposti ad accettare stipendi minori, a patto di poter godere di maggior tempo libero di qualità.  Ma non è tutto qui, perché per attirare i millennials è fondamentale prospettare ottime possibilità di carriera, sottolineando la meritocrazia vigente in azienda e i tanti stimoli offerti dal nuovo ambiente lavorativo» aggiunge ancora Adami.

A confermare le parole dell’head hunter ci sono i numeri di parecchie indagini. Un recente studio condotto da ForceManager sui giovani dai 22 ai 37 anni ha per esempio dimostrato che per il 52% degli intervistati i benefit e le garanzie di lavoro agile sono più importanti dello stipendio. Questi stessi giovani hanno infatti dichiarato di essere pronti a tagliare il proprio stipendio annuo di 3.000 euro per godere di programmi di smart working, per gestire al meglio la propria vita privata.

Per quanto riguarda gli stimoli, non deve stupire il fatto che ben il 35% dei ragazzi indichi le startup come il posto perfetto in cui lavorare: le aziende innovative offrirebbero infatti maggiori possibilità di crescita, nonché la possibilità di misurarsi con ruoli di volta in volta diversi.

Per attirare dei giovani talenti in azienda, dunque, diventa indispensabile offrire loro stimoli, tempo libero, flessibilità e possibilità di carriera.

Sarà quindi sempre più difficile assicurarsi i profili necessari, tra i millennials, basandosi unicamente su generosi stipendi.

 

 

 

 

 

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