Lavoratori introvabili: le imprese italiane in difficoltà tra domanda e offerta di lavoro

Milano, 16 febbraio 2018 – «La domanda di lavoratori qualificati, da parte delle imprese italiane, è in costante crescita, ma in molti casi non si riescono a trovare dei candidati adatti a soddisfare le richieste delle aziende».  

A rimarcare la strana situazione che si è venuta a creare negli ultimi mesi in Italia è Carola Adami, head hunter nonché CEO di Adami & Associati, società specializzata in ricerca di personale qualificato per Pmi e multinazionali (adamiassociati.com).

«Sempre più spesso le aziende fanno fatica a trovare i profili professionali giusti, i quali in molti settori effettivamente scarseggiano, soprattutto quando si ha che fare con ruoli legati all’intelligenza artificiale, alla fisica e alla chimica» ha spiegato Adami.

E le impressioni degli imprenditori e dei cacciatori di teste sono confermate dai dati del sistema informativo Excelsior di Unioncamere – Anpal, il quale afferma che sì, nel 2018 sono previsti 400mila nuovi posti di lavoro, anche e soprattutto in virtù dell’incentivo deciso per agevolare l’assunzione di giovani sotto i 35 anni.

Ma questo non sembra del tutto sufficiente a sbloccare completamente la situazione perché, come anticipato, esiste una marcato squilibrio tra domanda e offerta di lavoro.

Se dunque da una parte il nostro Paese continua a fare i conti con un’importante disoccupazione giovanile, e quindi con tanti ragazzi alla costante ricerca di un lavoro, dall’altra ci sono tante aziende che, pur offrendo delle posizioni lavorative, non trovano nessuno da assumere, a causa della mancanza dei giusti profili professionali.

Ma quali sono le professioni più richieste nell’attuale mercato italiano?

Come spiega Adami, «le ricerche più frequenti riguardano tecnici di laboratorio, esperti di privacy, ingegneri, tecnici informatici, ma anche camerieri, cuochi, infermieri, impiegati e commessi».

E se per questi ultimi non ci sono grossi problemi nell’individuazione dei profili giusti, il gioco si fa più difficile quando si parla di figure più innovative o più squisitamente qualificate.

Nel 2017 sono stati offerti circa 4,1 milioni di posti di lavoro, e ben 880 mila posizioni sono risultate di difficile reperimento. Una offerta su cinque, dunque, fatica ad essere soddisfatta.

La situazione è particolarmente difficile per quanto riguarda l’industria, in quanto qui le posizioni difficili da coprire rappresentano il 26,6% dei casi, di contro al 13,3% relativo al 2016.

Per crescere le aziende cercano lavoratori preparati e competenti, e infatti lo sguardo delle imprese italiane e delle società di ricerca e selezione del personale continua a sondare il mercato alla ricerca di laureati e diplomati: nel 2017 sono stati cercati 467 mila dottori e 1 milione e 415 mila diplomati, in un contesto in cui ben 1 lavoro su 3 è destinato ai soli laureati.

E di questi, sempre stando ai numeri di Unioncamere – Anpal, 1 su 3 è di difficile reperimento. I più rari sono i candidati laureati in lingue, che sembrano non bastare mai alle imprese Italia, con problemi di reperimento per 8.000 figure in entrata su 15.000 previste.

Un discorso simile si potrebbe fare anche per gli ingegneri industriali e per i laureati in matematica, in fisica e in ingegneria gestionale.

Questa, dunque, la situazione attuale.

Ma cosa cercheranno le imprese italiane nei prossimi anni? Come cambierà il mercato del lavoro?

«Guardando alle ultime proiezioni e ai trend attuali» spiega Carola Adami «nei prossimi anni continuerà l’impennata delle professioni propriamente digitali, dagli sviluppatori agli specialisti Blockchain, ma anche tecnici e ingegneri nel campo agroalimentare, metalmeccanico e dell’automazione industriale».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Cresce in Italia il Blind Recruitment: curricula senza nome e senza pregiudizi

Milano, 28 giugno 2017 – Cresce sempre di più anche in Italia il fenomeno del Blind Recruitment, ovvero dei cosiddetti ‘colloqui al buio’.

Questa particolare tecnica per la ricerca di personale qualificato ha lo scopo di eliminare ogni possibilità di pregiudizio da parte di chi seleziona i migliori candidati per la propria azienda di riferimento.

In pratica, nel momento in cui un’impresa decide di consultare i curricula vitae dei candidati per una posizione vacante, vengono cancellati volontariamente e sistematicamente tutti i dati che possono portare a dei pregiudizi inconsci.

Parliamo dunque del nome, del cognome, del genere, della nazionalità e dell’età, oltre che delle informazioni relative all’educazione: in questo modo, ogni possibile classificazione involontaria basata su dei pregiudizi viene eliminata a monte.

Una persona potrebbe per esempio essere sottovalutata per la sua provenienza, o magari sopravvalutata per una laurea conseguita presso un’università particolarmente prestigiosa.

«Di certo una tecnica di questo tipo può risultare utile per eliminare qualsiasi pregiudizio involontario e per creare un ambiente di lavoro eterogeneo e quindi più stimolante» ha spiegato Carola Adami, fondatrice nonché CEO della società di ricerca e selezione del personale Adami & Associati.

Di certo quella del blind recruitment non è una tecnica creata appositamente per le migliori società di selezione, quanto invece per le piccole e medie imprese le quali, pur non avendo degli addetti HR preposti al recruiting, si trovano talvolta a dover individuare in autonomia i candidati più adatti per il futuro del proprio business.

Vari studi dimostrano del resto come la necessità di tecniche come quella del blind recruitment sia tutto fuorché superflua.

Uno studio condotto presso la Australian National University e firmato da Alison Booth, Andrew Leigh e Elena Varganova ha infatti dimostrato che i lavoratori con dei cognomi cinesi, per riuscire ad accedere ad un colloquio di lavoro in Australia, dovevano mandare mediamente il 68% di curricula in più rispetto ai lavoratori con un cognome anglosassone.

Il pregiudizio, in questo, caso, è dunque palese, ma non solo verso i lavoratori di origine cinese: per avere un’opportunità lavorativa in Australia, per esempio, gli italiani devono inoltrare il 12% in più delle candidature rispetto a chi può vantare un nome anglosassone.

E se non sono pochi gli studi scientifici che dimostrano l’esistenza di concreti pregiudizi nel mondo del lavoro per quanto riguarda il genere e la nazionalità, altrettante ricerche accademiche provano al contrario che un ambiente lavorativo eterogeneo, con professionisti di provenienza e generi diversi, può favorire il raggiungimento di nuovi livelli di produttività fino al 35% in più.

«Ovviamente la tecnica del blind recruitment può aiutare chi si approccia sporadicamente al mondo della selezione del personale ad essere maggiormente oggettivo nell’individuare i candidati migliori» ha sottolineato Carola Adami «mentre chi si occupa quotidianamente di ricerca e selezione del personale deve per forza di cose imparare a riconoscere e quindi a controllare ogni forma di pregiudizio, così da poter reclutare davvero i migliori candidati per ogni singolo ruolo».

Non sono in ogni caso poche le realtà importanti che utilizzano regolarmente i principi del blind recruitment per rafforzare il proprio team: BBC, HSBC, Deloitte hanno per esempio dichiarato di utilizzare da tempo questa tecnica, e lo stesso – anche sull’onda dello studio australiano di cui sopra – stanno facendo sempre più società pubbliche e private in Australia.

 

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