Vercelli, 31 luglio 2018 – “La cattiva sanità, la burocrazia e la disorganizzazione nel vercellese uccidono più della malattia“. A denunciarlo la scrittrice Barbara Appiano, che per un problema di salute personale ha provato in prima persona i disagi che sono costretti a provare gli ammalati della provincia di Vercelli.
A cominciare dal fatto che a Vercelli pare non ci sono i soldi per spedire le lettere per lo screening mammografico alle donne.
Qui di seguito la denuncia di Barbara Appiano su cosa non va, secondo lei, nel sistema sanitario del vercellese, e il suo appello ai politici locali a migliorare l’assistenza, senza procedere in nuovi tagli alla Sanità.
“Di recente ho potuto constatare di persona cosa non va nel sistema sanitario della mia provincia, Vercelli. Innanzitutto mi sono sentita ostaggio di una sanità disorganizzata, che non mi ha spedito la lettera per il controllo dello screening mammografico biennale. Per fortuna mi sono ricordata io della scadenza, ho provveduto io stessa a richiedere a metà maggio di quest’anno lo screening mediante una mail via Pec. E solo dopo l’invio della mail ho ricevuto una telefonata da parte del reparto screening di Vercelli, che mi ha proposto il controllo mammografico il 31 di maggio a Santhià” denuncia la scrittrice.
Ed è stato un vero miracolo il fatto di essermi ricordata della mammografia da fare, visto che effettivamente c’era qualcosa che non andava.
Ho vissuto l’assurdità della burocrazia sanitaria in prima persona e ho notato che a parità di numero di pazienti che si ammala sul territorio vercellese corrisponde una parità di tagli, mentre il nostro governatore del Piemonte Sergio Chiamparino pensa ad indire il referendum per chiedere ai cittadini il parere sulla Tav della Val di Susa.
Questo vuol dire che, in periodo di votazioni, i riflettori traslocano per il prossimo mandato regionale nella Val di Susa e non nel vercellese dove le persone muoiono di tumore e dove chi reclama gli viene detto che può andare a Novara.
Infatti la consolazione per Vercelli è un cartello al piano terra dell’Ospedale S.Andrea, che dopo avere visto chiuso il suo reparto di oncologia può però ammirare un cartello con la denominazione di ‘Polo Oncologico Novara-Vercelli’.
La cosa che più mi fa indignare è che a Vercelli sembra tutto in dismissione: non esiste più il reparto di oncologia, non vengono spedite le lettere per lo screening mammografico e quando vi è una diagnosi dubbia non viene fatto alcun esame di approfondimento, disattendendo i protocolli sanitari nazionali.
Ho notato infatti che qui a Vercelli la disorganizzazione regna sovrana: al paziente viene richiesto di firmare che deve essere operato nel blocco operatorio, su un formulario firmato da un medico che non ti ha nemmeno visitato e non ha nemmeno il tuo referto sulla classificazione del tuo tumore, classificazione che nel mio caso era sbagliata in quanto necessitava di ulteriori accertamenti, che non mi sono stati illustrati.
Per non parlare poi del decorso della malattia: una volta che ti viene comunicato che hai un ospite indesiderato dentro di te la tua vita diventa un circo, dove ognuno dice la sua, e dove nessuno ti spiega il perché.
Ebbene in questo circo io ho osato spiegare che non mi sarei operata a Vercelli e che avrei optato per un’altra regione, cioè la Lombardia.
A quel punto ecco scendere in campo il campanilismo: “Perché vuole operarsi in Lombardia?” mi e’ stato chiesto e giù a enumerare i nomi dei chirurghi che anche senza reparto oncologico sono lo stesso bravissimi, ecc. ecc.
La mia risposta è stata: ‘Pago le tasse e quindi vado ad operarmi dove mi sento più sicura, visto che voi non mi date nessuna sicurezza e visto che il pressapochismo con cui il mio tumore è stato trattato è da operetta’.
Proprio lo stesso pressapochismo con cui a Vercelli si chiudono i reparti e si accorpano discipline mediche per risparmiare, con ricadute inevitabili sui malati.
In assenza del protocollo che prevede esame istologico tissutale e poi scintigrafia per la biopsia del linfonodo sentinella per il miglior risultato su un tumore iper-studiato, come quello della mammella, e che con i protocolli giusti garantisce la migliore cura con sopravvivenza al 98%, mi ha indotto a recarmi in un centro in Lombardia, dove in 4 settimane ho svolto tutte le indagini del caso e prenotato già un intervento nei giorni a venire.
A differenza dell’ospedale di Vercelli, che mi ha contattato telefonicamente solo dopo quasi un mese, e non dopo qualche giorno, per dirmi che dovevo ripetere l’esame con un approfondimento di secondo livello.
Vorrei capire se coloro che si occupano di riprogrammare i controlli di secondo livello nel caso di una sospetta neoplasia sarebbero contenti di ricevere questo stesso trattamento.
Ritardare anche solo di un giorno le importantissime comunicazioni sulla refertazione e diagnosi vuole dire banalizzare e non prendere sul serio il proprio lavoro e la vita delle persone visto che si ha a che fare con una malattia seria, che purtroppo non farà che nuove vittime fintanto che verranno tagliati gli investimenti sulla Sanità.
A Vercelli si muore di tumore, come nel resto d’Italia, ma si tiene tutto sotto silenzio, e si tagliano i posti letto e i reparti in sordina.
Vercelli si potrebbe candidare ad essere un polo ricerca per le malattie tumorali vista l’alta incidenza di mortalità che questa malattia infligge alla popolazione, ma nessun politico propone un progetto simile, che potrebbe anche essere un modo per mettere al centro la città e il suo territorio.
Il cancro è purtroppo una specie di Robespierre che ghigliottina senza sosta, e che rende la parola sopravvivenza un sogno.
Il tumore è una parola che spaventa, che genera terrore a causa della sua reputazione, spesso alimentata da una sanità lumaca con cui questa entità gioca a scacchi sulle nostre stesse vite.
E la Regione Piemonte e l’Assessorato alla Sanità sono spesso perversi nello spiegare, quando lo spiegano, le motivazioni di chiusura dei reparti come quello di Oncologia.
Per questo chiedo ai politici: perché il Vercellese, che ha un elevato tasso di incidenza della malattia tumorale non ha un polo di riferimento, e ad oggi addirittura non vi è più il reparto di Oncologia, chiuso dall’attuale compagine politica della Regione Piemonte?
La nostra provincia dovrebbe essere potenziata con esperti oncologi e radiologi, e non è giustificabile il mancato recapito delle lettere per il controllo mammografico alle donne del Piemonte.
Come autrice, impegnata culturalmente, sono anche ambasciatrice di buona volontà presso il Centro Cardiologico Monzino e l’Istituto Oncologico Europeo per la ricerca cardiovascolare e oncologica e come cittadina piemontese senza fare campanilismi, denuncio una grave carenza negli ospedali della nostra provincia, che difetta di un coordinamento per la tutela della salute, e ha incredibili carenze organizzativeche creano improvvisazione, e che come nel mio caso, creano profonda sfiducia e delusione nei cittadini.
Perché il Presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino non utilizza i soldi per il possibile referendum sulla realizzazione della ferrovia ad alta velocità in Val di Susa per potenziare l’ospedale S.Andrea di Vercelli, e creare un polo oncologico serio, di riferimento, attirando medici e ricercatori?
Si creerebbe cosi sul territorio un nuovo rapporto di fiducia verso le istituzioni e la Sanità!
Questa non è politica, questa è la tutela della propria salute visto che è indubbio che anche i politici si possono ammalare di tumore.
Per questo non possono essere noncuranti delle problematiche che questa malattia innesca, e non possono risolvere a tavolino il ‘problema dei numeri’.
Per fortuna il mio tumore, che io chiamo Bosone di Higgs, è ancora piccolo. Presto sarà estirpato, ma tanti altri casi di malattia tumorale grave reclamano da parte del governo regionale piemontese attenzione e un serio progetto di cura e non di improvvisazione.
Personalmente continuerò nella mia attività di pubblicista e scrittrice ad evidenziare le carenze del mio paese e della mia regione, e in questo sarò sempre in prima linea senza compromessi, per dare voce a coloro che soffocati dalla paura della malattia muoiono già alla sola pronuncia della diagnosi.
Vittime di una parola che è negazionista della vita, e che soccombono davanti alla burocrazia e ai tagli sanitari, che ci riducono alla rassegnazione.
Io però non mi rassegno, e la storia del mio Bosone di Higgs, la mia particella scomunicata da Dio, sta per diventare un mio nuovo libro, che racconterà dei miei ’18 millimetri di indifferenza’, e di uno Stato senza coscienza.
Libro che invierò, una volta terminato, allo stesso assessore Saitta e al presidente Chiamparino, che nonostante la sua non più tenera età è ancora ritenuto valido e utile per il mondo della politica, mentre io a 55 anni sono ritenuta già vecchia per il mondo del lavoro e adesso, da malata, sono diventata doppiamente ingombrante, soprattutto per i politici malati di onnipotenza che si illudono che a loro, quello che succede alle persone normali, non accadrà mai”.
###
Contatti stampa:
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.