Le persone sono diventate più sole con la pandemia?

Durante i due anni dallo scoppio della pandemia, molte persone hanno dovuto vivere situazioni all’insegna della profonda solitudine. Alcuni studi su un tema così delicato sottolineano quanto uno stato d’animo del genere si sia accentuato nel corso di un periodo così complicato. Un’analisi effettuata nel mese di gennaio del 2021 non aveva riscontrato particolari cambiamenti significativi sui rapporti sociali tra le persone, ma la situazione è variata con il passare del tempo.

Le ricerche inerenti a questo argomento si sono ulteriormente intensificate e si focalizzano su una vita quotidiana sempre più disagiata. L’ultimo studio, portato avanti da un gruppo di studiosi, si basa su dati provenienti da ogni angolo del mondo. I dati dell’ultima ricerca stanno capovolgendo la situazione, dimostrando invece che la pandemia ha provocato un aumento della sensazione di vuoto e solitudine da parte di un’ampia cerchia di persone.

Ormai sono trascorsi oltre due anni dall’inizio del contagio da Covid-19. Oggi siamo in un periodo storico nel quale si inizia a tirare le somme delle varie conseguenze di un insieme di eventi tragici, che hanno coinvolto i cittadini a livello globale, nessuno escluso. Ecco, quindi, un punto orientativo della situazione. Dopo tutte le leggi entrate in vigore per contenere la pandemia entro numeri accettabili per non mettere a serio repentaglio la tenuta delle strutture sanitarie, è essenziale sapere se le persone siano riuscite a essere soddisfatte dei loro standard di vita in quei momenti così complicati. Al tempo stesso, è stato analizzato il loro tasso di felicità.

Gli ultimi dati relativi alle condizioni psicologiche delle persone durante gli ultimi due anni all’insegna della pandemia hanno rilevato che le persone sono state alle prese con un sostanziale incremento della solitudine, seppur con cifre contenute. I dati, che presto saranno di dominio pubblico e pubblicati su American Psychologist, sono stati presi intervistando oltre 200 mila persone dalle età differenti, provenienti da ogni angolo del globo. Alcuni soggetti modificavano in misura sensibile i parametri, dato che la loro sensazione di solitudine era molto evidente. In tali casi, il vuoto era cresciuto in maniera esponenziale, con un calo sostanziale della felicità. Altre persone prese a campione, invece, non hanno segnalato alcun cambiamento nella loro quotidianità.

Nonostante le risposte alquanto variegate proveniente da diversi gruppi di persone, i ricercatori sono stati in grado di riscontrare la presenza di un aumento della solitudine, seppur non molto significativo. Ad ogni modo, i dati raccolti dagli esperti sono ancora piuttosto insufficienti per accertare fino in fondo la correlazione tra l’aumento della solitudine e le restrizioni dovute alla pandemia.

Alcune ricerche effettuate già prima della pandemia hanno riscontrato che la capacità umana nelle relazioni sociali sia stata ampiamente compromessa da fattori che non hanno nulla a che fare con ciò che è accaduto nel corso degli ultimi due anni. Una consapevolezza simile, acquisita grazie al lavoro dei ricercatori, rivela comunque un insieme di dati alquanto allarmanti.

Cosa si può fare per evitare che la situazione possa peggiorare in misura notevole? Per farlo, è sufficiente seguire alcune piccole raccomandazioni fatte dagli esperti del portale Psicologi Online su come sia possibile migliorare la connessione tra le varie persone, con la prospettiva di sentirsi molto meno soli.

“Ognuno di noi ha la possibilità di costruire comunità più sensibili ed empatiche in maniera reciproca. Per riuscirci, bisogna assumere una cultura all’insegna dell’interconnessione, in grado di creare momenti significativi e tutti da ricordare. Ritornare ad avere la capacità di acquisire rapporti nella vita quotidiana che siano attenti a ogni esigenza personale. Tale discorso è valido anche per quanto riguarda il posto di lavoro, all’interno del quale è possibile intraprendere misure efficaci per rafforzare i legami di quel determinato ambiente sociale.

Anche nelle scuole chi vuole può ottenere notevoli risultati, cercando di far stringere rapporti più sereni e consapevoli tra i singoli studenti. Ogni insegnante dovrebbe rendere i rapporti tra i ragazzi come una vera priorità. A tal proposito, è essenziale strutturare al meglio l’intero lavoro scolastico, affinché si riesca a sviluppare fino in fondo una connessione emotiva tra i vari alunni. Un discorso analogo è valido per quanto concerne i singoli cittadini. In questo caso, si può pensare ad appositi spazi condivisi, nei quali le persone possono ritrovarsi e coinvolgere la comunità in lavori portati avanti in massima collaborazione.”

“Parlando del posto di lavoro, i datori e i dirigenti dovrebbero iniziare a pensare in maniera intensiva al benessere psicologico dei loro dipendenti. Per esempio, possono premiare quei dipendenti capaci di soccorrere i colleghi in difficoltà, o comunque importanti per il rafforzamento di un team aziendale. I manager possono favorire le giuste condizioni per dar vita a un posto di lavoro dalla maggiore connessione fisica, semplificando i rapporti tra dipendenti e collaboratori.”, concludono gli esperti del portale psicologionline.net.

Nonostante i dati siano abbastanza chiari sull’aumento della solitudine, dovuto anche ai postumi di una pandemia senza fine, sta a tutti noi cambiare la situazione nel nostro piccolo. Dovremmo compiere alcuni piccoli passi, giorno dopo giorno, nella direzione giusta. Porsi più dolcemente verso il prossimo può fare la differenza. In questo modo, riusciremo a invertire questo trend negativo. Tutti insieme possiamo essere molto più forti di qualsiasi avvenimento storico.

Credere agli oroscopi? Questione di narcisismo e intelligenza

Roma, 30 dicembre 2021 –  Si sente spesso parlare di astrologia, ma in cosa consiste esattamente questa arte divinatoria non basata su leggi scientifiche? In realtà, quella dell’astrologia è una pratica molto antica, ma ancora oggi ricca di attualità e che mantiene una certa popolarità in ogni parte del mondo, Italia compresa. Specialmente in questo periodo, in cui si fanno strada previsioni per l’anno che verrà, l’astrologia assume un ruolo piuttosto importante e coinvolge tantissime persone di qualsiasi estrazione sociale.

Dal greco ‘astro’, che vuol dire stella, l’astrologia, più nello specifico, si occupa di studiare il movimento, la posizione e tutti gli altri aspetti che riguardano le stelle e i pianeti. La finalità ultima è quella di ricercare la verità e quindi di ampliare la conoscenza sulla vita dell’uomo, oltre che sugli eventi futuri. Si tratta quindi di una branca abbastanza affascinante ma che per alcuni non è solo un semplice passatempo.

Come mai così tante persone credono ancora nell’astrologia e leggono quotidianamente l’oroscopo?

“Sul punto non è possibile dare una risposta univoca e che vada bene indistintamente per tutti”, spiegano gli psicologi  del portale Psicologi Online.

“Viviamo in un’era tecnologica in cui si crede che tutto possa essere controllato dall’uomo, ma in realtà c’è ancora il forte bisogno di appigliarsi a credenze e tradizioni, quindi a cercare di fare previsioni per indirizzare al meglio le scelte di tutti i giorni.

In generale, uomini e donne sono stati sempre particolarmente attratti dalle previsioni astrologiche, specialmente durante i periodi più difficili e stressanti, in cui domina confusione, paura, insicurezza e incertezza.

A questo proposito basti solo pensare alle fasi critiche che interessano la nostra società, come ad esempio le grandi rivoluzioni politiche o la pandemia ancora in corso. Anche le crisi personali, generate da momenti di smarrimento, quali malattie, perdita del lavoro o fine di una relazione d’amore, possono innescare il forte desiderio di ricorrere all’astrologia per far fronte a queste difficoltà con maggiore fiducia e sentire che la vita in qualche modo può essere controllata o resa almeno prevedibile”.

Tuttavia, secondo un autorevole studio condotto in Svezia, destinato ad essere pubblicato nel numero di marzo 2022 di “Personality and Individual Differences“, la fede nell’astrologia è strettamente legata a tratti narcisistici della personalità, oltre che al livello di intelligenza.

Al fine di analizzare il rapporto che sussiste fra astrologia, narcisismo e bassa intelligenza è stata effettuata una ricerca su un campione di 264 persone, composto per l’87% da donne con età compresa fra 24 e 35 anni. Tutti i partecipanti sono stati valutati tenuto conto di vari fattori, come il livello intellettivo e le credenze sull’astrologia e le influenze dei corpi celesti sul comportamento, sull’umore e sul futuro.

Prima di evidenziare i risultati ottenuti, è importante far presente che per tante persone leggere con costanza l’oroscopo e conoscere l’astrologia rappresenta solo un piacevole spunto di riflessione, un hobby per passare il tempo in maniera divertente e spensierata. Quindi l’oroscopo viene visto come qualcosa di innocuo, senza alcuna pretesa, del quale poter parlare con amici in maniera piuttosto leggera.

Esistono però anche tante donne e uomini che guardano all’astrologia come una credenza profondamente radicata, alla quale non riescono proprio a sottrarsi. Si tratta di individui che trascorrono molte ore a studiare i corpi celesti e a leggere le varie indicazioni dell’oroscopo. In genere sono anche disposti a fare grossi investimenti per ottenere previsioni, quindi a spendere molti soldi per consultare astrologi, indovini e cartomanti ritenuti attendibili.

Questo spiega come mai quello dell’occulto è un settore in costante crescita e quindi un vero e proprio business. Del resto le statistiche di Codacons parlano chiaro: sono oltre 13 milioni gli italiani che si rivolgono a cartomanti e maghi, generando così un giro d’affari annuale che oltrepassa gli 8 miliardi di euro.

Chi nutre una forte credenza nell’astrologia potrebbe avere quindi caratteristiche differenti dalle altre persone?

“La risposta a questa domanda è affermativa, almeno secondo i dati che sono emersi dopo la ricerca che ha messo in luce la stretta correlazione che sussiste fra astrologia, narcisismo e basso livello di intelligenza.

L’arte divinatoria sembra infatti fare leva soprattutto sulle persone che amano stare sempre al centro dell’attenzione, non hanno affrontato un percorso di studio che porta a sviluppare un senso critico o comunque scarsamente strutturate a livello intellettivo”, continuano gli esperti di PsicologiOnline.net.

Perché la fede nell’oroscopo viene associata ai tratti narcisistici della personalità?

Probabilmente perché l’attenzione al sé e al proprio presunto posto speciale nell’universo risuona particolarmente in una personalità narcisistica, caratterizzata da egocentrismo, senso di grandiosità e superiorità nei confronti della altre “persone comuni”.

Un narcisista, inoltre, è portato il più delle volte a sfruttare le credenze superstiziose e paranormali, proprio al fine di elevarsi all’interno della comunità. Il fatto, ad esempio, di sentirsi un “sensitivo” è un modo per sentirsi nettamente superiore al resto delle altre persone.

Le previsioni così come gli oroscopi, tendono il più delle volte ad essere interpretati in maniera ottimistica da coloro che hanno una forte fede nell’astrologia. Tutto ciò non fa altro che rafforzare sentimenti di grandiosità che, a loro volta, finiscono per rimarcare e alimentare i tratti narcisistici.
Nei casi più estremi, inoltre, lo studio svedese ha evidenziato come i narcisisti sono portati a sostenere che l’astrologia sia basata su prove di natura scientifica.

E come mai anche ad un’intelligenza inferiore?

Secondo un’opinione consolidata nel tempo la credenza nel paranormale è strettamente ancorata all’assenza di pensiero critico. Ad esempio, un credente potrebbe continuare a sostenere determinate tesi sulle casualità degli eventi naturali, proprio per via di una limitata intelligenza e di una scarsa capacità cognitiva. Queste persone non riescono in definitiva a modificare in alcun modo un certo pensiero, anche di fronte a delle prove empiriche che dimostrano l’opposto.

Per questo motivo le persone intelligenti hanno meno possibilità di credere e fare affidamento sulle previsioni astrologiche.

Quali potrebbero essere gli scenari futuri?

“Lo studio recensito di certo dovrà essere maggiormente approfondito, perché necessita di superare alcune limitazioni e per questo è anche importante migliorare e ampliare la selezione dei partecipanti. Sarà poi indispensabile utilizzare strumenti che possano in qualche modo replicare i dati che sono stati già ottenuti, in modo da compiere delle comparazioni accurate e avere un quadro della situazione più chiaro e completo.

Fino ad allora è meglio evitare di trarre conclusioni troppo frettolose. In ogni caso, questa rappresenta un’area di ricerca estremamente interessante e importante, anche perché la fede nell’astrologia può sempre abbracciare ulteriori ambiti più o meno complessi e articolati, come ad esempio le pseudoscienze e persino le tanto oramai diffuse teorie complottistiche”, concludono gli esperti di PsicologiOnline.net.

 

 

 

 

 

Conquistare una donna: essere intelligenti non basta, ci vuole anche umorismo

Roma, 26 novembre 2021 – Per molto tempo è stato ampiamente accettato che essere intelligenti, almeno per gli uomini, aumentasse la propria desiderabilità e attrazione nei confronti del sesso opposto.

Ma ci sono sempre stati anche dubbi sulla fondatezza di questa ipotesi. Negli studi in cui gli individui elencano i tratti che trovano attraenti in un ipotetico partner romantico, l’intelligenza è sempre presente ai primi posti. Tuttavia, gli studi sulle preferenze del compagno in situazioni di vita reale mostrano che i tratti che diciamo di volere in situazioni ipotetiche non sempre si allineano con ciò che in realtà perseguiamo quando cerchiamo un partner romantico in carne e ossa.

Una persona che ragiona in modo brillante e intuitivo è interessante e può rivelarsi un ottimo partner in termini di stimolo e conversazione, ma non sempre l’intelligenza corrisponde alla nascita di un’attrazione travolgente e romantica.

Qual è quindi la verità? L’intelligenza aumenta o oppure no l’attrattiva degli uomini per le donne?

La psicologa Julie Driebe, insieme ai suoi colleghi, ha cercato di rispondere a questa domanda in due recenti studi pubblicati sulla rivista Evolution and Human Behavior, così da fugare ogni dubbio circa questa dibattuta questione.

Nel loro primo studio 179 donne sono state messe davanti ad alcuni video, dove erano rappresentati uomini che leggevano con attenzione le notizie di un quotidiano, tentavano di far sorridere una persona accanto o si dedicavano alla pantomima.

I parametri valutati in questo studio derivano dalle sensazioni suscitate dall’intelligenza pura e dalla capacità di far divertire il prossimo, così da capire in quali dei due casi le donne si sentissero maggiormente attratte e portate ad instaurare una relazione, di tipo fisico o mentale.

I risultati sono stati a favore della seconda ipotesi, cioè che un uomo dotato di un evidente senso dell’umorismo riscuote un maggiore successo su un target variegato di esponenti dell’altro sesso.
Questo perché l’ironia permette maggiormente alla personalità di uscire e un individuo capace di prendere in mano la situazione con leggerezza, occupandosi delle persone vicine, viene percepito come un compagno potenzialmente migliore.

In un secondo studio condotto su un campione di 763 volontari, 397 dei quali erano donne, quest’ultime hanno partecipato ad una serie di appuntamenti veloci (i cosiddetti “speed date”), trovandosi ad interagire con uomini dal carattere del tutto differente, ognuno con uno spiccato tratto della personalità che verteva verso l’intelligenza o l’umorismo.

Anche in questo caso è stato confermato quanto già appurato nel primo test: non sempre l’intelligenza è sinonimo di sensualità, se non accompagnata da un carattere capace di spiccare e di rendersi simpatico agli occhi delle persone che sono davanti.

Coloro che nei vari esperimenti sono risultati solo intelligenti hanno raccolto un punteggio inferiore a livello di fascino e attrazione, concetti che comprendono non solo l’aspetto intellettuale, ma anche il modo di porsi nei confronti del prossimo, la gestualità e tutto quel linguaggio sotterraneo e non detto che comunica messaggi interessanti alla donna.

La misura dell’intelligenza veniva pertanto percepita esclusivamente in relazione al tipo di rapporto che l’uomo riusciva a instaurare con la donna, poiché un uomo ironico e soprattutto autoironico sembra essere considerato superiore dal punto di vista intellettuale, indipendentemente dall’intelligenza reale.

A stimolare attrazione sessuale e romantica sembra non bastare l’intelligenza pura ma è preferibile un compagno che sia leggermente meno ricco di contenuti ma che sappia gestire le situazioni con la leggerezza che la vita merita.

Un altro parametro valutato da tutte le donne presenti è stata certamente la prestanza fisica, che viene giudicata a seconda dei propri canoni estetici.

Da questa ricerca emerge forte e chiaro che essere divertente e di bell’aspetto rende l’uomo più attraente per le donne e potrebbe anche farlo sembrare più intelligente, ma la sua intelligenza da sola non lo rende sexy come si pensava in passato.

Uno spiccato senso dell’umorismo può far sembrare l’uomo più interessante, affascinante e più intelligente e sembra aver più peso dell’essere effettivamente e realmente intelligenti.

Se vi state chiedendo quindi come poter conquistare una donna, i dati di queste ricerche sembrano piuttosto evidenti.

Oltre a cercare di mantenere uno stile e un aspetto gradevole, curando il look e la pulizia, è opportuno dare sfogo a tutta la propria vena ironica, non scadendo però nella comicità troppo esplicita e pesante.

Le donne desiderano un partner che sappia conquistarle con la sottigliezza delle sue battute e riflessioni, senza forzare la mano ma mostrando una naturale attitudine alla simpatia.

“L’uomo che è in grado di far sorridere la propria partner sembra guadagnare immediatamente punti extra ai suoi occhi, perché si presuppone che saprà affrontare ogni situazione con la giusta dose di ironia, non prendendosi troppo sul serio e uscendo dalle situazioni con il sorriso”, spiegano gli esperti del portale Psicologi Online (www.psicologionline.net).

“Questo tratto dovrebbe essere mostrato sia nel privato che nel pubblico, poiché colui che riesce a mantenere una buona dimensione sociale guadagna numerosi punti di fronte alla compagna e viene considerato anche più brillante di quello che realmente è.

Un individuo che in un contesto sociale riesce a suscitare la simpatia e l’ilarità delle persone presenti si fa subito più interessante, poiché la dimensione plurale è importante ai fini della coppia ed è fondamentale avere accanto una persona che sia accettata da parenti e amici per il suo spirito.

Non va sottovalutato nemmeno il valore di una tale abilità nel disinnescare situazioni tese e aggressive o nel gestire alleanze e amicizie nella vita di tutti i giorni.

É comunque importante ricordare che queste ricerche hanno studiato l’attrazione sessuale e romantica più immediata ed istintiva. Essere intelligenti ha sicuramente dei vantaggi in molti aspetti della vita e nello studio non è stata presa in considerazione la sua importanza nelle relazioni e nei rapporti di coppia di lunga durata”, concludono gli esperti del portale PsicologiOnline.net.

Scienza: i bambini narcisisti saranno i nostri futuri leader?

Roma, 3 maggio 2021 – Sempre più spesso sentiamo parlare di persone che presentano una personalità narcisista, ma cosa significa esattamente questo termine e che ripercussioni ha sulla vita di tutti i giorni?

Il narcisismo è stato studiato dalla psicologia e viene descritto come una tipologia di personalità dalle molteplici sfaccettature, piuttosto diffuso nella società attuale ed in costante aumento.
Chi soffre di questo disturbo presenta alcune caratteristiche tipiche, sia positive che negative, che rendono facile l’identificazione del narcisista.

In primo luogo chi ha una personalità narcisista presenta una vera e propria ossessione nei confronti di se stesso: il soggetto narcisista crede di essere superiore a tutto e a tutti e questo, ovviamente, ha delle ripercussioni negative nei confronti del mondo esterno, in quanto ogni relazione con gli altri diviene estremamente complicata.
Ma non solo: il soggetto narcisista ha un costante bisogno di adulazione, ovvero di trovare qualcuno che confermi la sua superiorità e che lo ammiri, perché solo in questo modo egli può sentirsi appagato.

Infine, il mondo del narcisista è piccolo e limitato perché prevede l’esistenza di una sola persona: se stesso. Questo determina una mancanza di empatia nei confronti degli altri, un atteggiamento arrogante ed infine un pronunciato egoismo. Per questo spesso le sue relazioni sentimentali si basano sulla sottomissione psicologica del partner.

Quelle che abbiamo appena descritto sono senz’altro le caratteristiche negative dei soggetti narcisisti che, tuttavia, presentano anche dei punti di forza. Se guardiamo alla nostra realtà, infatti, ci accorgiamo che queste persone tendono ad apparire come dei leader da seguire.

Ciò è determinato non soltanto da un carattere spesso carismatico ed intraprendente, che spicca tra la folla, ma anche da un aspetto molto curato. Dalla forma fisica alla scelta dell’abbigliamento, niente è lasciato al caso, visto che chi si sente superiore vuole apparire sempre al meglio, soprattutto rispetto agli altri. Il narcisista sa vendersi bene, utilizzando un espressione in voga, partendo proprio da come si presenta agli altri, anche se molto spesso si tratta solo di un illusione.

Non si tratta di teorie astratte, ma di studi condotti su persone che rivestono posizioni di leadership in politica, nelle grandi aziende, ma anche all’interno di gruppi più piccoli come la famiglia o gli amici: è stato infatti dimostrato che molto spesso i soggetti con disturbo di personalità narcisista ricoprono i vertici più alti delle associazioni umane.

Ma quando nasce la personalità narcisista, in età adulta oppure è possibile cogliere dei segni già nell’infanzia? Si sviluppa autonomamente oppure emerge come conseguenza di qualche evento dell’età evolutiva?

A queste domande non è ancora stata data una risposta univoca anzi, spesso è stato riscontrato che il narcisismo è determinato da una serie di cause (biologiche, psicologiche e sociali) connesse tra di loro.

Quello che è stato dimostrato, però, è che i primi segni di questo disturbo compaiono prima dell’età adulta. Non è possibile prendere come riferimento l’infanzia (l’età che va dalla nascita fino alla preadolescenza) perché in questo caso i segnali di narcisismo possono essere temporanei e poco indicativi.

Bisogna quindi osservare l’individuo in quell’età che va dal termine dell’infanzia fino all’adolescenza, durante la quale avvengono i principali cambiamenti relativi al carattere. Proprio questa fase evolutiva si è dimostrata fondamentale per lo sviluppo delle doti di leadership.

Appurato che il disturbo di personalità narcisista si sviluppa ben prima dell’età adulta, recentemente un gruppo di ricercatori (Eddie Brummelman, Barbara Nevicka e Joseph M. O’Brien) hanno deciso di condurre uno studio dal titolo “Narcisismo e leadership nei bambini” pubblicato sulla rivista Psychological Science, ponendosi il seguente interrogativo: i ragazzi che presentano segni di disturbo di personalità narcisista hanno maggiori possibilità di diventare dei leader rispetto a chi non li presenta?

Per rispondere a questa domanda lo studio ha coinvolto più di 300 ragazzini olandesi tra i 7 e i 14 anni (di questi poco più della metà erano ragazze) che sono stati analizzati (attraverso la somministrazione di un test) utilizzando la scala del narcisismo infantile, per capire chi tra loro presentava questa personalità in modo più o meno marcato.

Successivamente sono stati formati gruppi composti da 3 soggetti e ad ognuno di questi gruppi è stato assegnato un leader in modo casuale e un compito da svolgere insieme.
Quello che è emerso dallo studio è stato davvero molto interessante.

In primo luogo è stato osservato che i bambini con un alto punteggio di narcisismo, ottenuto nel test iniziale, tendevano effettivamente a prevalere come leader all’interno dei gruppi ma non solo, essi avevano (a differenza dei loro coetanei) un’alta opinione di se stessi, percependosi come dei capogruppo validi e migliori.
Quello che è stato rilevato, però, è che questo aspetto non era sempre vero: pur percependosi come migliori degli altri, i leader narcisisti non eccellevano e non portavano un vantaggio significativo rispetto ai non narcisisti.

Altro dato interessante emerso dalla ricerca è che i bambini narcisisti, a differenza delle loro controparti adulte, non tendono a danneggiare in modo significativo le prestazioni del loro gruppo. Il narcisismo può avere minori costi interpersonali nell’infanzia rispetto all’età adulta, forse perché i bambini sono generalmente meno dominanti socialmente degli adulti, rendendoli meno inclini ad agire contro gli interessi del proprio gruppo.

Ma allora perché i narcisisti tendono a dominare e ad essere seguiti?

“Una delle possibili spiegazioni è la cosiddetta teoria dell’autoinganno”, spiegano gli esperti del portale PsicologiOnline.net.

“Quando una persona ha un’alta reputazione di se stessa riesce a porsi in modo vincente nei confronti degli altri, a prescindere dalle sue effettive capacità e meriti. Anche i bambini narcisisti coinvolti in questo studio, ritenendosi migliori rispetto ai compagni, sono riusciti a persuadere gli altri membri del gruppo a seguirli, malgrado non ci fossero degli elementi reali a sostegno della loro millantata superiorità”, continuano gli esperti del portale.

Da questo studio si possono quindi trarre due importanti conclusioni.

“La prima è che, traslando i risultati di questo esperimento dal mondo dei ragazzi a quello degli adulti, emerge che i leader narcisisti non sempre rappresentano il meglio per la società, anzi spesso pongono in essere dei comportamenti non etici e poco collaborativi arrivando anche a danneggiare il gruppo sociale che vogliono guidare.
La seconda è che, se vogliamo davvero incoraggiare queste personalità dominanti a diventare dei leader di successo, dobbiamo incentivare le scuole a mettere in atto degli interventi fin dalla prima infanzia, in modo da insegnare ai ragazzi, che presentano dei segni di narcisismo importanti, delle tecniche di leadership efficace. Solo in questo modo il carattere carismatico potrà fondersi con un atteggiamento positivo e collaborativo, in grado di guidare i gruppi sociali verso risultati ottimali per tutti”, concludono gli esperti di PsicologiOnline.net.

 

 

 

Seduzione, nuova ricerca: decifrato il codice del flirt

Roma, 7 dicembre 2020 – Esiste un vero e proprio “linguaggio” del flirt, secondo cui si riesce a capire se un’altra persona sta flirtando con noi. A rivelarlo, per la prima volta al mondo, uno studio universitario americano. Ma da cosa nasce l’esigenza di capire “scientificamente” il codice del flirt? É certamente capitato a tutti, almeno una volta nella vita, di chiedersi se qualcuno stesse flirtando con noi. Non è sempre facile infatti riuscire a comprendere quali siano le reali intenzioni di chi lancia i primi segnali di un interesse romantico o sessuale.

Malintesi su flirt possono comportare il rischio di non riuscire a cogliere certi segnali e magari perdere un’occasione interessante oppure al contrario di scambiare la semplice cordialità per interesse e ritrovarsi in situazioni spiacevoli.

É del tutto naturale chiedersi, allora, esiste un’espressione del viso tipicamente assunta da chi sta flirtando, che risulti efficace e che possa essere identificata agevolmente e con ragionevole certezza?

Secondo una recente ricerca dell”Università del Kansas è possibile.

Il recente studio empirico è stato pubblicato sul Journal of Sex Research ed è stato condotto da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Psicologia con l’obiettivo di stabilire se sia possibile individuare una espressione non verbale del viso specifica e tipica che le donne tendono ad utilizzare per segnalare in modo efficace a un uomo il proprio interesse sessuale.

Nel corso dell’esperimento sono state inizialmente scattate 482 fotografie a un gruppo di 9 donne. Nel campione, sono state selezionate alcune attrici professioniste e alcune donne che, nel corso di un’intervista preliminare, hanno semplicemente riferito di aver flirtato in passato.
Alle donne è stato richiesto di assumere alcune pose che riproducono espressioni facciali allegre oppure pose neutre (in modo da disporre di un gruppo di immagini che fungano da controllo dell’esperimento). Alle donne è stato inoltre richiesto di assumere espressioni ammiccanti (e queste rappresentano il gruppo di immagini sperimentali).

In particolare, è stato loro chiesto, in alcuni casi, di posare riproducendo spontaneamente l’espressione facciale che considerano ammiccante ossia quella che utilizzerebbero all’interno di un locale se volessero attirare l’attenzione di un potenziale partner.

In altri casi, sono state fornite alle protagoniste specifiche istruzioni direttamente dai ricercatori.

Ciascuna foto è stata successivamente sottoposta all’attenzione di un campione di 117 uomini di età compresa tra i 18 e i 41 anni (con una età media di 20 anni) a cui è stato richiesto di identificare quale espressione facciale ritratta consideravano più ammiccante e quali espressioni invece avevano, secondo loro, un intento diverso e fossero neutre o semplicemente cordiali e allegre.

Tutte le protagoniste delle foto indossavano semplici maglie bianche e sono state immortalate su uno sfondo blu, in modo da minimizzare il rischio che sul giudizio dell’uomo incidesse anche l’attrattiva della donna fotografata.

Identificato il gruppo di immagini più frequentemente riconosciute come allusive e con intento di flirt i ricercatori hanno utilizzato il Facial Action Coding System (FACS) e sono riusciti a individuare le caratteristiche morfologiche comuni a tali espressioni. In questo modo sono riusciti a delineare una tipica faccia da flirt.

In altre parole, i ricercatori sono riusciti a individuare il “volto del flirting”, ovvero il linguaggio non verbale del viso che le donne utilizzano più frequentemente per attrarre l’attenzione sessuale di un uomo e che gli uomini sono in media in grado di percepire e interpretare correttamente.

L’espressione più efficace nel trasmettere un messaggio di corteggiamento risulterebbe includere:

  • L’inclinazione del capo verso un lato

  • Mento leggermente rivolto verso il basso

  • Un lieve sorriso

  • Uno sguardo rivolto in avanti verso il bersaglio prescelto.

Come sottolineato dal professor Amri Gillath, alla guida del team di ricerca: “Nei nostri sei studi, abbiamo riscontrato che la maggior parte degli uomini era in grado di riconoscere una certa espressione facciale femminile come allusiva e ammiccante. Tale espressione ha una morfologia unica ed è diversa dalle espressioni che hanno caratteristiche analoghe ma che sottendono un intento non romantico”.

Ovviamente, i risultati dell’indagine dimostrano anche, come era facile aspettarsi, che alcune donne hanno una maggiore capacità comunicativa non verbale e riescono quindi a raggiungere il proprio obiettivo romantico o sessuale più efficacemente rispetto ad altre donne.

Allo stesso modo, alcuni uomini mostrano, rispetto ad altri, una più spiccata capacità di percepire i segnali non verbali e di interpretare quindi un atteggiamento femminile ammiccante in modo corretto con maggiore probabilità.

Ma al di là di queste differenze individuali, gli uomini sono stati sistematicamente in grado di distinguere una specifica espressione allusiva da altre espressioni neutre o semplicemente allegre.

“I risultati della ricerca supportano l’ipotesi di un ruolo fondamentale del flirting nei processi di corteggiamento e di identificazione di un partner”, spiegano gli esperti del portale PsicologiOnline.net.

Le conclusioni della ricerca potrebbero offrire dei suggerimenti per tutti gli uomini più insicuri e meno capaci di cogliere messaggi velati da parte delle donne, riducendo il rischio di fraintendere le intenzioni, ritrovarsi in situazioni imbarazzanti o nella peggiore delle ipotesi essere accusati di molestie sessuali.

Ma la ricerca può rivelarsi utile anche per tutte quelle donne che intendono affinare le proprie tecniche di attrazione di un potenziale partner.

Secondo la scienza, quindi, esisterebbe un codice del flirt che fa parte di un più ampio set di comportamenti che servono a favorire l’avvio di una relazione romantica o sessuale

Per la prima volta, lo studio è stato in grado di isolare e identificare le espressioni che possono considerarsi con ragionevole certezza tipiche di chi cerca di flirtare.

Nuova ricerca su donne e sesso: il porno migliora la sessualità femminile?

Roma, 28 ottobre 2020 – Negli ultimi decenni la pornografia è cambiata molto, soprattutto grazie all’utilizzo di nuovi mezzi di comunicazione e allo sviluppo di internet. Negli anni ‘60-‘70 il porno ha assunto un carattere liberatorio e di rivolta e ha iniziato ad essere accettato dal grande pubblico soprattutto attraverso i giornaletti. Negli anni ‘80-‘90, la pornografia è diventata sempre più un business e caratterizzata da cachet importanti per gli attori hard più famosi. Dopo gli anni ‘90 e con l’avvento di Internet, il porno è diventato più accessibile e meno costoso, se non addirittura gratuito.

Spesso, si pensa alla pornografia come uno strumento per soli uomini, infatti, ogni qual volta c’è una discussione su come l’uso del porno influisca sulle relazioni, si pensa al fatto che gli uomini siano ossessionati dal sesso e siano irresistibilmente attratti dal porno e, a causa dell’utilizzo frequente di siti hard, perdono l’interesse per le loro mogli e fidanzate, sviluppando disturbi sessuali e svuotando la sessualità della fondamentale componente emotiva e relazionale.

Tuttavia, alcuni dati mostrano come un terzo di tutti gli utenti dei siti pornografici, siano donne.

Le donne rendono noto l’uso della pornografia in modo meno frequente rispetto agli uomini, ma nel caso delle donne, come vengono influenzate la sessualità e le relazioni?

Le ricerche sull’impatto dell’uso della pornografia femminile sono poche e nel complesso si hanno poche informazioni sul ruolo che riveste nella qualità delle loro relazioni.

Recentemente, è stata pubblicata una ricerca sull’International Journal of Evironmental Research and Public Health, in cui lo psicologo della Valparaiso University (Indiana) Sean McNabney e i suoi colleghi, hanno tentato di colmare la lacuna circa l’impatto che ha l’uso della pornografia nel mondo delle donne.

Per questo studio, sono state reclutate 2400 donne in due paesi diversi, Ungheria e Stati Uniti, per rispondere ad un sondaggio che valuta l’ampia gamma di questione sessuali.

Domande rivolte soprattutto al sesso di coppia, alla masturbazione e alla relazione con l’utilizzo della pornografia, nel dettaglio hanno chiesto:

  • quanto sia difficile per loro eccitarsi sessualmente
  • quanto sia difficile per loro raggiungere l’orgasmo
  • quanto sia probabile raggiungere l’orgasmo
  • quanto tempo impiegano per raggiungere l’orgasmo
  • quanto ritengono piacevole l’esperienza sessuale di coppia.

I dati dei risultati emersi affermano che, le donne che guardano porno sono principalmente più giovani e meglio istruite rispetto alle donne che non navigano nei siti pornografici. Sembra che abbiano anche un comportamento e una visuale più aperta riguardo al sesso in generale e in particolare alla masturbazione.

È stato registrato inoltre che, le donne che si masturbano guardando video pornografici, esprimono maggiore angoscia quando non sono in grado di raggiungere l’apice del piacere con il rispettivo partner.

In linea generale, le donne tendono ad avere maggiori difficoltà a raggiungere l’orgasmo rispetto agli uomini e per anni, i terapisti sessuali, hanno consigliato alle loro clienti di imparare a stimolarsi e di conoscere il proprio corpo prima che arrivi l’orgasmo. Potrebbe anche essere che le donne che usano il porno si aspettino di raggiungere il climax, al contrario di quelle donne che non usano la pornografia.

Durante lo studio, è emerso che le donne che in passato avevano usato il porno, riferivano di avere meno difficoltà a eccitarsi o ad avere un orgasmo durante la masturbazione e avevano anche maggiori probabilità di raggiungere l’orgasmo rispetto alle donne che guardavano porno solo occasionalmente per masturbarsi.

I ricercatori concludono lo studio affermando che il porno può fornire una forma di educazione alle donne che cercano di saperne di più sul proprio corpo e sulla propria sessualità.

Spesso l’uso del porno desta preoccupazione in quanto si pensa che abbia un impatto negativo sul funzionamento sessuale e sulla soddisfazione della relazione, ma in realtà, tra le donne di questo studio, quelle che hanno usato spesso il porno, hanno anche riportato migliori risultati nel sesso di coppia, dimostrando come non ci siano prove di effetti dannosi dell’uso frequente della pornografia.

Dai dati di questa nuova ricerca non risultano prove che l’uso del porno abbia un effetto negativo sulla qualità delle relazioni, né i dati suggeriscono che le donne usano il porno per compensare le carenze nella loro relazione, anzi, quello che i dati dimostrano, è che le donne che sono soddisfatte delle loro relazioni sessuali, riescono ad eccitarsi con più facilità, sono in grado di raggiungere l’orgasmo e nel complesso si godono maggiormente le loro esperienze sessuali, sia con il partner che individualmente.

Vale la pena sottolineare alcuni aspetti positivi dell’uso della pornografia nelle donne:

  • permette di soddisfare sul piano immaginario desideri erotici irrealizzabili o irrealizzati.
  • aiuta a consolidare la propria identità di genere.
  • aumenta l’immaginario erotico di una persona, (immaginario importante per il benessere sessuale individuale e di coppia).
  • contribuisce a liberare nel corpo endorfine, e migliora il tono dell’umore.
  • può favorire una sana vita sessuale, in particolare: può aumentare la libido, aiutare l’eccitazione (quindi favorirla o stabilizzarla), intensificare le sensazioni di piacere e lo stesso orgasmo.

La pornografia è qualcosa di complesso e non soltanto di negativo o “sporco”, come spesso si tende a credere.

Ma come distinguere la persona che con il porno ha un approccio sano da una che, invece, ha sviluppato o sta sviluppando una vera e propria sexual addiction?

“In generale – spiegano gli esperti del portale di PsicologiOnline.net (http://www.psicologionline.net) – bisogna mettersi in allarme davanti a una persona che orienta la maggior parte dei suoi pensieri e delle proprie energie giornaliere per programmare momenti da dedicare alla fruizione di materiale porno. Bisogna allarmarsi inoltre anche davanti a una persona che, a furia di visionare materiale pornografico, arriva a compromettere alcune sfere della sua vita, sviluppa stati ansiosi e depressivi, fatica ad addormentarsi e inizia a percepire pensieri ossessivi. Ma questi sono dei casi limite per fortuna”.

Tuttavia, la sessualità di coppia si migliora in due.

Prendersi cura della coppia, pensando a quello che sarà il proprio piacere e quello del partner, porta ad avere una sana e divertente vita sessuale.

In conclusione, non esistono prove tra queste donne che l’uso frequente del porno porti a problemi nel funzionamento sessuale o relazione, né che ricorrono al porno per compensare ciò che mancava nelle loro relazioni.

Piuttosto, i dati mostrano che le donne con atteggiamenti positivi nei confronti della propria sessualità tendono ad essere più felici nelle loro relazioni di coppia e hanno maggiori probabilità e naturalezza nel guardare video porno saltuariamente.

“Queste giovani donne dalla mentalità aperta sembrano usare il porno semplicemente come una componente aggiuntiva della loro sana vita sessuale”, concludono gli esperti di PsicologiOnline.net.

 

 

Coronavirus: le conseguenze del lockdown sui disturbi alimentari degli italiani

Roma, 22 ottobre 2020 – I disturbi alimentari rappresentano un problema di sanità pubblica emergente nella società moderna. L’esordio è sempre più precoce nei ragazzi e i fattori influenti sono complessi e svariati.

Durante la pandemia da Covid-19 le persone affette da tali disturbi, in particolare da bulimia nervosa, anoressia nervosa e disturbo da alimentazione incontrollata o binge eating, si sono ritrovate ad affrontare la loro condizione in una maniera inaspettata. Infatti, il cambio delle dinamiche quotidiane e dello stile di vita influenza parecchio i comportamenti patologici.

Vediamo come la peculiare situazione attuale, e in particolare il regime di lockdown, rinforza i pattern psicopatologici.

“In primis questi soggetti presentano un rischio di ricaduta o peggioramento della gravità del loro disturbo”, spiegano gli esperti del portale PsicologiOnline.net (https://www.PsicologiOnline.net).

L’isolamento sociale genera tensioni e paure; da qui scaturisce una sensazione di perdita di controllo con un conseguente aumento delle restrizioni alimentari e delle condotte di eliminazione nonché vomito autoindotto e uso di lassativi.

Un altro aspetto è il rapporto con l’attività fisica, che in alcuni casi viene limitata per questioni logistiche e in altri viene incrementata in maniera esagerata; in ogni caso, si tratta di comportamenti associati a una forte paura di perdere il controllo sul proprio peso e sulla propria forma fisica.

L’esposizione a grandi quantità di scorte di cibo, che in molti hanno comprato durante la quarantena per sentirsi al sicuro, rappresenta un fattore scatenante delle abbuffate.

In più, la convivenza prolungata con i familiari, a cui si accompagna la sensazione di non potere evadere da un ambiente ristretto e pressante, contribuisce ad aumentare l’isolamento e i comportamenti patologici.

Oltre a questi fattori va tenuto in conto che chi soffre di un disturbo del comportamento alimentare è particolarmente sensibile allo stress legato alla pandemia ed è quindi più probabile in questi casi sviluppare o accentuare comorbilità organiche e psichiatriche.

È vero anche che il rischio di infezione da Coronavirus è maggiore per via della malnutrizione, del sistema immunitario debole e degli squilibri elettrolitici di tali soggetti.

Uno dei punti più problematici in questo contesto è l’inadeguatezza dei trattamenti psichiatrici o psicologici offerti durante la pandemia. Molti interventi intensivi che si tenevano in strutture ospedaliere o residenziali sono stati annullati per questioni di sicurezza.

Le terapie online, seppur introdotte tempestivamente, si sono rilevate carenti in alcuni aspetti in quanto spesso gli operatori non hanno avuto l’opportunità di formarsi in maniera appropriata per fornire un servizio a distanza del tutto funzionale ed efficace. Visto il rischio di peggioramento clinico e di perdita del contatto medico-paziente, emerge la necessità di progettare nuove modalità di trattamento, che tengano conto delle implicazioni dell’isolamento sociale sui disturbi alimentari.

Per fornire una migliore assistenza agli individui con disturbi alimentari e ai loro cari, l’Istituto Superiore di Sanità con il Ministero della Salute ha lanciato il progetto Manual, che prevede una mappatura dettagliata delle strutture pubbliche e convenzionate e delle associazioni specializzate in disturbi dell’alimentazione su scala nazionale.

In merito all’impatto psicopatologico del Covid-19 sui pazienti con disturbi alimentari, uno studio longitudinale italiano ha dimostrato come la pandemia sia stata una vera minaccia per la salute mentale, in particolare nei soggetti più delicati.

I più vulnerabili secondo questa ricerca sono gli affetti da bulimia nervosa: le ragioni sarebbero le limitazioni dei programmi di trattamento presenziali e le difficoltà riscontrate nelle terapie online, la presenza di abbondante cibo in casa che funge da tentazione per le abbuffate o l’ansia generata da non avere scorte a sufficienza, l’uso eccessivo delle reti sociali che contribuiscono a una percezione alterata del proprio corpo e le emozioni sorte dal forte stress.

Gli affetti da anoressia nervosa, invece, hanno mostrato risultati controversi: da un lato pare abbiano preso peso durante la quarantena, segno positivo che potrebbe essere dovuto anche all’efficacia dei trattamenti, i presenziali effettuati prima del lockdown più quelli telematici.

Dall’altro lato pare che abbiano sperimentato un’esacerbazione del comportamento ossessivo dell’esercizio fisico compensatorio e pare anche che ci siano stati molti casi di crossover diagnostico, che sta a indicare la trasformazione di anoressia in bulimia.

Dunque, si è riscontrato un aumento dei comportamenti disfunzionali e un’interruzione della tendenza al miglioramento dei sintomi sia negli affetti da bulimia sia in quelli affetti da anoressia, ma in quest’ultimi l’impatto negativo del Covid-19 è stato minore.

I pazienti affetti da binge eating hanno sperimentato un aumento della gravità della patologia.

Una ricerca inglese pubblicata su Lancet lo scorso febbraio ha provato come la pandemia abbia causato un generale incremento di stress post-traumatico, rabbia, confusione, ansia, depressione e altri effetti psicologici negativi nella popolazione.

Tra i fattori stressanti che hanno scaturito tali conseguenze ci sono la paura dell’infezione, la mancanza di informazioni adeguate, la perdita economica, la noia e la frustrazione. Inoltre, in uno stato di distress psico-emotivo come quello che molti hanno sperimentato in quarantena, è più probabile che sorga ex novo un disturbo dell’alimentazione o una dipendenza da sostanze come fumo, alcol o psicofarmaci.

Interessante scoprire però che i pazienti affetti da disturbi alimentari non abbiano mostrato un aumento di ansia, tristezza, insonnia e problemi mentali che sia superiore a quello della popolazione generale, probabilmente perché, essendo tendenti all’isolamento sociale per via della loro patologia, potrebbero essere meno sensibili agli effetti del lockdown.

Per saperne di più su questa e altre tematiche, relative ai disturbi provocati dal lockdown, consigliamo di consultare il sito internet www.PsicologiOnline.net.

 

 

Soffri di insonnia? Dormire in coppia aiuta a riposare meglio

Roma, 17 aprile 2020 – Quante volte la mattina, dopo una notte passata senza dormire, siamo irritati e nervosi? Le coppie dormono meglio da sole o insieme? Tante le ricerche scientifiche che dimostrano come un buon riposo sia essenziale e importante sia per la salute mentale che fisica dell’individuo.

Il sonno influisce infatti sulla nostra vita a 360º e un buon sonno permette alla persona di concentrarsi di più nelle attività quotidiane, di pensare ed agire bene.

Dormire bene, quindi, è fondamentale per ricaricare al meglio le proprie energie e per affrontare al meglio la nuova giornata.

Ma come possiamo migliorare la qualità del nostro sonno?

Da una ricerca pubblicata dalla rivista Psychological Science potrebbe arrivare una risposta al quesito.

Recentemente, un team di ricercatori guidato da Marlise Hofer dell’Università della British Columbia ha esaminato se l’esposizione al profumo/odore del proprio partner possa influenzare la qualità del sonno e la sua durata.

La risposta è stata affermativa.

I ricercatori, a tal proposito, affermano che “Il profumo di un’altra persona è emotivamente evocativo”.
La scoperta riguarda il fatto che l’esposizione all’odore di un partner durante la notte migliori notevolmente la qualità e la durata del sonno.

I partecipanti all’esperimento hanno constatato che, dormendo con il proprio partner anche la durata del loro sonno sia migliorata notevolmente: circa 9 minuti in più rispetto alla durata ordinaria.

Questi 9 minuti possono sembrare davvero insignificanti presi singolarmente, ma così non è. In realtà, questi minuti equivalgono a circa un’ora di sonno in più a settimana che, sommate tra loro costituiscono circa 52 ore di sonno aggiuntive all’anno. Questo rappresenta un toccasana per le persone che soffrono di insonnia o di difficoltà ad addormentarsi.

Queste teorie sono state confermate da vari esperimenti tenuti da alcuni ricercatori.
L’esperimento consisteva nell’impiegare 155 persone che avrebbero dovuto dormire per quattro giorni con la camicia indossata dal partner sul cuscino e altri con una maglietta nuova sul cuscino priva di profumi e odori.

I ricercatori si sono impegnati nel monitorare costantemente la qualità del sonno durante i quattro giorni necessari all’esperimento. Oltre al monitoraggio della qualità del sonno, i ricercatori hanno anche registrato se effettivamente il sonno fosse migliorato nei partner che avevano l’odore del proprio partner sul cuscino su cui dormivano.

Il risultato ottenuto è stato molto interessante e quasi stupefacente.

Si può affermare infatti con certezza che il sonno dei partecipanti che hanno dormito per 4 giorni con la camicia del loro partner sul cuscino sia migliorato rispetto alla normalità e rispetto a coloro che dormivano con la maglietta nuova e priva di qualsivoglia odore e profumo sul cuscino.

È importante far notare di come questo succedesse anche se i partecipanti non fossero assolutamente a conoscenza dell’esperimento e questo elemento non fa altro che avvalorare l’esito finale: dormire con il proprio partner migliora le condizioni e la qualità del sonno.

Se da un lato dormire insieme può significare porre delle fondamenta solide al proprio rapporto di coppia basate sulla complicità e sulla fiducia, dall’altro lato, invece, dormire insieme significa dare una svolta in termini qualitativi del sonno in quanto sarà più facile addormentarsi e sarà più facile avere un sonno più sereno.

Basta veramente molto poco per migliorare la qualità e la durata del proprio sonno e quindi del benessere individuale. Questo è ciò che i ricercatori vogliono far comprendere in seguito all’esito del loro esperimento.

Oltre tutte queste osservazioni basate su delle constatazioni scientifiche, ci sono anche dei piccoli consigli ma molto significativi che, se seguiti correttamente e con una certa regolarità nel tempo e perseveranza, non possono che far bene alla vita, al benessere e al proprio sonno.

Queste alcune regole per  dormire meglio, addormentarsi più velocemente e ottenere un sonno più tranquillo e sereno indicate dal portale Psicologi Online.net:

• Non consumare bevande contenenti caffeina la sera o prima di andare a dormire

Non dormire il pomeriggio dopo pranzo o fare sonnellini sparsi nella giornata

• Non fumare, non bere bevande alcooliche, non fare pasti molto abbondanti e non allenarsi nelle due ore immediatamente precedenti al sonno

• La stanza deve essere il più confortevole possibile (possibilmente silenziosa, buia e con una temperatura nè troppo fredda, nè troppo calda)

• Non stare troppo tempo davanti allo schermo dello smartphone o a quello di una TV prima di addormentarsi

Andare a letto solo quando si inizia ad avere sonno o quando si inizia ad avvertire segni di stanchezza

• Seguire uno schema di sonno piuttosto regolare, cercando di stabilire degli orari ben precisi anche attraverso l’ausilio delle applicazioni disponibili sugli smartphone.

Seno, le donne ne sono insoddisfatte

Roma, 13 febbraio 2020 – La maggior parte delle donne non è soddisfatta del proprio seno: alcune, o meglio la maggior parte, lo desiderano più grande, altre, in numero decisamente minore, sognano una o più taglie in meno. Meno di un terzo è contenta delle proprie misure.

E’ quanto emerge da quello che è stato presentato come il il più grande studio interculturale che indaga il rapporto col proprio seno delle donne.

Il campione preso in considerazione, 18.541 donne, distribuite in 40 nazioni, pur con alcune differenze, mostra una certa omogeneità nel modo in cui le donne vedono sé stesse: a prescindere dall’etnia e dalla nazionalità, la maggior parte delle donne sogna un seno diverso da quello che ha.

Per avere un’idea delle proporzioni, poco meno della metà, il 48% vorrebbe qualche taglia in più. Il 23% desidererebbe invece ridurre le proprie misure. Meno di un terzo, il 29%, si dice contenta del seno che ha.

La questione è molto meno frivola di quanto potrebbe apparire a prima vista.

L’insoddisfazione verso il proprio aspetto fisico può avere ripercussioni anche sulla salute della persona, e in particolare sugli autoesami, che nel caso del seno sono un fattore di prevenzione fondamentale.

I ricercatori hanno infatti evidenziato una connessione nelle risposte delle intervistate tra chi non era contenta del proprio seno, e chi non è assidua nella palpazione e nell’auto-esame.

Infatti, le donne che si sentono scontente, insoddisfatte, o addirittura in imbarazzo per la forma e l’aspetto delle mammelle hanno dichiarato di eseguire molti meno controlli a casa.

Tra le intervistate, un terzo ha infatti dichiarato di non aver mai eseguito auto-controlli, o averlo fatto raramente. Il 55% si recherebbe da uno specialista, se si accorgesse che c’è qualche cambiamento nell’aspetto del proprio seno, o qualcosa di diverso dal solito. Una su 10, e questo è il dato che più salta all’occhio, ritiene che cercherebbe di rimandare il più possibile la visita dal senologo.

Una scarsa o nulla abitudine all’auto-esame si traduce prima di tutto in una conoscenza insufficiente della propria conformazione, che rende più difficile l’individuazione tempestiva di eventuali variazioni. Inoltre, controlli saltuari o assenti possono ritardare la diagnosi di carcinomi e neoplasie, rendendo le cure più difficoltose. La diagnosi precoce è fondamentale per aumentare l’efficacia delle cure, e il carcinoma mammario rimane tuttora la prima causa di morte femminile per tumore al mondo.

Desiderare forme e taglie diverse è caratteristico di chi, in generale, è scontenta del proprio aspetto fisico e del proprio peso.

Anche questa caratteristica è trasversale alla nazionalità. Si potrebbe dire, insomma, che l’insoddisfazione per come si appare, unita al desiderio di somigliare a un qualche modello di bellezza più o meno irraggiungibile stia iniziando ad accomunare i generi femminili di sempre più paesi.

Una seconda correlazione è quella rilevata tra insoddisfazione verso il proprio seno e tendenza a sviluppare qualche forma di disagio psicologico. Su questo punto si è soffermato il professor Viren Swami, uno degli autori della ricerca, nonché docente all’Università Perdana, in Indonesia, e all’Università Anglia Ruskin, in Gran Bretagna. Swami sottolinea in particolare come la ricerca abbia rilevato l’esistenza di meccanismi mentali simili, a prescindere dal paese dove sono nate e vivono le donne. In generale, l’insoddisfazione verso questa parte così importante e simbolica del fisico femminile implicava più probabilità di soffrire di bassa autostima. In qualsiasi parte del mondo, è la conclusione dello studioso, l’insoddisfazione per il proprio seno può nascondere un malessere più generale, con ripercussioni sia sulla salute fisica che su quella mentale.

“Un aspetto decisamente interessante è il confronto con i dati emersi da studi effettuati in passato”, spiegano gli esperti del portale PsicologiOnline.net.

“Dal raffronto risulta un deciso cambiamento nelle tendenze globali. Il trend, sempre più evidente, è quello di un livellamento nei gusti e nella percezione di ciò che è bello e desiderabile. Infatti, mentre dagli studi condotti in passato risultava chiaro che l’idea di attraente variava anche considerevolmente a seconda del paese e della cultura, i dati raccolti in quest’ultima ricerca sembrano mostrare una nuova fase della globalizzazione, dove i concetti di bello, esteticamente gradevole e desiderabile vanno facendosi sempre più omogenei. In particolare, le preferenze vanno sempre più verso misure di seno grandi, anche in paesi dove tradizionalmente erano apprezzati i seni piccoli.”

Questa tendenza verso un’omogeneizzazione dei modelli estetici aveva, per la verità, iniziato a far capolino già da qualche tempo. Studi condotti sulle diete, il peso corporeo e la forma fisica avevano mostrato che tra le donne del mondo è sempre più comune il desiderio di essere e apparire più magre.

I ricercatori suggeriscono che, tenuto conto che l’insoddisfazione verso il proprio seno pare decrescere con l’aumentare degli anni, è opportuno incentivare le donne a focalizzarsi non solo sull’aspetto estetico della questione, ma soprattutto su quello funzionale. Restano fondamentali le campagne sulla palpazione e l’autoesame delle mammelle. Come si è visto, la ricerca è stata utile per evidenziare che queste operazioni necessitano ancora di promozione tra larghe fasce della popolazione mondiale, per sensibilizzare adeguatamente le persone sull’importanza della prevenzione.

Studio: cosa succede alla nostra autostima prima e dopo il divorzio

Roma, 16 dicembre 2019 – Come si può intuire è praticamente impossibile prevedere con precisione come ci sentiremo dopo un evento inaspettato e che cambierà la nostra vita. Spesso, per provare ad immaginarne le conseguenze, è più facile guardare cosa è successo ad altri che hanno vissuto esperienze simili.

Una nuova ricerca che appare nel Journal of Personality ha cercato però di fare esattamente questo, ovvero comprendere cosa succede alla nostra autostima prima e dopo il divorzio.

Il team di ricercatori guidato da Wiebke Bleidorndell’Università della California si è posto questa domanda: il divorzio può essere un antidoto ad un matrimonio triste e infelice?

L’equipe ha così studiato i cambiamenti nell’autostima di un gruppo di persone, sia prima che dopo il momento del divorzio, così da evidenziare quali fattori possono influenzare l’autostima durante questo periodo così delicato.

Le informazioni per effettuare la ricerca sono state raccolte esaminando il Longitudinal Internet Studies for the Social Sciences. Chiamato anche con l’acronimo LISS, ed effettuato tra il 2008 ed il 2018, quest’ultimo è un’enorme banca dati nazionale su svariati argomenti riguardanti gli adulti olandesi.

Il team di Bleidorn si è concentrato sui dati riguardanti il calo dell’autostima rispetto allo stato civile, per confrontare i cambiamenti dovuti ad un divorzio. Con l’ausilio di questi dati, la ricerca ha potuto analizzare e monitorare i livelli di autostima degli adulti olandesi fino a 10 anni prima e dopo che era accaduto l’episodio di divorzio dal coniuge.

I risultati della ricerca californiana hanno dimostrato che l’autostima ha un calo più marcato durante la fase che precede la separazione vera e propria, per poi bloccarsi durante il periodo del divorzio.

Labuona notizia è che successivamente l’autostima torna a crescere in modo lento ma continuo durante gli anni post-divorzio.

La ricerca ha fatto luce su una particolarità: le esperienze sociali influiscono sul ritorno dell’autostima dopo un divorzio. Ciò accade perché l’essere umano pone negli aspetti sociali una grande importanza, e quest’ultimi possono influire se si è circondati da persone che giudicano negativamente la scelta presa.

In questo caso, lo studio, ha notato che le persone facenti parte di una comunità religiosa, hanno vissuto un calo più deciso dell’autostima, sia nei mesi pre-divorzio, sia in quelli post-divorzio.
Ciò, secondo Wiebke Bleidorn e i suoi ricercatori, è indicativo di come la società riesca a plasmare i sentimenti e le emozioni delle persone; in questo caso la comunità religiosa, giudica spesso inappropriatamente un divorzio, e chi si ritrova a farne parte vive male entrambe le situazioni.

Un’altra scoperta interessante, vede le persone con un più alto livello di attenzione e diligenza, mostrare un recupero più immediato dell’autostima ed in generale dei livelli più alti rispetto agli altri adulti confrontati nei dati.

I risultati hanno portato in evidenza che aspetti, che prima si dava per scontato che influissero sulle emozioni e sulla fiducia in se stessi, come la durata del matrimonio o la presenza di un nucleo familiare composto da figli, non influenzino in nessun modo l’andamento del grafico dell’autostima.

“Ogni separazione è più o meno traumatica e porta dietro di se delle conseguenze che solo chi la vive può immaginare o conoscere. L’insicurezza inizialmente la fa da padrone, ma lo studio dei ricercatori californiani denota come l’autostima torni, anche se con un processo difficile e lento.

Questi risultati mostrano che il divorzio, in molti casi, può agire da antidoto che allevia la tensione, liberando i coniugi dallo stress e dalla sofferenza di un matrimonio infelice, contrastando il processo decrescente dell’autostima” spiegano gli esperti del portale PsicologiOnline.net.

“Divorziare può aprire anche a nuove possibilità, oltre che rinnovare fiducia in se stessi; si possono investire le proprie energie in nuovi progetti di vita, avere più tempo per altre relazioni significative con la famiglia o gli amici; quelle che magari si sono trascurate per via del matrimonio con una persona con cui non si stava più bene. Proprio queste relazioni ritrovate, o inaspettati rapporti con nuovi partner possono diventare un grande sostegno per riprendere fiducia in noi stessi”, concludono gli esperti di PsicologiOnline.net.

Tuttavia, gli autori della ricerca ci mettono in guardia e consigliano di non considerare il divorzio come una panacea.

La ricerca sottolinea che l’autostima, comunque, non torna così rapidamente dopo il momento della separazione, e anche crescendo inizialmente, torna ai livelli del periodo pre-divorzio.

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