Milano, 8 gennaio 2019 – Da una parte ci sono tantissimi millennials carichi di skills specifiche e di talento, e dall’altra ci sono altrettante aziende che cercano senza successo di assicurarsi le loro competenze. Non si contano le imprese che faticano nell’inserire in azienda i giovani talenti necessari. Un’affermazione strana per un Paese in cui la disoccupazione giovanile, nonostante l’uscita dalla crisi, resta a tassi molto alti, ma è proprio così.
Eppure nella maggior parte dei casi sono proprio i millennials ad avere le competenze necessarie per accompagnare le imprese nel processo di digital trasformation.
«Il problema di tante aziende e di tanti uffici HR risiede nel loro approccio nei confronti di questi giovani candidati» spiega Carola Adami, head hunter di Milano e fondatrice dell’agenzia di selezione del personale Adami & Associati (www.adamiassociati.com). «Nella maggior parte dei casi è infatti inutile offrire ai millennials lo stesso trattamento che si sarebbe riservato quindici anni fa ai loro coetanei: servono altre attrattive, altre offerte e altri benefit».
Da anni gli esponenti della generazione dei millennials sono stati accusati di essere pigri e di non avere alcuna etica lavorativa.
«La cattiva nomea dei millennials è perlopiù legata al particolare frangente storico durante il quale questa generazione si è presenta sul mercato del lavoro – sottolinea Adami – e non bisogna scordare che in Italia la metà dei giovani ha dei contratti precari, che non valorizzano le loro competenze: anche questo aspetto, ovviamente, determina una diversa visione della situazione lavorativa».
Ma cosa possono fare le aziende per attirare questi talenti?
«Le indagini degli ultimi anni dimostrano molto chiaramente che lo stipendio non è un fattore importante per i millennials come lo è stato per le generazione precedenti: i giovani sono per esempio assolutamente disposti ad accettare stipendi minori, a patto di poter godere di maggior tempo libero di qualità. Ma non è tutto qui, perché per attirare i millennials è fondamentale prospettare ottime possibilità di carriera, sottolineando la meritocrazia vigente in azienda e i tanti stimoli offerti dal nuovo ambiente lavorativo» aggiunge ancora Adami.
A confermare le parole dell’head hunter ci sono i numeri di parecchie indagini. Un recente studio condotto da ForceManager sui giovani dai 22 ai 37 anni ha per esempio dimostrato che per il 52% degli intervistati i benefit e le garanzie di lavoro agile sono più importanti dello stipendio. Questi stessi giovani hanno infatti dichiarato di essere pronti a tagliare il proprio stipendio annuo di 3.000 euro per godere di programmi di smart working, per gestire al meglio la propria vita privata.
Per quanto riguarda gli stimoli, non deve stupire il fatto che ben il 35% dei ragazzi indichi le startup come il posto perfetto in cui lavorare: le aziende innovative offrirebbero infatti maggiori possibilità di crescita, nonché la possibilità di misurarsi con ruoli di volta in volta diversi.
Per attirare dei giovani talenti in azienda, dunque, diventa indispensabile offrire loro stimoli, tempo libero, flessibilità e possibilità di carriera.
Sarà quindi sempre più difficile assicurarsi i profili necessari, tra i millennials, basandosi unicamente su generosi stipendi.
Milano, 20 novembre 2018 – Non sono poche le persone alla ricerca di lavoro che, con l’approssimarsi di dicembre, mollano la presa, nella piena convinzione che le settimane pre-natalizie non possano offrire buone opportunità lavorative. In realtà le cose son ben diverse e anche il mese di dicembre può offrire interessanti possibilità lavorative a chi intende osare.
«Molti candidati a dicembre smettono di inviare i proprio curricula alle aziende e persino di rispondere agli annunci di lavoro, pensando che ormai la ricerca di una nuova occupazione possa essere rimandata all’anno venturo, dalla metà di gennaio in poi» spiega Carola Adami, fondatrice e CEO della società di ricerca e selezione del personale Adami & Associati di Milano.
In effetti le statistiche mostrano chiaramente che il periodo migliore per trovare un nuovo lavoro, in media e per la maggior parte dei settori, sia quello che corre tra settembre e ottobre. In quei mesi in effetti il mercato si riaccende dopo il lungo stand by estivo. Settembre, in particolare, è il mese deputato all’approvazione dei piani di sviluppo, e questo comporta l’avvio di molti processi di ricerca personale. Altro periodo particolarmente favorevole alle nuove assunzioni è poi quello che va da gennaio a febbraio: tutto l’organico è in azienda, non ci sono dipendenti in vacanza, e con la presenza di tutto il personale sono più probabili gli ingressi di nuove figure professionali.
Sembrerebbe dunque che le persone che sul finire di novembre smettono di mandare le proprie lettere di presentazione alle aziende e ai cacciatori di teste abbiano delle ottime ragioni. Ma non è così perché quello natalizio può al contrario essere un periodo perfetto per trovare un nuovo soddisfacente lavoro.
«Non si parla solo e unicamente dei lavoratori che trovano occupazione nelle attività che tipicamente assumono in vista del Natale, come i ristoranti, gli alberghi, i negozi e le attività legate agli sport sulla neve.
Ci sono tante altre figure che proprio in vista delle ultime settimane dell’anno sono particolarmente ricercate dalle aziende, e per molte persone alla ricerca di un nuovo lavoro sarebbe dunque davvero sbagliato tirare i remi in barca in questo periodo», spiega ancora la Adami.
Ma di quali figure stiamo parlando?
«In particolare ci sono molte aziende che, in vista dell’introduzione della fatturazione elettronica obbligatoria a partire dal gennaio del 2019, sono alla ricerca di professionisti IT e di ruoli data entry, per poter così accompagnare questa importante evoluzione».
Ma non è tutto qui: un’altra particolarità del 2018 è stata l’introduzione del GDPR, e di conseguenza sono tantissime le aziende che si sono poste dicembre come termine ultimo per individuare esperti nel campo della privacy.
«Non solo i lavoratori stagionali impiegati nel mondo del turismo, dunque, devono guardare a dicembre come a un mese ricco di opportunità: le ultime settimane dell’anno possono trasformarsi nel periodo giusto per un’ampia gamma di professionisti alla ricerca di una nuova occupazione», conclude l’head hunter..
Come sottolineato da Adami, del resto, in queste settimane le figure maggiormente ricercate a livello nazionale dalle aziende, oltre alle figure legate al GDPR e all’IT, sono i diplomati tecnici, gli esperti di big data, gli sviluppatori e gli immancabili agenti di commercio e responsabili delle vendite.
In alcuni casi si ha a che fare con delle collaborazioni temporanee, ma non va trascurato il fatto che i processi di selezione pre-natalizi coinvolgono uno svariato numero di settori, richiamando candidati con i più differenti livelli di esperienza.
Roma, 3 ottobre 2018 – Sono stati pubblicati i dati Istat relativi al mercato del lavoro italiano: ad agosto 2018 si conta una crescita degli occupati di ben 69.000 unità rispetto a luglio, portando così il tasso di occupazione al 59%, un record storico mai registrato nel nostro Paese, perlomeno a partire dal 1977, anno in cui si è dato il via a questo genere di rilevazioni.
E se gli occupati di questo agosto sono cresciuti di quasi 70.000 unità rispetto al mese precedente, l’aumento è pari a 312.000 unità rispetto ad agosto 2017. E non è tutto qui: per la prima volta a partire dal 2012, la disoccupazione si porta sotto la soglia del 10%, arrivando ad un 9,7% che fino a qualche mese poteva sembrare un miraggio.
Come spesso accade, però, non è tutto oro quello che luccica.
Gli esperti puntano infatti il dito in direzione della qualità del lavoro, e soprattutto verso la natura dei contratti che hanno portato così in alto il tasso di occupazione: si registra infatti un record anche per i contratti a termine, che non erano mai stati così tanti fin dal 1992. Il vero problema, però, è ancora una volta da riconoscere nell’occupazione giovanile: se infatti nella fascia di età tra i 50 e i 64 anni si è arrivati ormai ad oltrepassare il 60% di occupazione, per quanto riguarda gli under 24 la situazione non migliora, e anzi, peggiora: rispetto a luglio la disoccupazione giovanile è aumentata infatti dello 0,2%, portando così al 31% i disoccupati tra i 15 e i 24 anni.
I numeri generali, dunque, migliorano, ma restano sempre presenti i problemi ‘fisiologici’ del mercato del lavoro italiano.
“Il forte scollamento tra mondo della scuola e mondo del lavoro continua a pesare fortemente sui dati relativi all’occupazione giovanile” spiega Carola Adami, CEO e founder dell’agenzia di ricerca e selezione del personale Adami & Associati. Del resto il gap tra domanda e offerta di lavoro è destinato a crescere ulteriormente, nonostante la ripresa che gli stessi dati Istat dimostrano in modo piuttosto palese.
“Le aziende italiane, in piena digital trasformation, sono alla ricerca di figure Ict formate ed esperte, in grado dunque di accompagnare questa evoluzione interna” – sottolinea Adami – “purtroppo, però, alcune di queste ricerche sono destinate a restare insoddisfatte, in quanto l’Italia, ad oggi, non forma un numero sufficiente di professionisti nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”.
É dagli anni più duri della crisi economica che nel nostro Paese, guardando al rapporto tra domanda e offerta di lavoro, si parla di ‘introvabili’. Del resto sono gli stessi numeri a dimostrare il fatto che i laureati in ingegneria, seppure in aumento, sono ancora troppo pochi, anche per via dell’alto tasso di abbandono degli studi (che sfiora il 60%). Ed è per questo motivo che le aziende italiane faticano non poco a individuare figure come i Data Analyst, i Web Developer, e i System Engineer.
“In autonomia o con l’aiuto di cacciatori di teste specializzati nella selezione di personale Ict, per le imprese italiane è fondamentale riuscire ad assumere i talenti necessari per sfruttare al meglio le nuove tecnologie: una mancata crescita dal punto di vista del personale, infatti, non può che tradursi in una parallela decrescita in termini economici” spiega ancora Adami.
Si ripropone dunque il paradosso del mercato del lavoro italiano: laddove molti giovani continuano a ricercare un’occupazione, le aziende si sfidano l’un l’altra per assicurarsi i pochi talenti formati dalle scuole e dalle università italiane. Ai primi non resta che lavorare sulle proprie competenze, fissando obiettivi realizzabili, mentre le seconde devono ottimizzare i processi di ricerca e di selezione, per non lasciarsi sfuggire i, pochi, professionisti in grado di supportare l’evoluzione digitale.
Milano, 29 agosto 2017 – Sono tante le nuove posizioni lavorative aperte in Lombardia e Veneto e in genere nel nord Italia. In questi primi giorni di riapertura delle aziende, dopo la chiusura estiva, si registra infatti una crescita delle richieste di lavoro nel nord dell’Italia, con numerose posizioni lavorative manageriali, e non solo, disponibili in diversi settori. Si tratta senza alcun dubbio di una possibilità concreta per valutare opzioni ed opportunità differenti.
A confermarlo la Adami & Associati, cheda anni si occupa della ricerca di personale qualificato tramite ricerche specifiche, valutazione delle effettive competenze/skills dei candidati e inserimento ottimale dei candidati in azienda.
Queste le posizioni più ricercate sono destinate a professionisti di vario genere, raccolte e raggruppate in base alle varie mansioni:
VENDITE/ACQUISTI:
N.1 Responsabile vendite a Milano
N.1 Responsabile vendite e marketing – Italia e estero a Padova
N.1 Sales account – Medio Oriente a Milano
N.1 Responsabile punto vendita ottica a Brescia
N.1 Sales and marketing manager a Merate (LC)
N.1 Sales manager a Bolzano
N.1 Commerciale settore trasporti a Verona
N.1 Buyer specialist a Bergamo
RISTORAZIONE:
N.1 Responsabile ristorante a Bergamo
N.2 Commis de rang a Milano
N.3 Chef de rang a Milano
N.1 Barman a Milano
N.1 Restaurant director a Milano
OFFICE:
N.1 ADDETTO UFFICIO TECNICO/PROGETTAZIONE a Monza e Brianza
N.1 Responsabile ufficio export ad Arese (MI)
N.1 Economo a Milano
N.1 Controller ambito trasporti a Verona
TECHNICAL:
N.1 Direttore tecnico a Merate
N.1 Senior electrical engineer
N.1 Instrument automation senior enigineer a Milano
N.1 Senior technical engineer a Milano
N.1 Progettista meccanico/idraulico elettrovalvole a Como
RETAIL:
N.1 Analista funzionale nell’ambito del software retail a Mestre (VE)
LOGISTICA:
N.1 operation in store a Milano
MANUFACTURING:
N.1 Responsabile attrezzista meccanico a Lecco
n.1 Tornitore con esperienza a Milano
MANAGEMENT:
n.1 Ingegnere meccanico a Milano
n.1 Business development manager a Milano
n.1 Site manager a Genova
n.1 Finance manager reporting to the Cfo a Milano
n.1 Project account manager a Bergamo
n.1 Direttore generale a Varese
n.1 Asset manager a Milano
n.1 Capo contabile a Milano
n.1 Head of legal, risk & compliance a Milano
CUSTOMER CARE/CUSTOMER SERVICE:
n.1 Hostess a Milano
Per maggiori informazioni sulle posizioni lavorative contattare la Adami & Associati al telefono 02 36 52 62 35 o tramite email l’email customerservice@adamiassociati.com o visitare i sito internet www.adamiassociati.com.
Milano, 24 maggio 2017 – Stai cercando un nuovo lavoro? Ebbene, per aumentare le possibilità di essere assunto, dovresti avere già un’altra occupazione. Proprio così: oltre ad un curriculum vitae ricco di esperienze e di competenze professionali, e in aggiunta a un buon bagaglio di soft skills, tra le qualità che possono influenzare positivamente un processo di ricerca di un lavoro c’è anche il fatto di essere già stabilmente occupati. Ad affermarlo è uno studio effettuato da un team di ricercatori statunitensi della Columbia University, su dati raccolti dalla Federal Reserve Bank di New York.
«Alcuni datori di lavoro pensano che se qualcuno è stato licenziato da una posizione precedente ci deve essere assolutamente un motivo, e che quindi un disoccupato è potenzialmente meno talentuoso di un occupato» ha spiegato Carola Adami, fondatrice e CEO di Adami & Associati, società specializzata in ricerca di personale qualificato per Pmi e multinazionali.
«Ma questa convinzione è del tutto infondata, soprattutto oggi» ha aggiunto la head hunter «poiché le più grandi compagnie eliminano spesso intere squadre o intere divisioni, oppure talvolta licenziano guardando solamente al salario o ad altri criteri che di fatto non hanno nulla a che fare con le reali capacità di un professionista».
Aldilà dei motivi che spiegano questo fenomeno, i numeri del report della Columbia University parlano chiaro: è molto più semplice ottenere un posto di lavoro se si è già provvisti di un’occupazione.
Lo studio prende in considerazione le risposte di 2.900 persone, delle quali circa 2.300 occupate, 165 disoccupate e 430 classificate come fuori dal mercato del lavoro (quindi, in linea generale, studenti e pensionati). In ogni caso, tutti gli individui raccolti nel panel avevano un’età compresa tra i 18 e i 64 anni.
La prima cosa interessante che esce dallo studio è il fatto che la ricerca di un lavoro è una pratica piuttosto comune anche tra gli occupati: il 23% di loro, infatti, è attivo in questo senso. Non può ovviamente stupire invece il fatto che il 99,5% dei disoccupati spenda più meno regolarmente del tempo nella ricerca di un’occupazione.
Stando ai dati della Federal Reserve Bank di New York, pur realizzando il 40% delle candidature totali, le persone disoccupate finiscono per raccogliere solo un misero 16% delle offerte lavorative. Peggio ancora: quasi la metà delle offerte di lavoro, il 48,7%, va a delle persone che, pur avendo già un’occupazione, restano attive nella ricerca di un nuovo lavoro. Ma c’è un dato che potrebbe far arrabbiare ancora di più i disoccupati: il 26% delle offerte di lavoro finisce tra le mani di gente già occupata che non si è nemmeno messa attivamente alla ricerca di un nuovo lavoro.
Aggiungere che l’8,5% delle offerte viene recapitato nella casella postale di chi è esterno al mercato del lavoro vero e proprio – quindi pensionati e studenti – equivale forse a rigirare il coltello nella piaga.
Le ragioni per questa effettiva e piuttosto diffusa preferenza per le persone già occupate, come anticipato, possono essere più o meno giustificate.
«È senza dubbio vero che, in linea generale, nel mondo del recruiting come nella vita quotidiana, una risorsa che risulta più difficile da ottenere risulta naturalmente più attraente» spiega Carola Adami «e una persona già occupata non ha rischia certamente di mostrare la caratteristica impazienza di una risorsa disoccupata».
Ma non è tutto qui: un candidato già occupato, che non risulta quindi alla ricerca disperata di un lavoro, tende ad analizzare il nuovo potenziale datore di lavoro proprio come quest’ultimo sta valutando il candidato, e inoltre tende a rapportarsi in un modo più sincero con il recruiter, non sentendo il bisogno di esagerare le proprie capacità.
Il consiglio del recruiter per i disoccupati che si affacciano sul mercato del lavoro, come afferma Carola Adami, è dunque quello di «approcciarsi alla ricerca con lo stesso mind set di un lavoratore occupato: non bisogna lasciar trasparire l’ansia, né ingigantire i propri meriti né, al contrario, lasciare intendere di essere disposto a tutto».
Cercare lavoro: per aumentare le probabilità di essere assunto fai come se fossi già assunto…
Tag: cercare lavoro, ricerca lavoro, come cercare lavoro, ricercare un nuovo posto di lavoro
Milano, 19 maggio 2017 – Industria 4.0, Internet of Things, Intelligenze Artificiali e chi più ne ha più ne metta. Insomma, i robot sono fra noi.
E se per adesso la loro presenza, nel caso delle PMI, può forse passare inosservata, tutt’altro sta succedendo in quelle grandi industrie che stanno già sperimentando i più avveniristici strumenti del digital manufacturing.
L’impatto del digitale sul lavoro
Ma come sarà il mercato del lavoro nei prossimi dieci anni? Come cambierà il mondo della ricerca e della selezione del personale in una società in cui sempre più lavori di routine saranno affidati a delle macchine più o meno senzienti?
Amazon non si è di certo affidata ad un cacciatore di teste per assumere quei 10.000 robot che dal 2014 smistano le merci nei suoi enormi magazzini.
Quale sarà il destino dei lavoratori se le fabbriche, gli uffici e i magazzini si riempiranno di macchinari autonomi dotati di un’intelligenza artificiale appositamente sviluppata per eseguire alla perfezione un determinato lavoro?
Come ricorda Carola Adami, fondatrice e CEO di Adami & Associati(www.adamiassociati.com), società specializzata nella ricerca e selezione di personale per Pmi e multinazionali, «il timore di ritrovarsi disoccupati a causa del progresso tecnologico è una paura antica: di fatto questa preoccupazione è nata con il concetto stesso di industria moderna».
Basti pensare infatti che già nel 1940 il presidente americano Franklin Delano Roosevelt non esitò nell’affermare che, ad un decennio di distanza dalla Grande Depressione, gli USA continuavano «a creare posti di lavoro più lentamente di quanti l’innovazione tecnologica ne eliminasse».
Le paure di Roosevelt e di molti cittadini americani, come però sappiamo, si rivelarono del tutto infondate. Sarà forse così anche con l’automazione e l’industria 4.0?
Non sono certo pochi gli studi che fanno temere il peggio per il mercato del lavoro: Frey e Osborne, due ricercatori dell’Università di Oxford, hanno infatti stimato che entro il 2040 il 47% dei lavori negli Usa sarà svolto da robot.
Sono invece molto più cauti Arntz, Gregory e Zierahn, che per conto dell’Ocse hanno calcolato che solamente il 9% delle occupazioni dei 21 Paesi più industrializzati del mondo sarebbero effettivamente a rischio per via della automazione.
Questa seconda stima è di fatto confermata da uno studio degli analisti di McKinsey, secondo il quale solamente il 5% delle occupazioni odierne può essere effettivamente e completamente automatizzato.
Con il progresso tecnologico dei prossimi anni però – come prosegue l’indagine di McKinsey – la percentuale potrebbe salire fino al 49%.
I dati provenienti dagli studi più allarmanti vanno ovviamente ad influenzare la visione di molti cittadini, anche in Italia.
Stando infatti al rapporto AGI-Censis Uomini, robot e tasse: il dilemma digitale, il 37,8% degli italiani è fermamente convinto che la robotizzazione dei processi produttivi non potrà che portare ad una riduzione dei posti di lavoro. Il 33,5% degli intervistati sostiene al contrario che i posti di lavoro aumenteranno, mentre il 28,5% del campione pensa che l’automazione non porterà nessun cambiamento sull’ammontare delle opportunità lavorative.
«In realtà», sostiene Carola Adami, «la progressiva automazione ci mette di fronte, piuttosto che ad uno vero stravolgimento del mercato del lavoro, ad un necessario cambiamento culturale. In questo senso, le aziende devono investire in un processo di continuo aggiornamento delle competenze dei propri dipendenti».
La tanto temuta quarta rivoluzione industriale potrebbe dunque essere una opportunità di espansione per il mondo del lavoro «se le aziende saranno in grado di sfruttare razionalmente le nuove tecnologie» ha commentato Adami «il risultato più incisivo sarà un benefico miglioramento delle competenze dei lavoratori in fatto di digitalizzazione e di agilità».
A tutto questo va ovviamente aggiunto l’ovvio aumento di ricerca personale in ambito IT, professionisti con le competenze idonee per supportare i business nell’avvio di una produzione in ottica Industry 4.0.
«Come ormai sanno molti direttori HR, in Italia ad oggi la ricerca di talenti professionali in grado di avviare un reale processo di cambiamento interno è in molti casi frustrante, in quanto meno del 10% della popolazione possiede delle valide competenze ICT».
Il problema, prosegue Adami, è che «più della metà del mercato del lavoro ha attualmente bisogno di queste figure in grado di supportare il processo di innovazione digitale interno: da qui il ruolo fondamentale delle società di recruiting nella ricerca dei migliori talenti».
###
Ricerca lavoro, nell’ Ict le figure più ricercate per innovare le aziende e renderle pronte ai cambiamenti del digitale
Milano, 28 aprile 2017 – Da qualche anno i recruiter hanno una nuova potente arma per scegliere il candidato perfetto per un posto di lavoro.
In origine c’erano la lettera di referenze, la chiamata all’ex datore di lavoro e magari al conoscente in comune. Poi arrivarono un bel giorno i social networks, a partire da Facebook, e poi arrivarono a ruota LinkedIn, Twitter, Instagram, giusto per nominare i sodail più grandi.
«Siamo nell’era del social recruiting» dice Carola Adami, fondatrice e CEO di Adami & Associati, società specializzata in ricerca di personale qualificato per Pmi e multinazionali, «e la qualità della presenza online è un aspetto che nessun candidato può permettersi di sottovalutare».
Ma se è vero che i social media sono uno strumento in più a favore dei selezionatori di personale, è altrettanto vero che le stesse piattaforme possono trasformarsi nell’asso nella manica di chi è alla ricerca di un nuovo posto di lavoro.
Come spiega Carola Adami, «sapere fin dall’inizio che un potenziale datore di lavoro o un cacciatore di teste potrebbero dare un’occhiata al proprio profilo Facebook o Twitter, dà ai candidati la possibilità di uniformare la propria presenza online alla propria immagine professionale».
Insomma, i social media non sono solamente un posto dove condividere le fotografie dell’ultima serata in discoteca, del viaggetto delle vacanze pasqualo o dei propri gatti.
Di fatto, la potenza di questi strumenti è ormai tale che utilizzare queste bacheche pubbliche solo ed unicamente come divertimento o passatempo sarebbe un vero spreco: non ci si può di certo scordare che sono ben 31 milioni gli italiani attivi sui social media, con un incremento dell’11% nel solo 2016.
«Praticamente tutti quanti al giorno d’oggi sono connessi» racconta Carola Adami «il che significa che LinkedIn, Facebook e Twitter costituiscono tutti insieme un database senza fondo per tutti i recruiter».
E se fino a qualche anno fa si poteva pensare che le piattaforme social potessero aiutare a trovare lavoro solo una fetta marginale della popolazione – i giovani, ed i millennials – oggi ci si sta rendendo conto che anche le figure senior possono approfittare di questi nuovi canali.
Il motivo è semplice: «il recruiter controlla il profilo Facebook di tutti i candidati per un posto da impiegato semplice, ma questo non vuol certo dire che il cacciatore di teste non dia un’occhiata al profilo Facebook di un potenziale nuovo manager: le pagine social di tutti i tipi di candidati finiscono infatti per cadere sotto la lente dei selezionatori, e per questo motivo nessuno dovrebbe gestire male o in maniera distratta la propria presenza online».
Tutti i tipi di business, al giorno d’oggi, sanno che gran parte dei nuovi clienti, prima di entrare in contatto con l’azienda, visiteranno il rispettivo sito web.
Trovare lavoro con i social network: cosa pubblicare
Lo stesso sta accadendo anche nel mondo del recruiting: in linea generale, nessun candidato viene più selezionato prima che i suoi profili social siano stati debitamente scansionati. «Per questo motivo» sottolinea Carola Adami «ogni elemento che potrebbe far storcere il naso ad un recruiter dovrebbe essere prontamente eliminato dalle proprie pagine pubbliche».
Un candidato, invece, dovrebbe sfruttare tutti gli strumenti a propria disposizione per confermare le proprie potenzialità.
LinkedIn è ovviamente il posto giusto per narrare in modo rilevante la propria carriera professionale, sottolineando a dovere i propri punti di forza.
Ma anche gli altri social possono concorrere a delineare un’immagine coerente di un candidato: i profili creativi possono sfruttare Instagram e Pinterest per mostrare al mondo i propri lavori, il giornalista può condividere i propri migliori articoli, lo chef può creare una rubrica di cucina, il manager può dispensare dei consigli oculati alla propria rete di contatti.
«Persino determinate soft skills possono essere confermate dai profili sui social media» afferma infatti Carola Adami. Prendiamo per esempio la leadership: «la presenza online del candidato dirigente ideale potrebbe infatti essere caratterizzata da un alto grado di disponibilità nel rispondere a richieste altrui, con la conseguente costruzione di un concreto capitale social».
Ogni tipo di candidato, dunque, dovrebbe essere in grado di sfruttare al meglio i social maggiormente affini alla posizione ricercata.
In linea generale, però, bisogna ricordare che le basi sono le medesime per tutti: «per la ricerca di lavoro come per la vita quotidiana, è fondamentale ricordarsi che i nostri profili social hanno diversi gradi di visibilità pubblica» ricorda infine Carola Adami «e come consigliamo spesso sia durante le nostre consulenze che sulle pagine del nostro blog, è essenziale eliminare oppure oscurare al pubblico tutte le foto che non vorremmo che il nostro potenziale datore di lavoro vedesse, così come gli aggiornamenti di stato più personali».
L’ultimo consiglio della CEO di Adami & Associati è poi quello di “coltivare una buona rete di contatti, mirando soprattutto a quelli del proprio settore di riferimento”.
Non è in fondo proprio questo lo spirito di fondo dei social network?
Continua ad essere difficile la ricerca di personale qualificato da parte delle startup italiane, un ostacolo enorme per la crescita e l’innovazione delle imprese e dell’intero paese…
Milano, 3 febbraio 2017 – Nel mercato del lavoro italiano c’è una sensibile penuria di know how specialistico, e questo va ad incidere soprattutto sulle possibilità di crescita di moltissime promettenti startup italiane. Da una parte c’è una massiccia ricerca di personale qualificato, e dall’altra sembra però non esserci un’adeguata risposta.
A parlarne recentemente uno studio pubblicato dall‘Osservatorio Startupper’s Voice, effettuato su un panel di circa 200 startup italiane: il dato più interessante della ricerca sottolineava che il 40% delle startup aveva avviato un processo di ricerca di personale qualificato senza riuscire a raggiungere dei risultati soddisfacenti. Di più: solamente il 15% degli intervistati aveva dichiarato di aver individuato le competenze ricercate nei candidati selezionati, mentre l’11% aveva di fatto rinunciato alla ricerca del personale.
A confermare, sul campo, gli esiti dello studio anche la Adami & Associati, società di head hunting di Milano, specializzata in ricerca di personale qualificato per Pmi e multinazionali.
La difficoltà di ricerca di personale qualificato un ostacolo alla crescita
Le difficoltà riscontrate dalle startup nella ricerca di personale qualificato costituiscono un vero e proprio ostacolo alla loro crescita: grazie alle nostre partnership con questi tipi di realtà, so per esperienza che nelle startup la selezione del candidato giusto può avere un’importanza ancora più cruciale di quanto già avviene nelle aziende di tipo classico.
Ma cosa dovrebbe ricercare una startup nei propri potenziali collaboratori al momento della selezione del personale?
“Il mio consiglio principale è quello di guardare alle competenze tecniche, ma non solo. Un occhio di riguardo deve essere dedicato anche alle cosiddette soft skills, proprio per l’ambiente particolare in cui solitamente le startup si trovano ad operare” racconta Carola Adami founder e Ceo di Adami & Associati (www.adamiassociati.com).
“Per riuscire a portare sul mercato una nuova azienda è infatti necessario un alto livello di coesioneall’interno del gruppo di lavoro, il quale sarà per forza di cose sottoposto a continue e stressanti pressioni: le startup si trovano infatti spesso schiacciate da pianificazioni rigidissime e particolarmente serrate, oltre che dalle frenetiche startup competition. Da questo punto di vista, dunque, la ricerca di personale qualificato per queste neonate aziende non può fermarsi al puro soddisfacimento dei requisiti tecnici, ma deve andare oltre, puntando ad una ulteriore compatibilità di tipo relazionale.
Come diceva Henry Ford – uno che di organizzazione del lavoro, nel bene e nel male, ci aveva visto giusto – «trovarsi insieme è un inizio, restare insieme un progresso, lavorare insieme un successo». Tutto sta, dunque, nel cercare fin da subito di formare team perfetto attraverso un’oculata strategia di ricerca e di selezione del personale” continua la Adami.
La ricerca e la selezione del personale, fattore chiave per la sopravvivenza delle startup
Risulta dunque ovvio come quello del recruiting sia un processo chiave per il successo di una startup: il suo vantaggio competitivo sta infatti gran parte proprio nella ricerca di personale qualificato e nella sua individuazione. Eppure, in molti casi, paradossalmente, le startup non dedicano la necessaria attenzione al processo di selezione del personale, lanciandosi alla ricerca di un nuovo profilo in modo destrutturato, arrivando a individuare un particolare candidato in modo empirico: questo avviene perché all’interno dell’azienda non esistono figure incaricate e con le competenze necessarie per un’efficace attività di recruiting.
Il risultato finale, molto spesso, è quello di ritrovarsi con un nuovo lavoratore che, a qualche mese dall’inserimento, si rivela per essere inadeguato per il ruolo affidatogli. A questo punto, la ricerca di personale deve ricominciare nuovamente, con un nuovo dispiegamento di tempo e di risorse. Tutto questo, ovviamente, non fa che aumentare la sensazione che sul nostro mercato ci sia un’effettiva mancanza di personale qualificato.
Ma in un contesto in cui sia il tempo che il budget a disposizione sono limitati, non ci si può di certo permettere di procedere per prove ed errori nelle procedure di recruiting: una fetta tra l’80% e il 90% delle startup avviate in Italia, infatti, falliscono in tempi brevissimi. I motivi principali di queste sfaceli sono un’idea commerciale inadeguata in partenza, una perenne insufficienza di liquidità e sì, la mancanza di un buon team di collaboratori.
Un aiuto per le startup: le aziende Accelerator
Il percorso verso il successo delle startup italiane si presenta quindi irto di ostacoli. E proprio per aiutare la loro crescita stanno nascendo anche in Italia le cosiddette Accelerator, ovvero aziende che mettono a disposizione delle startup più promettenti le proprie tecnologie e le proprie risorse, in modo da garantire loro un accesso veloce e duraturo sul mercato.
Anche questo tipo di aziende, però, rischiano di incorrere in uno degli stessi problemi tipici delle startup che vorrebbero aiutare, ovvero la difficoltosa ricerca di personale qualificato. Se infatti è vero che alle startup occorrono figure professionali particolarmente competenti e innovative, lo stesso si può dire anche delle Accelerator, le quali presentano un modo di fare business totalmente nuovo per il nostro scenario nazionale.
Una figura centrale in queste aziende è per esempio quella dei Business Development Team, a metà strada tra il ruolo di direttore commerciale e quello di recruiter. I loro compiti principali sono infatti quello di scovare nel mare magnum del mercato le startup più promettenti da accogliere sotto le ali protettrici dell’acceleratore, oltre a quello di impostare nel migliore dei modi la strategia di vendita di ogni singolo prodotto o servizio.
I manager a supporto delle startup
Il problema del recruiting all’interno delle startup, dunque, può essere in parte risolto – nei casi più fortunati – dalle attenzioni e dai finanziamenti di un efficace Acceleratore d’impresa. La nascita di questo nuovo attore comporta però ovviamente anche la ricerca parallela di nuove figure professionali altamente qualificate, indispensabili per dare il giusto appoggio alle startup nascenti.
Si parla dunque per lo più di manager caratterizzati da competenze trasversali di tipo tecnico, capaci di resistere allo stress della gestione di più progetti nel medesimo tempo.
Le figure maggiormente ricercate dalle Accelerator sono quindi gli Ingegneri Hardware, responsabili della realizzazione di sistemi elettronici e in grado di coordinare un team di hardware engineering; gli Ingegneri Software, capaci di implementare applicazioni avanzate su piattaforme tecnologicamente innovative; infine, i Digital Marketing Manager, responsabili delle strategie di marketing digitale e di media relations, per assicurare un crescente numero di clienti alle startup coinvolte nell’acceleratore.
Il candidato giusto, una questione di vita o di morte
“Inquadrate singolarmente o raccolte e potenziate dalle aziende Accelerator, a fare la fortuna delle startup non è solamente un’ottima idea iniziale: la presenza dei collaboratori giusti, infatti, è il secondo fattore che può fare davvero la differenza.
La scelta di un candidato sbagliato può portare una neonata azienda ad un passo dal baratro, mentre un candidato perfetto può dare quella spinta in più necessaria per raggiungere il successo. Come diceva infatti il grande oratore attico Demostene, «spesso grandi imprese nascono da piccole opportunità»” conclude Carola Adami.
###
Carola Adami, founder e Ceo della Adami & Associati, società di head hunting specializzata in ricerca di personale qualificato per startup e imprese