Capelli, in Italia è boom dell’autotrapianto: 4.000 solo nell’ultimo anno

Torino, 26 agosto 2016 – Rassegnarsi a diventare calvi? Moltissimi italiani non si arrendono e cercano di correre ai ripari. Oltre 4.000 sono stati infatti i trapianti di capelli eseguiti in Italia nell’ultimo anno. La maggior parte dei richiedenti sono uomini con età che oscilla tra i 20 e i 60 anni.

«Avere una chioma fluente è il sogno di molti uomini condannati dalla genetica a perdere i capelli – afferma Luca Cravero, (www.lucacravero.it) chirurgo plastico di Torino socio del Sitri, la Società Italiana di Tricologia, oltre che di Aicpe e Isaps -. Il trapianto di capelli, tuttavia, è uno di quelli a più alto rischio di cattiva riuscita. Anche perché le false promesse in questo settore abbondano».

Cosa fare quindi per scegliere bene?

Ecco i punti che chi sta pensando a un trapianto di capelli deve conoscere.

Primo, imparare a distinguere i veri professionisti dagli imbonitori.

«I veri professionisti sono i chirurghi specializzati in chirurgia delle calvizie che hanno dedicato anni della loro carriera specializzandosi in questo intervento, partecipano ai congressi dedicati alla chirurgia della calvizie e ai workshop di aggiornamento delle nuove terapie – spiega Cravero -. Gli imbonitori sono tutti quelli che promettono false aspettative: internet può diventare una vera trappola, ho rioperato diversi pazienti rovinati per essere finiti nelle mani sbagliate, per questo consiglio di essere certi della professionalità di chi scegliete».

Punto secondo, non tutti i pazienti possono sottoporsi all’intervento di autotrapianto. «A seconda del grado di diradamento o di calvizie, scelgo di intervenire chirurgicamente solo quando non si compromette l’esito finale: ci sono infatti terapie di supporto che in alcuni casi possono evitare l’intervento – afferma lo specialista torinese -. Ovviamente mi riferisco a diradamenti recuperabili con le terapie galeniche o il PRP (plasma ricco di piastrine). La mesoterapia e alcuni integratori hanno come scopo quello di aumentare la componente vascolare, ridurre l’eccesso di diidrotestosterone, fornire maggior nutrimento al bulbo pilifero. L’intervento chirurgico diventa necessario solo quando tutte queste alternative risultano inefficaci».

Terzo punto: il trapianto di capelli è un intervento chirurgico vero e proprio. «L’autotrapianto è un’operazione che presuppone la partecipazione di più figure specializzate e quindi di un team di professionisti che insieme al chirurgo garantiscano il buon esito dell’intervento e la sicurezza del paziente stesso – precisa Cravero -. È necessaria la presenza di un anestesista e di almeno quattro infermiere professioniste e specializzate in chirurgia della calvizie che si occupano della separazione e conservazione delle unità follicolari».

Quarto, per l’autotrapianto di capelli esistono due tecniche, entrambe valide a seconda dei casi e delle aspettative del paziente. «La prima è la tecnica STRIP o FUT che prevede l’escissione di una losanga prelevata chirurgicamente dalla nuca e contenente fino a un massimo di 4000 unità follicolari a seconda della densità per centimetro quadrato e della lunghezza. La seconda tecnica è la FUE che prevede l’estrazione delle singole unità follicolari senza necessità di effettuare il taglio sulla nuca. Con la prima tecnica si recuperano molte unità follicolari da impiantare in una sola seduta, nella seconda le unità follicolari prelevabili sono decisamente inferiori, la scelta dell’una o dell’altra è a discrezione del chirurgo» puntualizza il medico, che è anche socio della Società Italiana di Tricologia.

Quinto, di solito una seduta è sufficiente per rinfoltire in modo importante aree che lo necessitano. «Ma bisogna mettere in conto che, se la densità per centimetro quadrato della zona donatrice non dovesse garantire un così alto numero di unità follicolari, è necessario reintervenire» dice Cravero.

Sesto, il prezzo. «I costi variano poco per le due tecniche, la STRIP/FUT si aggira tra i 3.000 e i 6.500 euro. Per quanto riguarda la tecnica FUE siamo tra i 4.000 e 6.000 a seconda delle unità follicolari».

Settimo e ultimo punto: l’autotrapianto di capelli è un intervento che riduce le aree glabre o diradate, ma da sola non arresta e cura la caduta dei capelli. «Nella scelta del chirurgo affidate la vostra testa a mani esperte che vi seguano anche dopo l’intervento e che vi accompagnino nel percorso con le terapie mirate al mantenimento della vostra chioma» conclude il chirurgo torinese.

 

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Medicina estetica, è boom di richieste per l’aumento del volume del pene: ecco come funziona e chi lo richiede

Brescia, 16 agosto 2016 – «Più che giovani insicuri, mi capita di avere a che fare con persone mature, con una relazione stabile o, spesso, al secondo matrimonio con una donna più giovane. La compagna di solito è presente all’appuntamento, quindi la decisione di recarsi dal medico è una scelta discussa e condivisa, anche se di fatto non ha particolari ripercussioni sull’attività sessuale». Parola di Pietro Martinelli, medico estetico con studi a Parma e Brescia che ha registrato negli ultimi 2 anni un notevole aumento di richieste di lipopenoscultura.

La lipopenoscultura consiste nell’utilizzare il grasso del paziente per aumentare, tramite iniezioni, il volume del pene. Niente sala operatoria o degenza e in un’ora ci si ritrova con un “attributo” di dimensioni maggiori.

«È la soluzione ideale per quelli che soffrono della cosiddetta “sindrome da spogliatoio”, un complesso che colpisce alcuni uomini quando si trovano occasionalmente nudi di fronte ad altri. L’intervento infatti non modifica le prestazioni sessuali e l’erezione non viene disturbata dall’aumento di dimensione del pene. È solo da qualche anno che si esegue questo tipo di intervento. In precedenza l’alternativa consisteva in iniezioni di acido ialuronico che però avevano una durata limitata nel tempo e potevano causare fastidiosi granulomi» aggiunge il Dott. Martinelli.

Come funziona. La lipopenoscultura si articola in due fasi: prima si preleva del grasso dal paziente, di solito dall’addome, dalla zona sovra pubica, quindi lo si inietta nel pene per aumentare il diametro utilizzando cannule smusse (senza punta) di piccolissime dimensioni (max. 1,5 mm). Iniettare il grasso aumenta il diametro del pene ma anche la  lunghezza, in quanto il volume del grasso presente nella sede sovra pubica riduce appunto la lunghezza del pene stesso.
L’intervento, che dura circa un’ora, viene eseguito in anestesia locale. Una piccola parte del grasso di solito è  riassorbita (circa il 30%), ma la maggioranza attecchisce con risultati duraturi. Per questo motivo, oltre che per contrastare il naturale riassorbimento, si effettua un’ipercorrezione della zona.  È comunque possibile eseguire interventi in un secondo tempo anche per raggiungere dimensioni maggiori ma che non dovranno superare un aumento volumetrico del 30 – 40%.
«Le tecniche di lipofilling in questa come nelle altre parti del corpo hanno fatti notevoli passi in avanti negli ultimi anni: oggi è possibile prelevare grasso nelle zone in eccesso e poi innestarlo dove si desidera. Le percentuali di riassorbimento si sono molto ridotte grazie a particolari tecniche che metto a punto. Per ottenere dei buoni risultati e un buon attecchimento del grasso con la lipostruttura è necessario che l’operatore abbia una preparazione tecnica specifica: il maneggiamento del grasso è molto delicato e in mani non esperte i risultati sono spesso quasi nulli» conclude Martinelli.
Il decorso post-operatorio non è particolarmente gravoso: il dolore di solito è nullo o di poca entità e si cura con degli analgesici. Si richiede poi l’astensione dall’attività sessuale per 3/4 settimane e un’accurata igiene personale. Le funzioni fisiologiche non sono per nulla ostacolate.

Il dott. Pietro Martinelli è laureato in Medicina e Chirurgia all’Università degli Studi di Milano e
d è medico chirurgo odontoiatra. Oltre all’attività sul tema dell’implantologia orale e sulla rigenerazione ossea guidata, è perfezionato in agopuntura all’Università degli Studi di Milano e iscritto al n° 140 del registro degli esperti in agopuntura presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ha un master quadriennale dell’International Academy of Esthetic Medicine (IAEM), è utilizzatore accreditato di F.EL.C. (Flusso Elettroni Convogliato), è socio sostenitore della Società Italiana di Medicina e Chirurgia Non Ablativa ed è membro dell’Associazione Italiana Terapia Estetica Botulino (AITEB). Ha conseguito un master universitario di II livello in Medicina Estetica (Parma).

 

 

Malattie dell’occhio: Arriva la Iontoforesi, la cura italiana per fermare il Cheratocono

Torino, 1 agosto 2016 – Il cheratocono è una malattia dell’occhio che colpisce 1 persona su 500, in modo più o meno grave, con un’incidenza maggiore tra giovani, adolescenti e bambini. Diagnosticata tempestivamente e trattata in modo corretto può evitare il trapianto di cornea e una qualità della vista e della vita migliore.

Il Dr. Alberto Bellone (www.albertobellone.it), oculista di Torino specializzato in chirurgia refrattiva e microchirurgia oculare spiega che «l’impatto sociale di questa malattia è notevole, poiché colpisce persone in giovane età con una lunga prospettiva di vita. Il cheratocono ha un effetto psicologico pessimo sul paziente, che si vede affetto da una malattia che non guarisce, ma che può solo peggiorare».

È una malattia molto invalidante perché comporta l’inizio di una lunga serie di visite, occhiali, lenti a contatto senza una vera terapia, con un peregrinare del paziente che può durare anni fino al trapianto di cornea.

Le ultime ricerche italiane ridanno però grandi speranze agli ammalati di cheratocono. Come il cross linking corneale trans epiteliale mediante iontoforesi messo a punto in Italia consiste in una metodica rivoluzionaria di assorbimento del farmaco all’interno dei tessuti oculari mediante corrente elettrica a basso voltaggio.

«È un intervento senza controindicazioni, indolore e ripetibile, che dura 14 minuti ed è realizzato ambulatorialmente – spiega Bellone -. Si tratta del perfezionamento di un metodo di successo già ampiamente in uso, di cui però sono stati migliorati alcuni aspetti per ottenere un risultato davvero ottimale, tanto che può essere praticata anche sui bambini».

La diagnosi precoce

Per fermare questa malattia è importante anzitutto diagnosticarla in modo precoce.

«La diagnosi può essere fatta in un comune ambulatorio oculistico dotato di un topografo corneale – prosegue lo specialista -. All’oculista spetta l’interpretazione delle immagini e la definizione di un piano terapeutico, per questo è essenziale che i pazienti accedano a centri specializzati nella diagnosi e cura del cheratocono per non incorrere a false interpretazioni diagnostiche e a errati consigli terapeutici».

I sintomi possono essere diversi: in genere si manifesta con una graduale perdita della vista, astigmatismo e miopia, aloni notturni e sfregamento agli occhi. La causa della malattia non è ancora chiara, ma pare vi sia una predisposizione genetica (rilevata nel 10-15% dei casi). All’interno del medesimo nucleo familiare questa patologia colpisce a “macchia di leopardo” i vari membri, è di solito bilaterale (85%) e la severità può variare da persona a persona. Colpisce con più frequenza i soggetti giovani, gli adolescenti o i bambini. In caso di forme meno aggressive, la diagnosi avviene anche in età adulta e avanzata.

La Iontoforesi

Il cross linking corneale trans epiteliale mediante iontoforesi è una metodica rivoluzionaria per l’assorbimento di un farmaco all’interno dei tessuti oculari. La tecnica attuale è un’evoluzione di una già esistente, si può dire la terza generazione di una metodica inventata in Germania dieci anni fa, che va a migliorarlo ulteriormente e a risolvere alcuni criticità:

«Si unisce la sicurezza della tecnica trans epiteliale, cioè priva di rischi infettivi e dolore post operatorio, all’efficacia della tecnica con asportazione dell’epitelio corneale, che dava un maggiore assorbimento del farmaco, grazie alla messa a punto di una tecnica di trasporto del farmaco all’interno delle strutture oculari veicolata da una corrente elettrica a basso voltaggio: la iontoforesi» spiega Bellone.

Consiste nell’installazione sulla cornea di una sostanza, la riboflavina o vitamina B2, che è trasportata all’interno del tessuto corneale tramite una corrente a basso voltaggio per 5 minuti. La novità consiste proprio nell’utilizzo della corrente elettrica, per la prima volta in un intervento medico, che permette di ottenere concentrazioni del farmaco molto elevate all’interno della cornea.

«La iontoforesi permette al farmaco di essere assorbito dai tessuti in maniera attiva, cioè seguendo il flusso di corrente che lo trasporta come i vagoni di un treno trasportano la merce. La corrente elettrica lo rende quindi più efficace: l’assorbimento del farmaco diventa molto più rapido ed efficace e i tempi si riducono notevolmente, bastano 14 minuti.

Il Dottor Alberto Bellone è laureato in Medicina e Chirurgia all’Università di Torino nel 1996, ha conseguito l’abilitazione alla professione di medico chirurgo nel 1997 e si è specializzato in Oftalmologia all’Università di Torino nel 2000. Da anni si interessa di chirurgia refrattiva affinando le tecniche più moderne per il trattamento dei vizi di refrazione. Ha una notevole esperienza nella chirurgia conservativa del cheratocono e delle ectasie corneali con l’impianto di anelli corneali intrastromali (Ferrara Ring) e ha acquisito tecniche chirurgiche specifiche per il trattamento delle patologie vitreoretiniche. Ha fatto parte del presidio Valdese di Torino. Riceve e opera in diverse strutture di Piemonte e Lombardia.

Presbiopia: Da oggi è possibile recuperare la vista grazie alla nuova tecnica delle lenti intraoculari trifocali

Torino, 13 luglio 2016 – «La presbiopia è un difetto visivo da cui nessuno è esente. Di solito si presenta dopo i 45 anni ed è una naturale conseguenza dell’invecchiamento: si tratta di un vizio di rifrazione, dovuto alla riduzione della capacità dell’occhio di messa a fuoco da vicino» dice Alberto Bellone, oculista di Torino specializzato in chirurgia refrattiva e microchirurgia oculare.

Sono circa 28 milioni i presbiti in Italia (negli Stati Uniti superano i 100 milioni e arrivano oltre i 2 miliardi in tutto il mondo). «Un numero che è destinato ad aumentare per via dell’innalzamento dell’età media. Non solo: crescono anche le esigenze, in quanto le persone restano attive più a lungo rispetto al passato e vogliono leggere, utilizzare il computer ed eseguire lavori di precisione che richiedono una perfetta capacità visuale da vicino» spiega Bellone.

Non si può prevenire la presbiopia, ma si può correggere: «L’approccio più semplice sono gli occhiali: chi non ha difetti visivi può usare lenti monofocali, mentre, in presenza di altri difetti visivi si usano lenti multifocali per una messa a fuoco a tutte le distanza. Esistono anche le lenti a contatto multifocali, ma non sono adatte a tutti in quando è necessario abituarsi ad utilizzarle».

La novità è che esiste una valida alternativa chirurgica agli occhiali, adatta per gli ultra cinquantenni, che permette di ottenere una visione ottimale, da lontano, da vicino e anche a media distanza: si tratta delle lenti intraoculari trifocali, che consentono una visione ottimale. Bellone è stato il primo in Italia a impiantare lenti PanOptix, che utilizza da ottobre 2015: «Sono un prodotto innovativo, che perfeziona una tecnica già esistente. Ne ho già impiantate una sessantina, i pazienti sono entusiasti dei risultati: già il giorno dopo l’intervento leggono da vicino senza occhiali e vedono nitidamente la tv e il monitor del pc. Si tratta di un prodotto con un alto profilo di sicurezza: le lenti intraoculari trifocali sono progettate sulla piattaforma della lente intraoculare per cataratta più impiantata al mondo: quella della AcrySof Iq. Sono di materiale acrilico idrofobo biocompatibile e sono impiantabili attraverso una microincisione. La piattaforma AcrySof contiene il cromoforo che simula il cristallino umano nella qualità della visione. Per la presbiopia, in precedenza, utilizzavo lenti bifocali che però, pur consentendo un’ottima visione da vicino e da lontano, avevano il limite della messa a fuoco sulla media distanza» dice Alberto Bellone. Un’altra innovazione delle lenti PanOptix è la diminuzione della dipendenza della lente dalla luminosità dell’ambiente per il buon funzionamento della lente da vicino.

Alberto Bellone è stato il primo in Italia ad adottare le lenti trifocali PanOptix: «Con la nuova trifocale PanOptix si sono superati i difetti delle altre trifocali in commercio che hanno il fuoco intermedio a 80 centimetri: la PanOptix, grazie ad una tecnologia particolare brevettata dall’azienda produttrice, dispone di una visione intermedia a 65 centimetri. Tale distanza secondo gli ultimi studi è proprio la distanza che le persone usano per il computer. Questo aspetto è molto importante nella scelta dell’impianto in quanto le altre trifocali permettono una visione intermedia a 80 centimetri che non è la distanza abituale del monitor».

Per ulteriori informazioni sulla tecnica delle lenti intraoculari trifocali visitare il sito internet del chirurgo Alberto Bellone all’indirizzo www.albertobellone.it.

 

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Per informazioni:

albertobellone@gmail.com

Torino: Il chirurgo Alberto Bellone, specializzato in chirurgia refrattiva e microchirurgia oculare
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