Trovare lavoro: ecco come i social network possono aiutare

Milano, 28 aprile 2017 – Da qualche anno i recruiter hanno una nuova potente arma per scegliere il candidato perfetto per un posto di lavoro.

In origine c’erano la lettera di referenze, la chiamata all’ex datore di lavoro e magari al conoscente in comune. Poi arrivarono un bel giorno i social networks, a partire da Facebook, e poi arrivarono a ruota LinkedIn, Twitter, Instagram, giusto per nominare i sodail più grandi.

«Siamo nell’era del social recruiting» dice Carola Adami, fondatrice e CEO di Adami & Associati, società specializzata in ricerca di personale qualificato per Pmi e multinazionali, «e la qualità della presenza online è un aspetto che nessun candidato può permettersi di sottovalutare».

Ma se è vero che i social media sono uno strumento in più a favore dei selezionatori di personale, è altrettanto vero che le stesse piattaforme possono trasformarsi nell’asso nella manica di chi è alla ricerca di un nuovo posto di lavoro.

Come spiega Carola Adami,  «sapere fin dall’inizio che un potenziale datore di lavoro o un cacciatore di teste potrebbero dare un’occhiata al proprio profilo Facebook o Twitter, dà ai candidati la possibilità di uniformare la propria presenza online alla propria immagine professionale».

Insomma, i social media non sono solamente un posto dove condividere le fotografie dell’ultima serata in discoteca, del viaggetto delle vacanze pasqualo o dei propri gatti.

Di fatto, la potenza di questi strumenti è ormai tale che utilizzare queste bacheche pubbliche solo ed unicamente come divertimento o passatempo sarebbe un vero spreco: non ci si può di certo scordare che sono ben 31 milioni gli italiani attivi sui social media, con un incremento dell’11% nel solo 2016.

«Praticamente tutti quanti al giorno d’oggi sono connessi» racconta Carola Adami «il che significa che LinkedIn, Facebook e Twitter costituiscono tutti insieme un database senza fondo per tutti i recruiter».

E se fino a qualche anno fa si poteva pensare che le piattaforme social potessero aiutare a trovare lavoro solo una fetta marginale della popolazione – i giovani, ed i millennials – oggi ci si sta rendendo conto che anche le figure senior possono approfittare di questi nuovi canali.

Il motivo è semplice: «il recruiter controlla il profilo Facebook di tutti i candidati per un posto da impiegato semplice, ma questo non vuol certo dire che il cacciatore di teste non dia un’occhiata al profilo Facebook di un potenziale nuovo manager: le pagine social di tutti i tipi di candidati finiscono infatti per cadere sotto la lente dei selezionatori, e per questo motivo nessuno dovrebbe gestire male o in maniera distratta la propria presenza online».

Tutti i tipi di business, al giorno d’oggi, sanno che gran parte dei nuovi clienti, prima di entrare in contatto con l’azienda, visiteranno il rispettivo sito web.

 

Trovare lavoro con i social network: cosa pubblicare

Lo stesso sta accadendo anche nel mondo del recruiting: in linea generale, nessun candidato viene più selezionato prima che i suoi profili social siano stati debitamente scansionati. «Per questo motivo» sottolinea Carola Adami «ogni elemento che potrebbe far storcere il naso ad un recruiter dovrebbe essere prontamente eliminato dalle proprie pagine pubbliche».

Un candidato, invece, dovrebbe sfruttare tutti gli strumenti a propria disposizione per confermare le proprie potenzialità.

LinkedIn è ovviamente il posto giusto per narrare in modo rilevante la propria carriera professionale, sottolineando a dovere i propri punti di forza.

Ma anche gli altri social possono concorrere a delineare un’immagine coerente di un candidato: i profili creativi possono sfruttare Instagram e Pinterest per mostrare al mondo i propri lavori, il giornalista può condividere i propri migliori articoli, lo chef può creare una rubrica di cucina, il manager può dispensare dei consigli oculati alla propria rete di contatti.

«Persino determinate soft skills possono essere confermate dai profili sui social media» afferma infatti Carola Adami. Prendiamo per esempio la leadership: «la presenza online del candidato dirigente ideale potrebbe infatti essere caratterizzata da un alto grado di disponibilità nel rispondere a richieste altrui, con la conseguente costruzione di un concreto capitale social».

Ogni tipo di candidato, dunque, dovrebbe essere in grado di sfruttare al meglio i social maggiormente affini alla posizione ricercata.

In linea generale, però, bisogna ricordare che le basi sono le medesime per tutti: «per la ricerca di lavoro come per la vita quotidiana, è fondamentale ricordarsi che i nostri profili social hanno diversi gradi di visibilità pubblica» ricorda infine Carola Adami «e come consigliamo spesso sia durante le nostre consulenze che sulle pagine del nostro blog, è essenziale eliminare oppure oscurare al pubblico tutte le foto che non vorremmo che il nostro potenziale datore di lavoro vedesse, così come gli aggiornamenti di stato più personali».

L’ultimo consiglio della CEO di Adami & Associati è poi quello di “coltivare una buona rete di contatti, mirando soprattutto a quelli del proprio settore di riferimento”.

Non è in fondo  proprio questo lo spirito di fondo dei social network?

 

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Rivoluzione social: ora la selezione del personale avviene sui social network

Una ricerca di Glassdoor riporta che bel l’86% dei Millennials cerca lavoro attraverso i social network, ma anche la selezione dei top manager e dei dirigenti passa per la rete. Secondo il recente studio “Digital in 2017”, di We Are Social e Hootsuite, sono oltre 39 milioni gli italiani connessi alla rete, e ben 31 milioni quelli presenti sui social network, ed un manager HR deve conoscere bene i social per una corretta selezione del personale..

Milano, 22 marzo 2017 – Le foto di insalate architettonicamente perfette pubblicate su Instagram stanno pian piano cambiando il modo di fare sia dei cuochi che dei contadini, la tempestività degli utenti di Twitter sta imponendo una rivoluzione delle agenzie di stampa e sì, la diffusione di LinkedIn non può in alcun modo essere presa sotto gamba dai Manager HR.

Come moltissimi altri settori, anche quello della ricerca e della selezione del personale è stato travolto dalla digitalizzazione, e in particolar modo dalla socializzazione digital: non è infatti più possibile occuparsi in modo efficace di recruitment senza immergersi nel mare magnum dei social network.

«Nemmeno i più capaci ed esperti head hunter al giorno d’oggi possono esimersi dal servirsi dei social network per individuare i migliori candidati» ha spiegato Carola Adami, fondatrice e CEO di Adami & Associati (www.adamiassociati.com), società specializzata in ricerca di personale qualificato per Pmi e multinazionali.

Lo scopo di un cacciatore di teste, come anche quello di un manager HR, è quello di trovare la persona giusta per soddisfare al meglio le esigenze aziendali, e per raggiungere questo scopo «va sfruttato ogni strumento in grado di fornire più dettagli possibili sul candidato in questione, e i social network finiscono spesso per svelare ben più informazioni di quante lo stesso professionista svelerebbe nel corso di un colloquio».

E non si parla solo di ruoli impiegatizi, poiché «anche nella ricerca e selezione di figure dirigenziali e di top manager sondare i social è diventato fondamentale, in quanto non esistono più categorie lavorative offline».

E se l’intera forza lavoro è connessa, di certo chi si occupa di risorse umane deve obbligatoriamente fare altrettanto: da questo semplice ma fondamentale nesso causale si è innescata la rivoluzione del social recruiting.

«Non vuol certo dire che il lavoro di head hunting si è spostato esclusivamente in rete, tutt’altro» ha spiegato Carola Adami. «All’esperienza, alle conoscenze tecniche e all’intuito del Manager HR e dell’head hunter si è però sommata la capacità di integrare il classico sourcing offline con quello online».

Nessun processo di ricerca e selezione del personale ad ampio spettro che si voglia completo può dunque essere realizzato senza l’ausilio dell’analisi dei dati in rete, in quanto quest’ultima è ormai parte integrante di una grandissima parte della popolazione: basti pensare che l’anno scorso il numero di persone che si sono connesse alla rete è stato di 39,21 milioni, con un rialzo del 4% rispetto al 2015. Ma il dato più interessante per chi si occupa di ricerca e selezione del personale è quello relativo ai social network: ebbene, questi ultimi vengono utilizzati da 31 milioni di persone, conquistando così un tasso di penetrazione del 52% sul totale della popolazione italiana. Questi dati cruciali arrivano dallo studio “Digital in 2017”, figlio di una collaborazione tra We Are Social e Hootsuite.

Un manager HR che si rispetti deve quindi conoscere come le proprie tasche il mondo dei social: questo non significa solamente essere presente sulle principali piattaforme, ma anche conoscerne le caratteristiche differenzianti. Prendiamo per esempio il social in blu di Zuckerberg: il 74% degli utenti italiani di Facebook vi accede ogni singolo giorno. Nel mondo, invece, questo numero si ferma a 55%.

Cosa sta a dimostrare questo gap? È molto semplice: pur utilizzando un numero minore di piattaforme social diverse, gli italiani accedono alle preferite con maggiore frequenza. Ma non è tutto qui: Facebook è anche quello con la più alta permanenza media mensile, la quale supera le 12 ore a persona. Su YouTube, per fare un confronto, si spendono invece circa due ore al mese, mentre su Linkedin in media i minuti mensili sono solamente 10.

A legittimare il diverso impiego di tempo sulle varie piattaforme è ovviamente la loro tipologia: ognuna infatti ha un suo scopo ben preciso, e richiama un diverso tipo di utilizzo – oltre che, in linea del tutto generale, un differente tipo di pubblico. Se Facebook e Instagram sono nati come strumenti di intrattenimento, la vocazione di YouTube e Snapchat è più strettamente comunicativa. Un caso a sé stante è invece quello di LinkedIn, unico vero e proprio social ‘professionale’.

«Chi si occupa di ricerca del personale deve dunque capire che il social recruiting richiede un approccio diverso in relazione ad ogni singola piattaforma: Facebook e LinkedIn offrono e allo stesso tempo esigono una presenza online totalmente differente» ha sottolineato Carola Adami.

E se una ricerca di Glassdoor ha evidenziato come l‘86% di chi lavora da meno di 10 anni utilizza i social media per trovare un nuovo lavoro, né il Manager HR né il cacciatore di teste possono ignorare che il 77,4% degli utenti di Facebook ha meno di 30 anni, mentre Twitter è utilizzato solamente da un quinto dei giovani tra i 14 e i 29 anni. LinkedIn, da parte sua, continua a crescere, seppur a balzi discontinui: nel 2016,la piattaforma acquisita dalla Microsoft ha visto un +18% degli utenti iscritti.

 

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Lavoro: in Italia le Startup cercano personale qualificato, ma non lo trovano

Continua ad essere difficile la ricerca di personale qualificato da parte delle startup italiane, un ostacolo enorme per la crescita e l’innovazione delle imprese e dell’intero paese…

Milano, 3 febbraio 2017 – Nel mercato del lavoro italiano c’è una sensibile penuria di know how specialistico, e questo va ad incidere soprattutto sulle possibilità di crescita di moltissime promettenti startup italiane. Da una parte c’è una massiccia ricerca di personale qualificato, e dall’altra sembra però non esserci un’adeguata risposta.

A parlarne recentemente uno studio pubblicato dall‘Osservatorio Startupper’s Voice, effettuato su un panel di circa 200 startup italiane: il dato più interessante della ricerca sottolineava che il 40% delle startup aveva avviato un processo di ricerca di personale qualificato senza riuscire a raggiungere dei risultati soddisfacenti. Di più: solamente il 15% degli intervistati aveva dichiarato di aver individuato le competenze ricercate nei candidati selezionati, mentre l’11% aveva di fatto rinunciato alla ricerca del personale.

A confermare, sul campo, gli esiti dello studio anche la Adami & Associati, società di head hunting di Milano, specializzata in ricerca di personale qualificato per Pmi e multinazionali.

La difficoltà di ricerca di personale qualificato un ostacolo alla crescita

Le difficoltà riscontrate dalle startup nella ricerca di personale qualificato costituiscono un vero e proprio ostacolo alla loro crescita: grazie alle nostre partnership con questi tipi di realtà, so per esperienza che nelle startup la selezione del candidato giusto può avere un’importanza ancora più cruciale di quanto già avviene nelle aziende di tipo classico.

Ma cosa dovrebbe ricercare una startup nei propri potenziali collaboratori al momento della selezione del personale?

“Il mio consiglio principale è quello di guardare alle competenze tecniche, ma non solo. Un occhio di riguardo deve essere dedicato anche alle cosiddette soft skills, proprio per l’ambiente particolare in cui solitamente le startup si trovano ad operare” racconta Carola Adami founder e Ceo di Adami & Associati (www.adamiassociati.com).

“Per riuscire a portare sul mercato una nuova azienda è infatti necessario un alto livello di coesione all’interno del gruppo di lavoro, il quale sarà per forza di cose sottoposto a continue e stressanti pressioni: le startup si trovano infatti spesso schiacciate da pianificazioni rigidissime e particolarmente serrate, oltre che dalle frenetiche startup competition. Da questo punto di vista, dunque, la ricerca di personale qualificato per queste neonate aziende non può fermarsi al puro soddisfacimento dei requisiti tecnici, ma deve andare oltre, puntando ad una ulteriore compatibilità di tipo relazionale.

Come diceva Henry Ford – uno che di organizzazione del lavoro, nel bene e nel male, ci aveva visto giusto – «trovarsi insieme è un inizio, restare insieme un progresso, lavorare insieme un successo». Tutto sta, dunque, nel cercare fin da subito di formare team perfetto attraverso un’oculata strategia di ricerca e di selezione del personale” continua la Adami.

La ricerca e la selezione del personale, fattore chiave per la sopravvivenza delle startup

Risulta dunque ovvio come quello del recruiting sia un processo chiave per il successo di una startup: il suo vantaggio competitivo sta infatti gran parte proprio nella ricerca di personale qualificato e nella sua individuazione. Eppure, in molti casi, paradossalmente, le startup non dedicano la necessaria attenzione al processo di selezione del personale, lanciandosi alla ricerca di un nuovo profilo in modo destrutturato, arrivando a individuare un particolare candidato in modo empirico: questo avviene perché all’interno dell’azienda non esistono figure incaricate e con le competenze necessarie per un’efficace attività di recruiting.

Il risultato finale, molto spesso, è quello di ritrovarsi con un nuovo lavoratore che, a qualche mese dall’inserimento, si rivela per essere inadeguato per il ruolo affidatogli. A questo punto, la ricerca di personale deve ricominciare nuovamente, con un nuovo dispiegamento di tempo e di risorse. Tutto questo, ovviamente, non fa che aumentare la sensazione che sul nostro mercato ci sia un’effettiva mancanza di personale qualificato.

Ma in un contesto in cui sia il tempo che il budget a disposizione sono limitati, non ci si può di certo permettere di procedere per prove ed errori nelle procedure di recruiting: una fetta tra l’80% e il 90% delle startup avviate in Italia, infatti, falliscono in tempi brevissimi. I motivi principali di queste sfaceli sono un’idea commerciale inadeguata in partenza, una perenne insufficienza di liquidità e sì, la mancanza di un buon team di collaboratori.

Un aiuto per le startup: le aziende Accelerator

Il percorso verso il successo delle startup italiane si presenta quindi irto di ostacoli. E proprio per aiutare la loro crescita stanno nascendo anche in Italia le cosiddette Accelerator, ovvero aziende che mettono a disposizione delle startup più promettenti le proprie tecnologie e le proprie risorse, in modo da garantire loro un accesso veloce e duraturo sul mercato.

Anche questo tipo di aziende, però, rischiano di incorrere in uno degli stessi problemi tipici delle startup che vorrebbero aiutare, ovvero la difficoltosa ricerca di personale qualificato. Se infatti è vero che alle startup occorrono figure professionali particolarmente competenti e innovative, lo stesso si può dire anche delle Accelerator, le quali presentano un modo di fare business totalmente nuovo per il nostro scenario nazionale.

Una figura centrale in queste aziende è per esempio quella dei Business Development Team, a metà strada tra il ruolo di direttore commerciale e quello di recruiter. I loro compiti principali sono infatti quello di scovare nel mare magnum del mercato le startup più promettenti da accogliere sotto le ali protettrici dell’acceleratore, oltre a quello di impostare nel migliore dei modi la strategia di vendita di ogni singolo prodotto o servizio.

I manager a supporto delle startup

Il problema del recruiting all’interno delle startup, dunque, può essere in parte risolto – nei casi più fortunati – dalle attenzioni e dai finanziamenti di un efficace Acceleratore d’impresa. La nascita di questo nuovo attore comporta però ovviamente anche la ricerca parallela di nuove figure professionali altamente qualificate, indispensabili per dare il giusto appoggio alle startup nascenti.

Si parla dunque per lo più di manager caratterizzati da competenze trasversali di tipo tecnico, capaci di resistere allo stress della gestione di più progetti nel medesimo tempo.

Le figure maggiormente ricercate dalle Accelerator sono quindi gli Ingegneri Hardware, responsabili della realizzazione di sistemi elettronici e in grado di coordinare un team di hardware engineering; gli Ingegneri Software, capaci di implementare applicazioni avanzate su piattaforme tecnologicamente innovative; infine, i Digital Marketing Manager, responsabili delle strategie di marketing digitale e di media relations, per assicurare un crescente numero di clienti alle startup coinvolte nell’acceleratore.

Il candidato giusto, una questione di vita o di morte

“Inquadrate singolarmente o raccolte e potenziate dalle aziende Accelerator, a fare la fortuna delle startup non è solamente un’ottima idea iniziale: la presenza dei collaboratori giusti, infatti, è il secondo fattore che può fare davvero la differenza.

La scelta di un candidato sbagliato può portare una neonata azienda ad un passo dal baratro, mentre un candidato perfetto può dare quella spinta in più necessaria per raggiungere il successo. Come diceva infatti il grande oratore attico Demostene, «spesso grandi imprese nascono da piccole opportunità»” conclude Carola Adami.

 

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Carola Adami, founder e Ceo della Adami & Associati, società di head hunting specializzata in ricerca di personale qualificato per startup e imprese

 

 

 

 

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