Roma, 7 dicembre 2022 – Le graduatorie dei beneficiari del Bonus Psicologo saranno disponibili sul sito dell’Inps, www.inps.it, a partire dal 7 dicembre, e dal giorno successivo i beneficiari potranno prenotarsi per usufruire del contributo.
Per la misura sono stati messi in campo 25 milioni di euro e il bonus eroga fino a 50 euro per ogni seduta di psicoterapia: beneficio che dovrà essere utilizzato entro 180 giorni dalla data di accoglimento della domanda.
L’INPS comunicherà ai beneficiari l’accoglimento della domanda tramite mail o tramite sms.
Contestualmente L’Inps associa e comunica a ciascun beneficiario un codice univoco che deve essere comunicato allo psicoterapeuta scelto, mentre l’elenco dei professionisti che hanno comunicato l’adesione all’iniziativa si trova sul sito del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (www.psy.it/).
Lo psicoterapeuta scelto dall’utente accede alla piattaforma e, verificata la disponibilità dell’importo della propria prestazione, ne indica l’ammontare inserendo la data della seduta concordata, e l’Inps comunica al beneficiario i dati della prenotazione.
Lo psicoterapeuta, erogata la prestazione, emette fattura intestata al beneficiario della prestazione indicando nella stessa il codice univoco attribuito, associato al beneficiario, e inserisce nella piattaforma Inps: il medesimo codice univoco, la data, il numero della fattura emessa e l’importo corrispondente.
L’INPS comunica al beneficiario l’importo utilizzato e la quota residua.
Successivamente l’INPS, provvede alla remunerazione delle prestazioni effettivamente erogate dagli psicoterapeuti e per le quali sia stata emessa regolare fattura, entro il mese successivo a quello di emissione, tramite accredito diretto sul conto corrente comunicato.
Gianni Lanari, psicoterapeuta responsabile del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est”
(https://www.pronto-soccorso-psicologico-roma.it/gianni-lanari.htm) informa che “la maggioranza degli psicoterapeuti del pronto soccorso ha aderito all’iniziativa. Il Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est”, tramite il sito www.bonus-psicologo.info e il n. 06 22796355, ha inoltre istituito un servizio di orientamento per i beneficiari del Bonus Psicologo.
I 400 psicologi della rete del pronto soccorso sono presenti in tutte le regioni italiane e in 24 paesi del mondo, come Regno Unito, Francia, Hong Kong, Messico, Russia, Argentina, Grecia, Kenya, Ghana, Mozambico, Nigeria, Brasile, Portogallo, Serbia, Romania, Bulgaria, Egitto, Giordania, Iran, Pakistan, Azerbaijan, India, Spagna, Svizzera. Anche molti dei colleghi che operano all’estero hanno espresso un giudizio positivo sull’iniziativa italiana del Bonus Psicologo” conclude Lanari.
Roma, 28 marzo 2022 – Nella nostra società si è finalmente capita l’importanza della prevenzione del maltrattamento familiare e di coppia, in quanto la famiglia è il primo nucleo sociale esistente e l’armonia in famiglia significa individui più sani mentalmente che vivono nella nostra società.
Per maltrattamento non si intende solo quello uomo-donna, ma anche quello figli-genitori e quello sorelle-fratelli.
La tossicità in un rapporto si manifesta in un ciclo continuo di mancanza di rispetto e calma successiva, per poi ritornare all’aggressività verbale o fisica e alla fase di calma seguente e così successivamente, fino a diventare un’ abitudine nell’ arco della vita di alcune famiglie.
Ciò che è importante sottolineare però è che molte volte si sensibilizza la società su temi del maltrattamento fisico, con conseguente aggressività e violenza.
Ciò che non si conosce ancora bene è che esiste anche un maltrattamento psicologico “silenzioso” che non si manifesta a livello fisico con lividi sulla pelle o sul viso, ma si può intravedere negli occhi della persona maltrattata.
Parliamo di persone e non generi, femminile o maschile, perché la tossicità in un rapporto può essere perpetuata dal compagno nei confronti della compagna o viceversa o, come menzionato prima, tra genitore e figli e tra fratelli e sorelle.
Il comune denominatore è la mancanza di rispetto, pazienza e serenità in una relazione, con l’obbiettivo di una persona di“scavalcare” la dignità dell’altra per ergersi con superiorità, nascondendo in realtà sotto sotto una mancanza di autostima e autocontrollo.
I lividi del cuore sono lividi invisibili alla vista, ma reali. Così reali da creare delle conseguenze nefaste nella persona vittima di tale tipo di violenza.
Il maltrattamento psicologico perpetuato nei confronti della persona più debole della relazione mina infatti moltissimi aspetti della vita della vittima.
Mina la sua autonomia, il senso di sé, l’autostima, la capacità di socializzazione e lavorativa. La persona vittima di maltrattamento infatti si comincia poco a poco a convincere che non vale come individuo, vive con angoscia e paura, ingabbiata in un senso di sé dispregiativo e autolimitante.
Evita di uscire e socializzare per paura delle eventuali rappresaglie in casa o per evitare il confronto con le persone vicine e per non dover dare spiegazioni della propria relazione o famiglia.
A livello lavorativo molte volte si comincia ad assentarsi al lavoro per depressione o ansia e mancanza di volontà, in quanto, come detto sopra, la violenza anche solo psicologica, mina in maniera totalitaria l’ autostima della vittima, che arriva quasi a pensare di “meritarsi” le rappresaglie eventuali o il maltrattamento continuo.
C’è anche da aggiungere che molte volte il maltrattatore non si comporta in maniera violenta tutto il tempo, ma può alternare momenti di calma ad aggressività, aspetto questo che può ulteriormente esacerbare la confusione nella vittima e può ritardare di anni una eventuale presa di coscienza da parte della persona maltrattata.
Gianni Lanari, psicoterapeuta responsabile del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” ci ricorda che “il bonus psicologo é stato approvato anche per affrontare il maltrattamento psicologico nella famiglia.
Giovedi 17 febbraio 2022 le Commissioni riunite Affari Costituzionali e Bilancio hanno infatti definito un voucher fino a 600 euro per sedute con professionisti iscritti all’Ordine degli Psicologi.
Si accede con Isee sotto i 50.000 euro e il voucher dovrebbe essere erogato dal medico di base. I particolari applicativi saranno stabiliti nei prossimi giorni con un decreto del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell’Economia”.
La dr.ssa Cristina Mitola, psicologa del Pronto Soccorso Psicologico ” Roma Est ” afferma inoltre che “con l’avvento della pandemia ed il lockdown questo status quo si è aggravato ulteriormente, in quanto non c’è stato per molto tempo neanche uno sfogo lavorativo fuori di casa e molti, avendo perso anche il lavoro, si sono trovati con debiti ed una situazione economica deficitaria che ha ulteriormente inasprito le relazioni all’ interno delle quattro mura domestiche.
Depressione, ansia, paura del futuro, instabilità, hanno causato in molti individui delle conseguenze psicologiche molto gravi che andrebbero indirizzate verso una maggiore presa di coscienza delle proprie risorse.
Un aiuto psicologico serio e professionale è l’unica via d’uscita in questi anni di totale confusione ed instabilità costante sotto tutti i punti di vista, sociale, economico, personale e psicologico.
La guerra scoppiata in Ucraina e l’ eventualità dello scoppio di una terza guerra mondiale non aiuta in assoluto, con persone che sentono il bisogno di ricorrere a psicofarmaci per poter far fronte a questo senso di totale confusione e smarrimento.
Il Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” ha quindi deciso di offrire un aiuto contro tutti questi problemi.
Il servizio di aiuto è offerto, in 29 lingue, da una rete di 384 psicologi presenti in tutte le regioni italiane e in 24 paesi esteri.
Roma, 28 febbraio 2022 – L’adolescenza ha da sempre affascinato e attirato l’interesse di poeti, scrittori, registi, artisti e autori di ogni tempo. Contiene in sé il carattere dirompente del passaggio dall’infanzia all’età adulta: è un momento di profondi cambiamenti ed emozioni intense, conseguenza di una tempesta ormonale emozionale e psichica, oltre che fisica.
L’onda di ormoni che sconvolge le reti della regolazione emotiva, porta infatti ad improvvisi stati di eccitazione, rabbia, risentimento, con reazioni smisurate, forti e contrastanti.
Rappresenta il momento d’inizio della costruzione della propria identità, la conquista dell’autonomia, il cammino verso il processo di individuazione. Si prendono le distanze dai genitori, in un’altalena di momenti nei quali si ha bisogno di loro, di interagire con loro, a momenti nei quali c’è un totale rifiuto nei loro confronti. L’adolescente si isola, si rivolge e si identifica col gruppo degli amici, che assume rilevanza fondamentale.
Secondo Winnicott i giovani adolescenti sono “degli isolati riuniti insieme”. Essi vivono un profondo bisogno di appartenenza, di contatto con il gruppo di pari. Tutto questo processo adolescenziale, delicato e universale, è stato ostacolato, in alcuni casi impedito e negato dalle restrizioni e dalle disposizioni messe in atto per contrastare l’emergenza Covid-19.
Sono trascorsi due anni dall’inizio della pandemia e l’impatto che essa ha avuto sulla salute mentale e fisica degli adolescenti è rilevante. Assistiamo così all’aumento dei sintomi depressivi, dei disturbi d’ansia, dei disturbi del comportamento alimentare, delle dipendenze, fino ad arrivare al fenomeno della microcriminalità organizzata delle “baby gang” nei contesti urbani, caratterizzato da bande giovanili che assumono comportamenti devianti ai danni di cose o persone.
Seppur, come hanno evidenziato alcuni studi, gli adolescenti abbiano cercato di mettere in atto strategie vincenti e risorse per far fronte alle nuove condizioni di vita, per trovare nuovi equilibri esistenziali, i dati sull’aumento delle richieste di aiuto da parte loro, o delle loro famiglie, ci mettono di fronte ad una situazione di grave disagio psicologico vissuto da questa fascia di popolazione così delicata e vulnerabile.
Inoltre, le preoccupazioni e i vissuti derivanti dall’attuale guerra Russia-Ucraina amplificano ancora più negativamente la situazione e stimolano ulteriori paure.
Gianni Lanari, psicoterapeuta responsabile del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” ci ricorda che “il bonus psicologo é stato approvato per affrontare anche i problemi psicologici degli adolescenti e delle loro famiglie.
Giovedi 17 febbraio 2022 le Commissioni riunite Affari Costituzionali e Bilancio hanno infatti definito un voucher fino a 600 europer sedute con professionisti iscritti all’Ordine degli Psicologi. Si accede con Isee sotto i 50.000 euro e il voucher dovrebbe essere erogato dal medico di base. I particolari applicativi saranno stabiliti prossimamente con un decreto del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell’Economia”.
“Il bonus conferma la situazione di grave disagio psicologico adolescenziale – racconta la Dott.ssa Manuela Chiodetti – come psicologa collaboratrice del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est”, nel corso dei colloqui di sostegno psicologico con adolescenti, mi sono trovata a riscontrare il cosiddetto fenomeno di languishing: uno stato di totale apatia, mancanza di motivazione, di scopo e di gioia, di assenza del benessere e di incapacità a superare uno stato di inerzia”.
Manifestazioni di questo tipo possono rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo successivo di un Disturbo da Stress Post-Traumatico, o di un Disturbo d’Ansia, o di un Disturbo Depressivo Maggiore.
Secondo uno studio dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, durante la seconda ondata della pandemia, i tentativi di suicidio e autolesionismo sono aumentati del 30%.
È necessario dunque intercettare forme iniziali di disagio psicologico tra i giovani, prima che esse si cronicizzino in disturbo.
Da qui, l’esigenza di rispondere all’emergenza attuale diffondendo e promuovendo interventi adeguati.
Al riguardo il Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” offre agli adolescenti e ai loro genitori, un servizio di ascolto e di aiuto, attraverso la sua rete di 382 psicologi, presenti in tutte le regioni italiane e in 24 paesi esteri.
Roma, 16 marzo 2021 – Da poco più di un anno, con la diffusione del virus SARS-CoV-2, la popolazione mondiale si è ritrovata ad affrontare situazioni che prima di allora aveva potuto vedere solo nei film. Le misure di sicurezza messe in atto per combattere il contagio si sono rivelate, sebbene per alcuni aspetti necessarie, un ulteriore carico da sopportare. Il terrore del contagio, il virus che poteva portare a conseguenze sconosciute ed avere effetti in alcuni casi fatali, si sono sommati all’obbligo di portare la mascherina, di utilizzare guanti, igienizzare sempre le mani, la distanza di sicurezza e per finire l’isolamento sociale durante il lockdown.
Un sacrificio che forse inizialmente ci è sembrato un piccolo prezzo da pagare per poter riscattare la libertà e sopravvivere, si è dimostrato però purtroppo non sufficiente a debellare il virus. Non avevamo idea di quanto questa cosa si sarebbe protratta nel tempo e che oggi, a distanza di più di un anno dal primo lockdown, ci saremmo ritrovati a temere ancora il contatto fisico con l’altro.
Gianni Lanari, psicoterapeuta responsabile del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” afferma che “il contatto fisico ha diversi effetti positivi per ogni persona. Toccare ed essere toccati è fondamentale, in questo momento invece il corpo dell’altro ci è stato proibito, l’abbiamo cominciato a vedere come pericoloso, possibile veicolo di virus. Durante l’isolamento abbiamo dovuto inventare nuovi metodi per sentirci “vicini”; ricordiamo con malinconico piacere il famoso inno d’Italia cantato dai balconi e i “ce la faremo”.
Ma in che modo l’assenza del contatto fisico ci ha cambiati?
Nonostante i mezzi virtuali non ci manchino e il fatto di essere riusciti a compensare bene il nostro fisiologico bisogno dell’altro, il corpo resta un elemento essenziale di conoscenza del mondo, di scambio di informazioni e di creazione attiva della nostra realtà mentale. Se le inferenze psicologiche e i significati del contatto corporeo possono sembrare variabili e soggettivi, parliamo invece degli effetti fisiologici del contatto fisico.
La Dr.ssa Claudia Grillea, psicologa del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est”, ci ricorda che “fra le tante reazioni fisiologiche alla vicinanza dell’altro, abbiamo la stimolazione dell’ossitocina, conosciuta anche come “l’ormone dell’amore”. Questo particolare ormone viene prodotto maggiormente quando ci si trova a contatto con persone con le quali abbiamo un forte legame emotivo, amici, partner o i nostri genitori”.
L’ossitocina promuove i comportamenti sociali, l’empatia e se ne produce in misura maggiore quando ci si trova in situazioni di condivisione o di contatto fisico. In questo modo, la sua produzione rafforza i legami affettivi e li rende più duraturi nel tempo. Fare gruppo è “adattivo” per la specie umana, ovvero aumenta le probabilità di sopravvivenza; ci siamo evoluti nel tempo e abbiamo sviluppato reazioni e istinti sociali proprio perché abbiamo scoperto, tramite l’esperienza ereditata di migliaia di anni, che insieme si sopravvive più a lungo che da soli.
L’ossitocina, infine, regola i livelli di cortisolo, altro ormone implicato nella gestione dello stress, dell’aggressività e dell’ansia. Anche la risposta da stress è fondamentale per la nostra sopravvivenza, si pensi semplicemente anche solo a quando ci si deve mettere in salvo da qualcosa che percepiamo come pericoloso, il problema si pone quando gli stimoli stressanti diventano molteplici e non si hanno sufficienti mezzi o strategie per affrontarli.
È scientificamente dimostrato che il contatto fisico abbassi i livelli di cortisolo e promuova la regolazione dello stress, agendo sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, responsabile della risposta da stress: una cascata di attivazioni che partono dai nuclei paraventricolari dell’ipotalamo, i quali producendo l’ormone di rilascio della corticotropina (CRH) ed altri neuropeptidi rilasciati nel sangue, vanno ad attivare l’ipofisi anteriore che a sua volta produce ormone adrenocorticotropo, o corticotropina, (ACTH) che va ad attivare le ghiandole surrenali, le quali infine producono il cortisolo.
Questo meccanismo è regolato da feedback negativo tramite l’ipotalamo, corteccia prefrontale e dall’ippocampo, ovvero queste aree captano la produzione dell’ormone e danno all’ipotalamo il segnale per interrompere la catena di produzione di cortisolo quando ce n’è già a sufficienza.
Proviamo ora ad immaginare il carico di stress accumulato dall’inizio della pandemia, la preoccupazione continua per il contagio, le misure da applicare, le restrizioni, la paura, la solitudine, purtroppo anche i lutti che alcuni hanno dovuto affrontare. Non ci riesce difficile immaginare come in un momento di simile difficoltà sarebbe stato necessario almeno un abbraccio.
Il grave peso della mancanza di contatto fisico va a ripercuotersi sulla nostra quotidiana gestione dello stress e delle emozioni, con conseguente aumento dei casi di ansia, attacchi di panico e del senso di disperazione, oppure “hopelessness”, che è alla base dello sviluppo di patologie psicologiche come la depressione. Inoltre, reazioni disfunzionali allo stress o stress eccessivo possono portare ad un indebolimento del sistema immunitario, che ci renderebbe ancor più vulnerabili alle malattie.
“Quello che stiamo vivendo noi oggi tramite l’isolamento sociale e la paura del contagio è una cosa che i pazienti oncologici ed immunodepressi vivevano già da tempo, seppur in scala ridotta. Quando ci si sottopone a chemioterapie o trapianti ci si ritrova a vivere con difese immunitarie azzerate, con la paura che un qualsiasi malanno possa portare a conseguenze fatali e a limitare i contatti con il mondo esterno. Proprio per questo motivo – continua la dr.ssa Grillea – essendo una specializzanda SIPSI, una scuola di psicoterapia che si occupa maggiormente di pazienti oncologici e di setting online – ho potuto apprendere sin da subito l’importanza di questo tipo di sostegno e di cosa significhi l’assenza del corpo. In situazioni critiche come questa, in cui ci sono dei provvedimenti rigidi che ci impediscono di vivere come abbiamo fatto prima d’ora, il mio consiglio è quello di non aver mai paura di chiedere aiuto”.
Il supporto psicologico è fondamentale in questo periodo storico per poter anche riuscire a scardinare l’idea della distanza dall’altro, rompere l’isolamento, anche se solo virtualmente, e non abituarsi passivamente all’idea della solitudine.
Al riguardo il Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” ha istituito un apposito servizio di aiuto psicologico in 21 lingue.
I 278 psicologi della rete del pronto soccorso sono presenti in tutte le regioni italiane e in 19 paesi esteri (Regno Unito, Hong Kong, Messico, Russia, Argentina, Grecia, Kenya, Ghana, Brasile, Portogallo, Serbia, Romania, Bulgaria, Egitto, Giordania, Azerbaijan, India, Spagna, Svizzera).
Per contattare il servizio di supporto psicologico basta telefonare al n. 06 22796355, al n. 320 2782095, o collegarsi al sito www.pronto-soccorso-psicologico-roma.it .
Roma, 22 febbraio 2021 – Parlare della malattia oncologica resta ancora oggi un tabù dovuto all’intensa sofferenza e ai timori che seguono una diagnosi così importante. Ma parlare della propria malattia, condividere le proprie ansie, chiedere aiuto, esternare i propri pensieri diventa fondamentale per il mantenimento di una sana relazione con sé stessi e con le persone che si prendono cura del malato.
Il cancro cambia inevitabilmente tanti aspetti della vita di una persona: il rapporto con la propria immagine corporea, le sensazioni fisiche legate ai trattamenti, l’alimentazione, il rapporto di coppia, il rapporto con i figli, l’aspetto lavorativo e la complessiva progettualità della propria vita.
Un aspetto importante, ma spesso sottovalutato, è il dialogo con i bambini in seguito ad una diagnosi di tumore: comunicare ai propri figli l’avvento della malattia e le conseguenze che essa comporta è un compito che si tende a rimandare. Eppure “tale passo può creare le basi per una gestione sana dell’esperienza della malattia del genitore” osserva Gianni Lanari, psicoterapeuta responsabile del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est”.
La reazione che un bambino può avere può essere diversa a seconda di tre importanti fattori:
-La sua età;
-La sua abitudine all’esternazione delle proprie emozioni e alla comunicazione con la famiglia e il mondo;
-La sua personalità;
L’età di un bambino è importante poiché essa fa la differenza sulla sua percezione del mondo. Ad esempio, un bambino sotto i cinque anni d’età potrebbe avere più difficoltà a comprendere l’avvento della malattia e le conseguenze che essa comporta nella vita del proprio genitore e nel complesso della famiglia.
I bambini a quell’età hanno una tipologia di pensiero che Piaget definisce “pensiero magico”, secondo il quale molte cose che accadono attorno a sé possono essere legate al suo comportamento; per esempio, il piccolo può essere portato a pensare cose del tipo “la mia mamma si è ammalata perché quella volta io ho fatto i capricci e l’ho fatta arrabbiare”, un pensiero che può facilmente dar vita a infondati ma intensi sensi di colpa che necessitano di essere sradicati sin da subito.
Un bambino di qualche anno più grande invece potrebbe non essere in grado di esternare il suo disagio e le sue paure, facendole ricadere su sintomatologie corporee, su problematiche legate all’alimentazione o sulla condotta scolastica, potrebbe assumere un atteggiamento adultizzato, iper-responsabile, eccessivamente premuroso come espressione della paura della separazione dalla propria figura di accudimento.
Un adolescente, invece, vive già di suo un periodo più complesso per via dei cambiamenti che riguardano più ambiti della propria esistenza, dai processi fisiologici a quelli ideativi, da quelli umorali a quelli comportamentali. Egli va incontro alla sua progressiva indipendenza, alla sua autodeterminazione ed emancipazione dalle proprie figure genitoriali, per cui l’arrivo di un evento così ingente nella sua vita può comportare un congelamento di tali processi o, al contrario, uno scompenso di essi.
A seconda della struttura di personalità del minore, possiamo osservare la messa in atto di meccanismi difensivi più o meno funzionali per fronteggiare tale situazione: ci sono bambini che tendono a distaccarsi, mettere in atto vere e proprie forme di evitamento allo scopo di prepararsi in qualche modo alla separazione dal genitore; altri ancora potrebbero andare incontro a regressione dello stadio evolutivo, cioè cominciare a comportarsi come bambini più piccoli della loro età perché spaventati, impauriti dalla minaccia della perdita o per attirare l’attenzione degli adulti e tenerli più vicino a sè.
La dott.ssa Maria Giovanna Ginni, psicologa del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est”, afferma:
“Non bisogna dimenticare che le reazioni emotive dei bambini e degli adolescenti agli eventi critici dipendono soprattutto dal loro legame di attaccamento con la figura genitoriale: infatti, una relazione di attaccamento sicuro (J. Bowlby, 1988) favorisce uno sviluppo più sano e una maggiore capacità del bambino di affrontare eventi critici della vita. Un aspetto sano di questo tipo di attaccamento e, che in un momento come quello della malattia oncologica di un genitore risulta fondamentale, è la comunicazione.
Avere la possibilità di comunicare, sia da parte del bambino sia da parte del genitore, riduce la possibilità di fraintendimenti e favorisce una risposta alla sofferenza che sia più semplice da tollerare. Per favorire un sano processo di crescita nel bambino e un miglior adattamento ai cambiamenti che la malattia del genitore comporta, è importante che ci sia una buona comunicazione emozionale. Cosa vuol dire?
Innanzitutto, è importante che il genitore sia trasparente con lui, sin dal momento della diagnosi: scegliere di non mentire, ma di spiegare la situazione in termini comprensibili e adatti all’età del bambino significa permettere a quest’ultimo di avere il tempo per mentalizzare e metabolizzare i cambiamenti della malattia dell’adulto. È preferibile che sia il genitore stesso, dunque l’adulto affetto da cancro, a spiegare al bambino di che si tratta e che cosa succederà, lasciando che le emozioni fluiscano naturalmente.
Va bene condividere il bisogno di piangere, ascoltare le paure del bambino e permettergli di fargli fare domande: il piccolo ha bisogno di capire e di avere chiaro ciò che accadrà, pian piano, con la massima delicatezza ed un linguaggio semplice e adatto a lui.
Comunicare apertamente con lui significa trasmettergli un messaggiodi fiducia, maturità, significa farlo sentire parte importante della famiglia e renderlo agente attivo nel processo di cura verso il genitore. Egli ha bisogno di sentire il contatto stretto con la propria mamma o il proprio papà e quando questo non è possibile a causa del ricovero, si può permettergli vicinanza attraverso telefonate, videomessaggi, disegni, letterine da condividere con il proprio genitore momentaneamente lontano.”
Non è da trascurare l’aspetto della progettualità: pensare a cosa fare in futuro non appena la malattia sarà passata o comunque sarà avviato il processo di guarigione, aiuta sia il bambino che l’adulto a generare pensieri positivi e mantenersi attivi e propositivi.
Nel caso in cui un genitore non guarisca o sia ad uno stadio terminale della malattia, è importante che qualcuno per lui spieghi al bambino con parole semplici quello che sta accadendo, dando spazio alle sue emozioni, come la sua rabbia, il suo smarrimento, la sua paura. Legittimare, accogliere e attribuire un significato ai sentimenti del bambino lo aiutano ad affrontare con più forza e lucidità il distacco dal proprio genitore ammalato.
Non sempre si riesce a trovare le parole giuste per la sensibilità di un bambino o un adolescente, per questo potrebbe essere utile farsi aiutare da un esperto.
Il sostegno psicologico per il malato e per i familiari che vivono l’impatto di una diagnosi oncologica è fondamentale per l’elaborazione delle emozioni e dei sentimenti che insorgono in circostanze critiche come questa.
É per tale motivo che il Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” ha istituito un apposito servizio, offerto da una rete di 272 psicologi presenti in 20 paesi (Italia, Regno Unito, Hong Kong, Messico, Russia, Argentina, Grecia, Kenya, Ghana, Brasile, Portogallo, Serbia, Romania, Bulgaria, Egitto, Giordania, Azerbaijan, India, Spagna, Svizzera).
Per contattare il servizio, offerto in 21 lingue, basta telefonare al n. 06 227 963 55 o al n. 349 187 4670, o collegarsi al sito www.pronto-soccorso-psicologico-roma.it.
Roma, 11 febbraio 2021 – Una parola che recentemente salta all’occhio nel momento in cui si descrivono relazioni interpersonali compromesse è narcisismo, spesso utilizzata per definire le caratteristiche di un partner che assume atteggiamenti disfunzionali all’interno della coppia.
Accade spesso però che questo termine venga abusato o che questa etichetta venga attribuita senza davvero conoscerne il significato. È necessario conoscere bene i criteri di definizione e le dinamiche legate al narcisismo, dal momento che si tratta di un disturbo della personalità e non di una semplice caratteristica.
Facciamo chiarezza: chi è il narcisista?
Il narcisista è una personalità che manifesta un sistema di funzionamento cognitivo, emotivo e comportamentale pervaso da grandiosità e necessità di ammirazione.
Queste caratteristiche della personalità iniziano a comparire entro la prima età adulta e possono essere presenti in svariati contesti.
La persona con disturbo narcisistico della personalità appartiene a coloro (donne o uomini) che sentono di avere un senso grandioso di importanza, la narrazione della propria esistenza è costellata dalla tendenza ad esagerare risultati e talenti, da fantasie di successo, potere, fascino e bellezza illimitati spingendo il soggetto a considerarsi superiore agli altri, tanto da convincersi del diritto di ricevere trattamenti di favore o soddisfazione immediata delle proprie aspettative.
Il soggetto narcisista sceglie di frequentare solo ambienti di un certo livello e persone di un certo prestigio sociale, spinto dalla convinzione di essere un privilegiato, una convinzione che spesso lo porta ad assumere atteggiamenti arroganti e presuntuosi in vari contesti sociali ed alla certezza di essere oggetto di invidia altrui.
Ginni Maria Giovanna, psicologa del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” (www.pronto-soccorso-psicologico-roma.it) afferma:
“Ciò che più colpisce nella relazione con il soggetto narcisista è la mancanza di empatia: egli sembra incapace di mentalizzare gli stati mentali altrui e identificarsi con i sentimenti e le necessità di chi gli sta attorno. Questo è ciò che, più di tutto, porta a ledere le relazioni interpersonali.
Il fallimento della capacità di mentalizzazione ed empatia trae origine dai meccanismi legati alla relazione di attaccamento con i caregiver durante l’infanzia. Il genitoreche si prende cura del bambino nei suoi primi anni di vita ha una funzione fondamentale nella regolazione degli affetti e nel rispecchiamento emozionale, elementi che portano allo sviluppo di un sano apparato emotivo e personologico nei primi anni di vita; questo è ciò che sta alla base della formazione di un Sé ben strutturato, che si evolverà durante l’arco della vita. Il fallimento della funzione di rispecchiamento affettivo da parte del caregiver, porta a ciò che Fonagy e Target definiscono “rispecchiamento affettivo non congruente”, ossia un’esperienza in cui un genitore il più delle volte iper-controllante o con meccanismi di difesa non funzionali, provoca una percezione distorta da parte del bambino di sé stesso. Quanto “rispecchiato” emozionalmente dal genitore non è congruo con la reale immagine del bambino, il quale andrà verso la formazione di quello che Winnicott definisce “falso sé”, che spesso sfocia in un disturbo narcisistico della personalità”.
La percezione esterna che si ha di un soggetto con la personalità narcisistica è quella di una persona fredda e calcolatrice, presa totalmente da sé stessa, ma allo stesso tempo incapace di esprimere la propria vulnerabilità o di comunicare i propri bisogni. Spesso la motivazione di ciò è proprio legata all’incapacità di stabilire una relazione profonda con l’altro, poiché un coinvolgimento totale in una relazione riattiva nel narcisista vecchi schemi diadici infantili nei quali i suoi bisogni sono stati respinti, ignorati, talvolta puniti (Young & Klosko) da parte di un caregiver mal ricettivo.
Al contrario può accadere che a influenzare la capacità di coinvolgimento del narcisista e ad alimentare il suo senso di grandiosità vi siano esperienze infantili costituite da esaltazione, idealizzazione e sovrastima da parte della figura di accudimento, che porterà quindi alla convinzione di sé stessi come esseri superiori, meritevoli di attenzioni ed elogi continui.
Detto ciò, si può ben comprendere come, in età adulta, di fronte a soggetti non disposti ad assecondare i bisogni del narcisista, quest’ultimo provi un forte senso di rabbia e di ingiustizia. Egli percepisce di essere privato di un suo fondamentale diritto e metterà in atto una serie di meccanismi svalutanti nei confronti dell’altro.
Come conseguenza della convinzione di meritare sempre il meglio e di essere destinati a tutto ciò che è speciale e meritevole di attenzione, il narcisista, nella scelta del proprio partner, punta a prediligere caratteristiche dell’altro legate a particolari talenti, capacità o aspetto fisico, proprio perché il fine ultimo è quello di dover suscitare invidia negli altri. Di fatto egli non guarda alla persona in sé, ma essa diventa una sorta di trofeo da ostentare, nonché un’estensione di sé stesso che serve ad accrescere il suo valore.
All’interno della relazione stessa si attuano una serie di meccanismi che potremmo suddividere in fasi, poiché spesso caratterizzano un vero e proprio cliché, stando a quanto le stesse “vittime” raccontano.
Gianni Lanari, psicoterapeuta responsabile del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est”, afferma che “cadere nella trappola del narcisista è molto semplice: lui/lei esercita un forte fascino sull’altro, poiché è dotato di carisma, savoir faire, risulta estremamente seduttivo e sicuro di sé”.
Nel momento in cui ci si innamora di un narcisista (prima fase del rapporto) si vive ciò che viene definito “periodo d’oro”, costituito da forti sensazioni positive dovute al fatto che egli si mostra devoto, promettente, sempre pieno di attenzioni e gesti eclatanti verso l’altro; assume un atteggiamento rassicurante e premuroso e al contempo inizia a bruciare le tappe parlando di convivenza, matrimonio o addirittura figli. Il narcisista corre perché di fatto concentrare l’attenzione su qualcuno che non sia sé stesso richiede un forte dispendio di energia da parte sua, fino a che non potrà rilassarsi nella “seconda fase”.
La seconda fase è quella della “svalutazione”: il soggetto narcisista smette di dedicare attenzioni e premure all’altro, poiché si rende conto di averlo in qualche modo soggiogato sotto il suo potere e aver solidificato un aspetto di dipendenza da lui. È qui che egli manifesta il suo vero sé: si mostra indisponibile, non empatico, pretenzioso, bugiardo, esprimendo continue critiche al proprio partner.
La conseguenza “sana” da parte del partner a questo atteggiamento svalutante è quello di arrabbiarsi e cercare durante le discussioni un punto comune di crescita, ma il narcisista non è consapevole dei suoi errori per cui spesso le discussioni non portano a nulla. Egli è convinto di esser privo di difetti e di agire sempre nel giusto. Non di rado tali scontri si concludono con lo sfinimento o la fuga da parte della vittima.
Questo è ciò che prepara il terreno all’ultima fase, ossia quella dello “scarto”, che consiste in una drastica interruzione del rapporto da parte del narcisista; questa è di fatto l’ultima arma che gli rimane per ripristinare l’equilibrio con sé stesso di fronte alla minaccia alla sua grandiosità. Spesso il narcisista sceglie un momento particolarmente importante per la vittima, come un traguardo o addirittura un lutto, proprio perché il suo intento è quello di lasciare il segno e generare una reazione di confusione nell’altro.
Lo scarto, percepito come improvviso e scioccante da parte del partner in realtà è un gesto premeditato: succede spesso che il soggetto narcisista già da tempo abbia cominciato a svalutare e giudicare male il proprio partner anche alle sue spalle, scaturendo spesso il consenso di chi lo ascolta a interrompere la relazione.
“Di fronte a questo evento, il partner del narcisista può reagire in due modi: se è dotato di una struttura di personalità ben salda, la rottura della relazione diventa un’occasione per liberarsi da un contesto dannoso; se invece il partner ha una personalità fragile, dipendente, con bassa autostima, insicurezza e con una passata storia di abusi, soprusi e svalutazioni infantili, resterà invischiato sempre più nei meccanismi del narcisista” conclude Lanari.
Chi è la vittima ideale?
Anche la vittima “ideale” del narcisista sembra corrispondere a un tipo particolare di personalità: alcuni studi e testimonianze cliniche riportano che il profilo della personalità dipendente è quella che più di tutte risulta complementare agli schemi del suo carnefice.
In maniera speculare, il dipendente è colui/colei che assume un atteggiamento sottomesso e timoroso, l’idea di una separazione lo spaventa e lo fa vivere in un incubo persistente. Il narcisista trova terreno fertile in una persona che ha difficoltà ad assumere un atteggiamento deciso, assertivo e responsabile, che non è in grado di compiere delle scelte e che ha paura di esprimere disaccordo verso qualcuno, per il timore di perderne il supporto e l’approvazione. Una relazione disfunzionale in questo caso non ha mai fine, poiché il legame seppur malato è sempre preferito all’abbandono e alla solitudine.
“La psicoterapia, sia per il narcisista che per la persona che si trova invischiata in questo meccanismo senza uscita, è utile innanzitutto per render loro consapevoli delle loro caratteristiche e della disfunzionalità delle loro relazioni. Una volta acquisita la consapevolezza, si procede gradualmente all’acquisizione delle abilitá necessarie per uscire fuori da tale “trappola”.” – aggiunge Ginni.
Il Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” ha 261 psicologi collaboratori presenti in tutte le regioni italiane e in 18 paesi esteri ( Regno Unito, Hong Kong, Messico, Russia, Argentina, Grecia, Kenya, Ghana, Brasile, Portogallo, Serbia, Romania, Bulgaria, Giordania, Azerbaijan, India, Spagna, Svizzera).
Tale rete di psicologi si occupa di aiutare tutti coloro che, direttamente o indirettamente, vogliono uscire dalla “trappola narcisistica” e che puntano quindi al ripristino di una sana relazione con sé stessi, alla presa di coscienza del proprio valore e delle strategie da attuare per riprendere in mano la propria vita.
Per contattare il servizio, offerto in 21 lingue, telefonare al n. 0622796355 o al n. 3491874670, o collegarsi al sito www.pronto-soccorso-psicologico-roma.it.
Roma, 5 dicembre 2021 – La diagnosi di cancro nella vita di un individuo è un fenomeno devastante, a causa di tutto ciò che la malattia porta con sé. Nel momento in cui il paziente oncologico si trova a dover gestire la malattia, tutto il suo mondo subisce una trasformazione di significati.
La prima a cambiare è la dimensione corporea, poiché il corpo è il primo nucleo dell’identità personale che viene colpito: gli effetti della malattia e delle terapie, come il dolore, la nausea, la perdita di capelli, la diminuzione o l’aumento di peso, ecc. hanno un peso notevole sulla propria immagine.
Dal punto di vista psicologico il paziente con diagnosi di cancro vive sentimenti intensi di irrealtà, incredulità, disorientamento e rabbia.
Il modo di gestire la crisi esistenziale scaturita dalla diagnosi differisce in base all’atteggiamento e allo stile di coping appartenenti al singolo individuo, che a loro volta influenzano la compliance ai trattamenti medici e il decorso biologico della malattia (Putton et al., 2011). Burgess nel 1988 ha individuato le principali strategie di coping adottate per affrontare la malattia neoplastica:
• hopelessness/helplessness, caratterizzato da elevati livelli di ansia e di depressione, dall’incapacità di mettere in atto strategie cognitive finalizzate all’accettazione della diagnosi, dalla convinzione di un controllo esterno sulla malattia;
• spirito combattivo, contraddistinto da moderati livelli di ansia e di depressione, da numerose risposte comportamentali attraverso le quali il paziente cerca di reagire positivamente e costruttivamente alla situazione, dalla convinzione di un controllo interno sulla malattia;
• accettazione stoica, con bassi livelli di ansia e depressione, attitudine fatalistica, dalla convinzione di un controllo esterno della malattia;
• negazione/evitamento, in cui appaiono del tutto assenti sia le manifestazioni ansioso-depressive, sia le strategie cognitive, nella convinzione da parte del paziente di un controllo sia interno che esterno della malattia.
Ciò che si riscontra più spesso è proprio l’atteggiamento di negazione, in particolar modo in fase diagnostica, come frutto di un meccanismo di difesa che permette in qualche modo all’individuo di prendere le distanze da una realtà minacciosa e preoccupante. Un meccanismo di difesa che va osservato, accolto, ma subito gestito: la negazione o il diniego, infatti, possono compromettere l’aderenza del paziente alle prescrizioni mediche, ai farmaci e a tutti i controlli che l’iter clinico prevede.
Un fenomeno spesso riportato dalla letteratura in merito alla diagnosi di cancro è quello della “sindrome psiconeoplastica”. Si tratta di una serie di dinamiche psicologiche profonde scaturite dalla stessa diagnosi che può presentarsi sotto forma di sintomi psicopatologici, la cui intensità dipende dall’insieme di diversi fattori: la personalità del paziente, le esperienze passate, la sua età, le relazioni interpersonali presenti e passate, la presenza di un contesto sociale e familiare supportivo, la gravità e il tipo di tumore diagnosticato.
I sintomi psicopatologici maggiormente presenti sono paura, stress, rabbia, ansia, depressione, alterazione della propria immagine corporea, aggressività e forte senso di ingiustizia.
Ginni Maria Giovanna, psicologa del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” afferma:
“Guardare negli occhi un paziente oncologico spesso si traduce nel cogliere il suo forte senso di impotenza. In seduta spesso essi riferiscono di veder ridursi il proprio senso di progettualità a causa del profondo e repentino senso di immanenza della propria morte, a causa delle modificazioni imposte al proprio stile di vita, dalla perdita del ruolo familiare, dalla riduzione delle capacità lavorative e dall’angoscia di disgregazione fisica e mentale.”
L’avvento della pandemia da Covid-19 ha reso più difficili le condizioni di chi convive con un tumore. Sono cresciute le ansie per la propria salute, per la normale conduzione delle terapie (chemio, radio, ecc.) e per le conseguenze che può comportare sul proprio corpo l’arrivo di un virus così potente. Molti pazienti si sono chiesti se fosse necessario sospendere le normali terapie, molti altri si sono chiesti se la loro condizione già di per sé fragile potesse diventare irrecuperabile una volta incontrato il virus.
La risposta data dagli esperti in merito è che fondamentalmente tutte le persone ammalate di cancro, così come chi presenta patologie cardiache, respiratorie e del sistema immunitario, fanno parte del gruppo a rischio. Bisogna tuttavia considerare che non tutti i pazienti affetti da cancro sono ugualmente suscettibili all’infezione da coronavirus e ugualmente a rischio per un decorso grave; incidono fattori come la tipologia di cancro, l’organo colpito, lo stadio del trattamento, l’età e la presenza di altre malattie.
A tal proposito, un gruppo di ricercatori britannici ha analizzato gli effetti del Coronavirus su pazienti con diverse caratteristiche e vari tipi di tumore, scoprendo che le differenze non mancano e che non tutti i pazienti oncologici sono più a rischio degli altri. Tale studio, riportato su Lancet, ha previsto il confronto tra persone con neoplasia e Covid-19 e pazienti oncologici che non risultavano affetti da coronavirus.
È stato osservato che nei pazienti con tumori del sangue, come leucemia, linfoma e mieloma, rispetto a quelli con tumori solidi, il Covid-19 ha avuto effetti più pesanti e il tasso di letalità è risultato più alto. “Il tumore del polmone e quello della prostata non sembrano legati a un maggior rischio di contrarre l’infezione e di morirne, mentre la categoria di pazienti con il rischio in assoluto più basso sono risultate essere le donne affette da tumori del seno e ginecologici” affermano gli autori.
Dunque, per motivi che possiamo facilmente immaginare, l’arrivo di questo virus sconosciuto ha messo in allarme i pazienti con diagnosi di tumore.
Un’altra ricerca ha mostrato che i pazienti affetti da cancro non hanno un rischio di infezione da Coronavirus maggiore di quello della popolazione non affetta da tumore, ma che la percentuale di persone risultate positive al virus e ospedalizzate era maggiore tra i pazienti oncologici, così come la percentuale di decessi.
Aspetti da non sottovalutare in questo caso, più che in altri, sono le conseguenze psicologiche dell’isolamento e il cambiamento dell’assetto lavorativo. La lontananza dagli affetti, la difficoltà di contatto anche con il proprio oncologo, lo stravolgimento delle abitudini quotidiane, hanno accresciuto il senso di disorientamento, la paura, il senso di abbandono fino a compromettere la motivazione e l’aderenza alla terapia.
Secondo i dati dell’Associazione Italiana di Oncologia medica (Aiom), il 15-20% dei pazienti si sono sentiti in qualche modo “frenati”dall’andare a eseguire le terapie salvavita, anche negli ospedali che hanno garantito i “percorsi puliti”.
Per tale ragione, molti centri oncologici, associazioni di medici e di psicologi hanno cominciato a offriresostegno a distanza, ai pazienti e ai loro familiari. Da un punto di vista lavorativo, i pazienti malati di cancro sono coloro che in via prioritaria hanno diritto a svolgere il proprio lavoro da remoto, attraverso lo smart working, così come stabilito dal decreto “Cura Italia”.
Un’ulteriore forma di isolamento quindi, in una condizione per la quale il contatto con l’esterno e l’interazione sociale diventano fattori prioritari per il mantenimento di un buon equilibrio psicologico.
Lo psicologo clinico può fare molto all’interno dell’equipe medica, riconoscendo i bisogni del paziente e aiutandolo ad affrontare il grande percorso del cambiamento fisico e psicologico che la malattia comporta, il passaggio dall’essere sani ad essere malati, a elaborare una situazione caratterizzata da incertezza e minaccia di morte.
“Nella situazione attuale i malati oncologici si ritrovano spesso a combattere una guerra su due fronti, quello della pandemia e quello del tumore. Diventa quindi molto importante la presenza di centri di supporto psicologico a cui appoggiarsi”, afferma Gianni Lanari, psicoterapeuta responsabile del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est”.
Il Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” ha per questo deciso di offrire un servizio, in 20 lingue, di aiuto psicologico per i malati oncologici e i loro familiari.
La rete “Roma Est” è composta da 252 psicologi presenti in tutte le regioni italiane e in 17 paesi esteri (Regno Unito, Hong Kong, Messico, Russia, Argentina, Grecia, Kenya, Ghana, Brasile, Portogallo, Serbia, Romania, Giordania, Azerbaijan, India, Spagna, Svizzera).
Per contattare il servizio di supporto psicologico basta telefonare al numero 06 22796355 o al numero 349 1874670, o collegarsi al sito internet www.pronto-soccorso-psicologico-roma.it.
Roma, 30 novembre 2020 – Sono passati pochi giorni dallo scorso 25 novembre, Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza Contro le Donne, eppure sembra che una problematica così grave sia già passata in secondo piano. I fatti di cronaca che vediamo e sentiamo scorrere in televisione, in radio e sui social, quotidianamente ci mostrano che la violenza e gli abusi sulle donne nel mondo sono diventati una vera e propria piaga sociale. Sempre più di frequente i perpetratori di questa violenza diventano anche autori di reati gravi contro queste stesse donne che, nonostante le denunce e le richieste d’aiuto, spesso perdono la vita per mano del proprio partner, di un familiare o spesso di un ex fidanzato.
L’avvento della pandemia da COVID-19 ha probabilmente creato le condizioni per un aumento di tale fenomeno: infatti, molti dati confermano che nel periodo di lockdown in cui si è stati costretti a restare in casa, molte donne che già vivevano dinamiche di coppia disfunzionali, sono rimaste completamente sole nel proprio ruolo di vittime.
Gianni Lanari, psicoterapeuta responsabile del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” (www.pronto-soccorso-psicologico-roma.it) sostiene che “i segreti e i silenzi siano spesso funzionali agli abusi e che quindi, in tali situazioni, il comunicare e il chiedere aiuto siano azioni fondamentali. Spesso chi è vittima di abuso prova un senso di vergogna e/o impotenza e tende a rinchiudersi in sè stesso. Succede paradossalmente spesso che la vittima si senta colpevole dell’ abuso subito e che preferisca barricarsi dietro un muro di silenzio per paura del giudizio“.
THE SHADOW PANDEMIC
Le Nazioni Unite hanno definito “The shadow pandemic”, la pandemia ombra, il fenomeno dell’incremento delle violenze sessuali accentuatosi nel periodo della pandemia. Dati statistici risalenti al periodo pre-lockdown rilevavano che in media una donna su tre in tutto il mondo subiva una violenza fisica o sessuale; nel periodo successivo questa statistica ha subito modifiche esponenziali, quasi fuori controllo. Ad aggravare una problematica di per sé così delicata vi è stata la difficoltà per i servizi assistenziali di fornire aiuto e sostegno alle vittime: infatti, gli enti e i servizi gratuiti che offrono protezione alle vittime di violenza hanno denunciato una crisi dovuta alla mancanza di finanziamenti e alla riduzione del personale. Dati provenienti dal Regno Unito, per esempio, riferiscono che un buon 22% dei servizi di prima linea hanno denunciato grosse difficoltà nel sostegno efficace alle vittime di abusi.
L’epidemia da Covid-19 ha quindi probabilmente accresciuto il rischio di violenza sulle donne, da un lato perché la convivenza ed il confinamento forzati hanno aggravato situazioni di violenza preesistenti all’interno delle famiglie, dall’altro perché l’emergenza sanitaria ha drasticamente ridotto le possibilità di formulare richieste di aiuto. Spesso la difficoltà di accesso ai servizi assistenziali era legata ad una semplice mancanza di privacy: essendo costantemente a contatto col proprio maltrattante, queste donne non si sono sentite libere e al sicuro nel procedere con la richiesta di aiuto. Nel primo periodo di isolamento infatti, le chiamate alle linee di assistenza si sono ridotte di circa il 55%.
VIOLENZA ONLINE
Durante la pandemia la violenza ha preso forme diverse: la casa non è stata e tutt’ora non è l’unico luogo in cui essa si è manifestata, ma ha preso piede anche nel virtuale. In realtà non parliamo di niente di nuovo, ma con l’aumento del 70% dell’uso del web in periodo di quarantena, soprattutto col passaggio al lavoro online, alle formazioni a distanza, al puro e semplice mantenimento delle relazioni sociali quotidiane, ecc., le donne sono state oggetto di violenza sotto forma di minacce fisiche, molestie sessuali e stalking. Ciò non ha potuto fare a meno di traumatizzare le vittime, che hanno sviluppato una vera e propria paura di esporsi al mondo virtuale, attuando forme di evitamento e di chiusura al sociale. Di conseguenza, anche la possibilità di contatto online con i servizi di assistenza psicologica si è notevolmente ridotta.
“DENUNCIO O NON DENUNCIO?”
L’ambiente familiare, quando è contaminato da dinamiche tossiche di questo tipo diventa un luogo ambivalente: si vorrebbe fuggire, eppure resta il luogo in cui le vittime si sentono più al sicuro. Molte donne spesso decidono di non denunciare gli abusi subiti e questo probabilmente è dovuto a diversi fattori:
– paura delle conseguenze che si possono generare nel contesto familiare;
– paura generica;
– paura della reazione del violento;
– incertezza su quanto possa accadere dopo la denuncia.
Non é raro che le vittime tendano a ritirare la denuncia e a ritornare dal maltrattante.
COME AGIRE?
L’intervento del governo e della pubblica amministrazione diventa importante.
La conferenza delle regioni e delle province autonome ha approvato un documento (il 23 aprile 2020) che riporta una ricognizione sullo stato attuale degli interventi regionali in tema di violenza di genere, messi in atto per far fronte agli effetti dell’emergenza da Covid-19. Alcune proposte operative aventi come scopo l’intervento efficace a sostegno delle donne che chiedono aiuto in questo periodo di emergenza sanitaria sono:
– sul versante sanitario, pretendere la possibilità di eseguire il tampone sia alle donne che ai loro figli, in regime di urgenza, per poter procedere con l’eventuale inserimento in case rifugio o in altre strutture di protezione;
– sul versante giudiziario post-denuncia, promuovere e incentivare l’allontanamento dei maltrattanti dalla casa familiare e non viceversa;
– sul versante della collaborazione istituzionale occorre avere strategie comuni per costruire insieme, ciascuno per le proprie competenze, gli interventi e le risorse necessarie.
Secondo l’ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne (UN WOMEN) i governi dovrebbero stanziare delle risorse aggiuntive per affrontare la violenza contro le donne nei piani di risposta nazionali al COVID-19. Sarebbe inoltre necessaria una buona sensibilizzazione estesa anche al settore privato, in modo tale che esso utilizzi i suoi strumenti internazionali per prevenire e rispondere alla violenza contro le donne. Sarebbe inoltre opportuno che gli enti locali e regionali si impegnino a rendere sicuri gli spazi pubblici per le donne sia in periodo di pandemia che dopo.
ABUSO SUI MINORI: UN’ALTRA PANDEMIA DA FRONTEGGIARE
L’abuso sessuale e i maltrattamenti in generale sui minori sono questioni molto discusse al giorno d’oggi e, anch’esse, richiedono una costante attenzione. Esistono diverse forme di maltrattamento minorile, di cui la violenza sessuale (in particolar modo nei contesti intrafamiliari) ne ricopre una buona parte. Vi sono inoltre maltrattamenti fisici, psicologici e le patologie delle cure ( discuria, incuria e ipercuria ).
Il 70% dei casi di maltrattamento minorile avviene in contesti intrafamiliari, perciò la condizione di chiusura e di isolamento ha aggravato tale situazione. In un ambiente in cui i bambini dovrebbero essere al sicuro da ogni pericolo esterno, spesso essi sono vittime di relazioni disfunzionali tra i genitori e tra genitori e figli.
Se per la maggioranza dei minorenni il confinamento in casa dovuto a lockdown è stato sinonimo di protezione, per molti altri, tra cui quelli con gravi forme di disabilità fisica e mentale, ha significato restare intrappolati con i propri maltrattanti.
Il mondo virtuale anche per i minori si è spesso trasformato in un luogo pericoloso: molti sono stati gli adescamenti online da parte di pedofili e sfruttatori sessuali.
Maria Giovanna Ginni, psicologa del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” dice che “nel caso di minori, soprattutto se molto piccoli d’età, subentra il senso di confusione e di incertezza legato al fatto che chi dovrebbe proteggerli inspiegabilmente fa loro del male. L’immaturità dei processi evolutivi non permette ai bambini di mentalizzare ed elaborare razionalmente quanto sta accadendo loro, per cui un maltrattamento o un abuso, specie se reiterato nel tempo, diventa parte integrante della loro quotidianità. Diventa “normalità”. Una normalità che si incista nel percorso di crescita e da origine allo sviluppo di psicopatologie quali depressione, ansia, disturbi dell’adattamento e della personalità.”
Il presidente del Comitato di Lanzarote considera urgente l’intervento dei paesi che ne fanno parte a considerare emergenza questa problematica e invita a considerare la prevenzione dello sfruttamento, degli abusi sessuali e le modalità di segnalazione sicura delle preoccupazioni, come parte integrante di tutte le misure di prevenzione e controllo del COVID-19. Egli chiede a tutti gli Stati di garantire che i bambini siano informati del loro diritto alla protezione contro la violenza e dei servizi e delle misure disponibili per raggiungere questo obiettivo.
Dal momento che con l’avvento della pandemia vi sono stati disagi e in alcuni casi anche l’interruzione dei servizi di helpline disponibili h 24, è più che mai necessario che gli Stati si assicurino di disporre di risorse umane e attrezzature adeguate per non lasciare inascoltata alcuna richiesta di aiuto. È importante che anche i genitori e i tutori che sono a contatto con i minorenni siano supportati nell’affrontare le emozioni e i loro comportamenti durante questa situazione critica; essi devono essere in grado di prevenire e rispondere agli eventuali abusi, online e non, di cui i loro figli possono esser vittime.
Fondamentale resta la comunicazione ed il mantenimento di una rete di supporto, non fare in modo che l’isolamento fisico si trasformi in un isolamento psicologico e sociale.
Al riguardo Il Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” offre un servizio, in 18 lingue, di aiuto alle vittime di violenze ed abusi.
I 241 psicologi della rete del pronto soccorso psicologico sono presenti in tutte le regioni italiane e in 14 paesi esteri (Regno Unito, Hong Kong, Messico, Russia, Argentina, Grecia, Kenya, Brasile, Romania, Giordania, Azerbaijan, India, Spagna e Svizzera).
Roma, 19 novembre 2020 – In un anno così diverso rispetto ai precedenti, le vicissitudini legate alla diffusione del Covid-19 hanno messo alla prova le risorse di ciascuno di noi. Il periodo della crescita in cui più impariamo a mettere in atto strategie di difesa e di adattamento all’ambiente circostante è sicuramente quello dell’adolescenza.
L’avvento della pandemia è stato disorientante per qualsiasi fascia d’età, ma l’adolescenza richiede un focus di attenzione specifico.
C’è chi sostiene che gli adolescenti abbiano più di tutti sofferto il cambiamento e chi invece parla di una sorta di immunità psicologica dovuta ad uno stile di vita adolescenziale già di per sé “distaccato” dalla realtà.
In una fase della vita in cui le vecchie certezze dell’infanzia abbandonano la psiche per lasciar spazio a nuove realtà sociali, in cui sicurezze, autostima, pensieri, convinzioni, atteggiamenti, non seguono più una linea “verticale” (dall’autorità genitoriale al figlio), ma “orizzontale” in cui fondamentale è il confronto con il gruppo dei pari, il corona virus ha infilato una barriera proprio all’interno di ciò che per l’adolescente caratterizza una dimensione essenziale.
Dovendo obbedire alle regole dell’isolamento sociale e della quarantena domiciliare, il ragazzo è tornato a confrontarsi con il contatto prolungato con i propri genitori. Un po’ come tornare ad una condizione infantile, dunque, di continua interdipendenza con le autorità familiari.
Non c’è da stupirsi se in una condizione simile si siano osservati: l’aumento di conflitti intrafamiliari, un aumento dello stress psicologico, un abbassamento del tono dell’umore, un aumento della dipendenza da dispositivi tecnologici.
Tutte condizioni che si sono legate, sia in prospettiva di cause che di conseguenze, con problematiche legate alle abitudini alimentari, al ciclo sonno-veglia, alle difficoltà scolastiche e ad altre difficoltà psicologiche più o meno gravi.
COVID E RIASSETTO FAMILIARE
Il covid-19 porta con sé la reale possibilità di vivere esperienze traumatiche come l’isolamento forzato, la forzata separazione da uno o entrambi i genitori, qualora essi debbano subire un ricovero o un allontanamento fiduciario. In alcuni casi, i ragazzi sono stati ospitati all’interno di strutture di accoglienza.
Anche le famiglie non toccate dai contagi, hanno comunque subito la riduzione delle proprie risorse economiche: infatti, alcuni genitori hanno perso il lavoro. La perdita del reddito è già di per sé una fonte di stress per l’adulto ed ha conseguenze sia immediate che a lungo termine per la famiglia, poiché iniziano a venir meno anche i bisogni primari.
È facile immaginare come questo influisca su diversi livelli della vita quotidiana, da quello della sussistenza a quello in cui viene meno la possibilità di accedere a strumenti tecnologici indispensabili per servizi come la didattica a distanza, attività di telemedicina e tele-riabilitazione, così come il semplice mantenimento delle relazioni familiari e il gruppo dei pari.
Inoltre, bisogna considerare che non tutte le famiglie dispongono di spazi abitativi idonei alla convivenza prolungata: alcuni dati ISTAT evidenziano che parte dei minori sono esposti ad una condizione di sovraffollamento abitativo e il disagio si acuisce se oltre ad essere sovraffollata, l’abitazione presenta problemi strutturali come la mancanza di acqua corrente, mancanza di adeguata illuminazione, ridotti spazi di movimento. Tutte condizioni che gravano su difficoltà già esistenti.
L’abbandono dei vecchi e sani ritmi influisce sul benessere psicofisico: si è osservato il cambiamento delle abitudini alimentari. Ad esempio, molti ragazzi si sono legati al cibo in maniera emotiva, cercando di placare stress, ansia, basso tono dell’umore, alimentandosi in maniera sregolata.
Tale approccio al cibo, quando associato a preesistenti condizioni di sovrappeso o obesità, porta inevitabilmente ad un peggioramento dello stato di salute. La mancanza di una routine strutturata tipica di un adolescente (sveglia-scuola- studio-sport-socialità) ha intaccato anche la sfera del sonno. Infatti, ci sono genitori che hanno spiacevolmente osservato nei propri figli la tendenza a restare molte ore a letto, prediligendo orari tardivi di addormentamento e risvegli sregolati durante la mattina.
Tutto questo, associato alla mancata possibilità di accedere agli spazi esterni per poter esercitare attività fisica come parchi, campi gioco, palestre, associazioni sportive, ha portato a sperimentare un aumento dell’irritabilità nell’adolescente ed una maggiore predisposizione ai conflitti.
Ricordiamo che la pratica sportiva, sin dall’infanzia, oltre che sana per il corpo, è anche risorsa indispensabile all’apprendimento della cooperazione, della gestione sana dei conflitti interpersonali, del rispetto dei turni, della tolleranza e sublimazione dello stress.
COVID E SCUOLA
Come sappiamo, la diffusione dei contagi ha portato spesso alla chiusura delle scuole; il paese si è organizzato con la DAD, didattica a distanza, ossia la possibilità di frequentare i corsi in modalità online attraverso piattaforme come zoom, teams, webex, skype, eccetera. L’idea di base è stata quella di sopperire alla mancanza di lezioni in presenza tramite una possibilità interattiva di procedere con il programma scolastico, facilitando anche l’accesso agli strumenti didattici e migliorando il confronto con gli insegnanti.
In molti casi, però, la didattica a distanza si è tradotta in una mera assegnazione dei compiti a casa o alla semplice e asettica ripetizione delle tradizionali lezioni frontali. È molto probabile che questo sia dovuto ad una disomogenea presenza di competenze professionali utili a creare materiali didattici rispondenti alle esigenze educative, evitando il sovraccarico degli studenti.
È vero anche che l’interruzione delle lezioni in presenza ha paradossalmente aiutato coloro che invece patiscono il confronto diretto con i compagni e gli insegnanti, sperimentano ansia da prestazione o soffrono di altri disturbi internalizzanti, come la fobia sociale e la fobia scolastica, a superare alcuni blocchi personali.
La didattica a distanza ha messo gli insegnanti stessi sotto una luce diversa agli occhi degli studenti.
Alcuni di loro riferiscono di vederli sotto una prospettiva più “umana”. Poter entrare virtualmente nelle loro case, ha permesso agli alunni di osservare i propri insegnanti in un contesto diverso, quello della quotidianità, riducendo l’ottica dell’asimmetria tra docente-autorità e alunno.
È stato possibile sciogliere molte tensioni normalmente presenti nel contesto classe, magari durante un’interrogazione, donando un feedback positivo all’allievo più sensibile.
COVID E DISABILITÀ
Tutt’altro che semplice è risultata la gestione di casi di disabilità e forme di disturbi dello sviluppo nell’età evolutiva per quei genitori che, già in condizioni normali, vivono questa sfida quotidiana. Affrontare l’isolamento e la quarantena senza la possibilità di accedere ai servizi specialistici e di sostegno è stata una condizione davvero ardua. Molti adolescenti, così come molti bambini affetti da disabilità, hanno vissuto un vero e proprio abbandono, dal momento che l’intervento di figure professionali ben strutturato nel quotidiano del ragazzo e della famiglia, è stato improvvisamente interrotto.
Sentimenti di abbandono, disorientamento, caos e talvolta disperazione, hanno accompagnato il vissuto di queste famiglie per molto tempo. Al termine del periodo di lockdown si sono osservati regressi ed un ritorno di difficoltà già superate, soprattutto in quei ragazzi che seguono un programma educativo e comportamentale quotidiano. L’improvvisa interruzione dei servizi specialistici, ha portato ad un aumento delle tensioni familiari, un aumento dell’aggressività dei ragazzi e in alcuni casi ad episodi di allontanamento da casa.
I cambiamenti sociali avvenuti (e che continuano ad avvenire) con la diffusione dei contagi per Covid-19 non hanno rivelato solo aspetti negativi nel vissuto quotidiano degli adolescenti. Alcuni ragazzi infatti hanno mostrato atteggiamenti esemplari, andando a compensare le difficoltà dei genitori, prendendosi cura dei fratelli più piccoli, offrendo aiuto alle persone più deboli (es. facendo spesa per gli anziani del palazzo).
Sebbene resti importante non perdere l’attenzione sui soggetti che più di tutti hanno sofferto il cambiamento, in particolar modo i ragazzi che già affrontano psicopatologie nel loro quotidiano, ancora una volta si resta sorpresi di fronte alla sensibilità che gli adolescenti sono in grado di dimostrare.
Gianni Lanari, psicoterapeuta responsabile del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” afferma che “gli adolescenti, spesso accusati di superficialità, mancanza di valori, svogliatezza, fragilità, in realtà hanno solo bisogno di essere ascoltati, osservati e non giudicati. Inoltre, investire sul benessere psicologico degli adolescenti, è sinonimo di investimento per il futuro”.
Maria Giovanna Ginni, psicologa del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” aggiunge inoltre che “é importante non aspettare che siano le sofferenze a parlare di loro, non attendere che la crescita si strutturi su una base psicopatologica trascurata …. così come in medicina, anche per la salute psicologica, il contatto preventivo con una figura specialistica nei giusti tempi favorisce uno sviluppo più funzionale ed equilibrato”.
Il Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” offre agli adolescenti e ai loro genitori, un servizio di ascolto e di aiuto, attraverso la sua rete di 236 psicologi, presenti in tutte le regioni italiane e in 13 paesi esteri.
Roma, 23 settembre 2020 – La psicoterapia comportamentale potrebbe essere utile a tenere a bada il disturbo da deficit di attenzione? Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività, da cui l’acronimo italiano DDAI, ma ben più noto col suo equivalente inglese ADHD, derivante da Attention Deficit Hyperactivity Disorder, è uno dei disturbi dello sviluppo più comuni. Normalmente viene diagnosticato durante l’infanzia e spesso questa condizione persiste fino all’età adulta.
I bambini con ADHD possono avere difficoltà nel prestare attenzione, controllare comportamenti impulsivi (capita spesso che agiscano senza rendersi conto delle conseguenze) e ovviamente, mostrare un’attivazione comportamentale molto elevata.
Esistono tre diversi tipi di ADHD:
•Disattento: gli individui con questo tipo di ADHD trovano difficile organizzare o terminare un’attività, prestare attenzione ai dettagli, seguire istruzioni o conversazioni con altri. La distrazione è facile;
•Iperattivo: gli individui con questo tipo di ADHD spesso appaiono visibilmente agitati e logorroici; per loro è difficile rimanere seduti a lungo. Nei bambini più piccoli può essere impellente la necessità di correre, saltare o arrampicarsi costantemente. L’irrequietezza è costante e ci sono problemi con l’impulsività;
•Combinato: in questa tipologia i sintomi dei due tipi precedenti sono ugualmente presenti nell’individuo.
È importante ricordare che i sintomi possono cambiare nel tempo, e con questi anche la tipologia di ADHD.
La pandemia che stiamo vivendo ha creato delle sfide senza precedenti per la società.
Gli individui con ADHD sono particolarmente vulnerabili al disagio causato dalle misure pandemiche, come il distanziamento sociale, e potrebbero mostrare un aumento dei problemi di natura comportamentale. L’European ADHD Guidelines Group ha proposto delle linee guida per la valutazione e la gestione dell’ADHD durante la pandemia.
Ad esempio, alle famiglie di bambini con ADHD, si raccomanderebbe l’uso di strategie genitoriali di stampo comportamentale, le quali hanno effetti benefici nel ridurre il comportamento oppositivo provocatorio e distruttivo, comune dell’ADHD. Se clinicamente indicato, nel trattamento dell’ADHD si dovrebbe avere l’opportunità di iniziare una terapia farmacologica dopo il completamento della valutazione iniziale.
In molti casi, infatti, l’ADHD viene trattato al meglio con una combinazione di psicoterapia comportamentale e farmaci. Per i bambini in età prescolare, tra i 4 e i 5 anni, la psicoterapia comportamentale, che include in particolare la formazione per i genitori, è raccomandata come prima linea di trattamento, ancor prima dei farmaci. Ciò che funziona al meglio può dipendere dal bambino e dalla famiglia.
Gianni Lanari,psicoterapeuta coordinatore del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est”, al riguardo afferma che “per combattere l’iperattività è consigliabile utilizzare la psicoterapia comportamentale. Il supporto fornito sarà psicologico, educativo e sociale. E’ importante coinvolgere anche i genitori e gli insegnanti. Gli psicofarmaci sembrerebbero invece consigliabili solo nei casi più gravi. Normalmente i piani di trattamento ben organizzati includono uno stretto monitoraggio e dei follow-up costanti”.
Il dottor Nicola Zingaro osserva invece “come l’impossibilità di accedere al trattamento farmacologico potrebbe aumentare i rischi per la salute correlati al COVID, perché il comportamento correlato all’ADHD potrebbe diventare più disorganizzato, influenzando negativamente la capacità di soddisfare i requisiti per il distanziamento sociale”.
Sempre il dottor Zingaro ricorda che “l’ADHD può durare fino all’età adulta. Alcuni adulti soffrono di ADHD, ma non sono mai stati diagnosticati, e i sintomi possono causare difficoltà al lavoro, a casa o nelle relazioni. C’è da ricordare come i sintomi possono apparire leggermente diversi in età avanzata rispetto a come si presentano nei bambini: ad esempio l’iperattività può apparire come estrema irrequietezza. I sintomi, inoltre, possono diventare molto più gravi in quanto aumentano le esigenze dell’età adulta e quindi possono diventare di difficile gestione”, conclude il Dr. Zingaro.
Il Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est”, grazie alla sua rete professionale di 184 Psicologi, offre in tutta Italia (e in sette paesi esteri) un servizio di supporto a coloro i quali hanno in famiglia casi di ADHD. I prezzi sono accessibili, gli Psicologi lavorano 7 giorni su 7 e si offre professionalità e rispetto per chiunque.
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