Lavoro: sempre più aziende si rivolgono all’head hunter

Riunione, business, affari, donna manager

Milano, 8 marzo 2023 – Le società di head hunting, che mettono a disposizione delle aziende dei cacciatori di teste specializzati nella ricerca di talenti, stanno diventando dei partner sempre più apprezzati dalle imprese italiane. E se fino a qualche anno fa a rivolgersi agli head hunter erano in particolar modo le grandi imprese, e nello specifico per la ricerca di figure manageriali, oggi sempre più PMI chiedono il supporto di questi esperti recruiter per individuare non solo dirigenti e manager, ma anche personale qualificato.

Ma per quale motivo il ricorso alle società di head hunting è sempre più frequente? Si tratta di una generalizzata tendenza all’outsourcing che sta coinvolgendo anche il reparto HR delle aziende, o ci sono altre motivazioni più concrete?

«Sono diversi i motivi per i quali la tipologia e il numero delle imprese che decidono di avvalersi del supporto di un cacciatore di teste sono aumentati negli ultimi anni, e sicuramente la crescente difficoltà di reclutamento che sta rallentando la crescita delle aziende italiane è una componente da non trascurare», spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting specializzata nella selezione di personale qualificato e nello sviluppo di carriera.

È infatti noto quanto stia aumentando il gap tra domanda e offerta sul mercato del lavoro negli ultimi anni, con sempre più imprese che incontrano difficoltà nell’assumere il personale necessario.

Ma in che modo la consulenza di un head hunter per la ricerca e selezione del personale può cambiare le cose, di fronte a una patologica mancanza sul mercato del lavoro?

«Va prima di tutto sottolineato il fatto che le migliori società di head hunting possono contare su conoscenze e strumenti che, molto semplicemente, i semplici reparti HR non possono vantare: ogni cacciatore di teste di Adami & Associati, per esempio, è specializzato in una o più aree industriali, il che garantisce molti vantaggi operativi. Parliamo di professionisti che hanno coltivato nel tempo un ampio bacino di candidati da cui attingere, cosa che fin da subito rende la selezione più efficace e più veloce», continua Adami.

Non è però solamente la presenza di un preesistente network di talenti a rendere conveniente la consulenza di un cacciatore di teste. Affidare la selezione del personale a degli head hunter, come spiega Adami, «significa sollevare l’ufficio HR da una lunga serie di attività, dalla creazione e pubblicazione degli annunci fino all’analisi dei curriculum, per arrivare fino alla gestione dei colloqui di lavoro: in questo modo, l’ufficio risorse umane può concentrare le proprie energie sugli aspetti gestionali dell’azienda».

Tutto ciò sapendo che un head hunter specializzato in un dato settore professionale potrà condurre le job interview parlando la stessa lingua dei candidati, lasciando ai candidati la possibilità di esprimersi utilizzando tecnicismi e concetti propri del settore.

Nel complesso affidarsi a un società di head hunting assicura all’azienda un processo di selezione «più efficace, più rapido e più esatto, con maggiori possibilità di successo» garantendo allo stesso tempo ai candidati «una candidate experience positiva e persino memorabile, a tutto vantaggio dell’employer branding e delle future ricerche del personale dell’azienda», conclude Carola Adami.

 

 

Lavoro: ecco i benefit aziendali che attirano più talenti

Milano, 28 febbraio 2023 – È ormai noto che sono tantissime le imprese che si scontrano con crescenti difficoltà nel reperire personale. Stando all’ultimo Bollettino predisposto dal Sistema informativo Excelsior Unioncamere in collaborazione con ANPAL, si parla di una difficoltà di reperimento del 66% per le figure dirigenziali e del 62% per gli operai specializzati. In una situazione come questa, le aziende sono chiamate a impegnarsi per “contendersi” i pochi talenti disponibili, offrendo loro il migliore tra gli ambienti lavorativi.

Ma quali sono gli elementi che vengono considerati più importanti dai candidati? Quali sono cioè i fattori più attrattivi per chi sta cercando un nuovo lavoro, o per chi, pur non avendo avviato una ricerca attiva, è aperto a nuove opportunità professionali?

«Non si parla unicamente dello stipendio» spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting specializzata nella selezione di personale qualificato e nello sviluppo di carriera. «Anzi, ci sono dei fattori che sono importanti quanto e più della retribuzione, a partire per esempio dall’atmosfera di lavoro, dalla flessibilità complessiva e dalla possibilità di avere un buon equilibrio tra vita lavorativa e vita privata».

E poi ci sono ovviamente i benefit aziendali, ovvero tutti quegli elementi sotto forma di beni o di servizi che un’azienda fornisce ai propri dipendenti al di fuori del normale stipendio mensile, e che in quanto tali rientrano nel piano di welfare aziendale. Diventa così cruciale, per attirare i talenti, individuare quelli che sono i benefit aziendali più apprezzati.

«In linea di massima è possibile affermare che ogni benefit, di qualsiasi natura, deve essere visto come un elemento positivo in ottica di employer branding e di employee retention, soprattutto quando si parla dei millennials» puntualizza Carola Adami, specificando poi che «da questo presupposto bisogna partire per capire quali sono i benefit che, in base al proprio budget e alle esigenze dei propri collaboratori attuali e potenziali, possono risultare più efficaci».

La scelta dei migliori benefit potrebbe quindi essere differente tra aziende di vario tipo o di vario settore?

«Sicuramente sì, in quanto ogni settore presenta le sue unicità, così come ogni azienda: il tipo di attività, l’età media dei collaboratori, la posizione geografica sono solamente alcuni dei fattori da prendere in considerazione» spiega Adami. «Nonostante questo, le indagini fatte negli ultimi anni ci mostrano comunque che ci sono dei benefit aziendali che sono in generale più efficaci e apprezzati, come per esempio le opportunità di formazione e di sviluppo, l’assistenza all’infanzia, le prestazioni sanitarie. Parliamo quindi per esempio dei giorni di congedo ulteriori per maternità e per paternità, dei bonus per asili nido e centri estivi, ma anche delle spese per i terapeuti, e così via», conclude Carola Adami.

 

Farsi assumere oggi: “Un CV non basta, i recruiter controllano la reputazione online”

Oggi chi seleziona il personale per valutare un’assunzione controlla, oltre il curriculum e le referenze, anche la reputazione online dei candidati

Milano, 9 febbraio 2023 – Perché rischiare di assumere un collaboratore sbagliato quando si può avere la certezza di scegliere il candidato giusto? Assumere un nuovo dipendente non è mai una decisione da prendere alla leggera, sia per le piccole imprese che per le grandi. Ecco perché i recruiter effettuano un’analisi dettagliata dei candidati, controllando non solo i curriculum e i colloqui conoscitivi, ma anche le referenze online di ogni candidato.

I rischi di un’assunzione sbagliata

Per questo chi non vuole affrontare costi elevati per la formazione di un nuovo dipendente, o peggio ancora, perdite di produttività o danni all’immagine a causa di un’assunzione sbagliata, si affida ai cacciatori di teste, per assicurarsi di trovare il collaboratore perfetto per la propria azienda.

Per questo i recruiter controllano quanto più attentamente possibile i candidati per ogni posizione aperta.

Il controllo della reputazione online dei candidati

Le classiche analisi si effettuano a livello di curriculum vitae e colloqui conoscitivi, a cui si aggiungono il controllo delle referenze dei candidati, e le ricerche online sulle persone che vengono effettivamente prese in considerazione per l’assunzione.

Secondo le ultime indagini, a compiere questo ulteriore passo sono circa 8 recruiter su 10, che vanno a controllare la digital reputation dei candidati online, dai motori di ricerca ai social network. E qui le informazioni trovate possono sia favorire, sia allontanare, come accade sempre più spesso, la possibilità di essere assunti.

Cosa fare quindi nel momento in cui ci si mette alla ricerca di un nuovo lavoro?

L’importanza di controllare la propria reputazione online

«Chi si mette alla ricerca di una nuova occupazione deve prepararsi da molti punti di vista: penso per esempio all’aggiornamento del curriculum vitae, a dei corsi di formazione mirati per colmare eventuali lacune, nonché all’allenamento mirato per affrontare al meglio i colloqui di lavoro» spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società specializzata nella selezione di personale qualificato e nello sviluppo di carriera.

«Ma non è tutto qui: sapendo che i recruiter controlleranno molto probabilmente la digital reputation dei candidati, è ormai fondamentale curare anche questo aspetto, per avere la certezza che delle informazioni online non possano compromettere un’assunzione».

Diventa dunque importante mettersi nei panni del recruiter, per controllare qual è l’effettivo stato della propria reputazione online.

Quali sono i risultati che restituiscono i motori di ricerca nel momento in cui si digita il proprio nome? Quali sono le informazioni disponibili a tutti sui social network?

Reputazione online: per i candidati meglio cancellare le informazioni compromettenti sul web

«Di certo i primi canali da controllare sono quelli dei social network: il consiglio è quello di guardare ai propri account con gli occhi di un recruiter, eliminando o nascondendo delle informazioni, dei post o delle fotografie che potrebbero risultare nocive per il processo di selezione. È buona norma in ogni caso mantenere i propri post personali visibili solo per ristrette liste di amici» sottolinea l’head hunter, aggiungendo che «aiuta moltissimo avere un profilo aggiornato e curato su LinkedIn, volto a mostrare effettivo interesse per il proprio settore lavorativo e per la propria carriera professionale», prosegue Carola Adami.

Non si parla peraltro unicamente di social network, in quanto esistono tracce della propria reputazione digitale anche al di fuori di questi portali.

«Pensiamo per esempio ai propri commenti su forum, a un blog gestito in gioventù o ad altre risorse simili: tutto quello che può uscire in prima o in seconda pagina su Google sul proprio conto può fornire informazioni utili, buone o meno, al recruiter. Per questo è importante controllare quali informazioni sono presenti su di noi online, ed eliminare ciò che potrebbe danneggiare la nostra reputazione», conclude la cacciatrice di teste di Adami e Associati.

 

Recruiting: ecco perché la differenza la fa l’head hunter

Il cacciatore di teste ha sempre più importanza nella ricerca di talenti: per le aziende risparmio di tempo ed una qualità migliore dei candidati

Milano, 24 gennaio 2023 – Fino a non molti anni fa il termine head hunter diceva ben poco agli italiani. E le poche persone che sapevano individuare il ruolo del cacciatore di teste non di rado vedevano in esso qualcosa di misterioso, non riuscendo a separare in modo netto e sufficientemente chiaro la missione dell’head hunter da quella di un semplice addetto alla selezione del personale. Ebbene, di recente la situazione è cambiata diametralmente, con un numero consistente e sempre più ampio di imprese – di qualsiasi dimensione e di qualunque settore – che hanno scelto di stringere delle partnership durature con singoli cacciatori di teste o, più spesso, con delle società di head hunting.

A cosa è dovuto questo cambio di passo?

Le ragioni dietro questa evoluzione sono diverse. Prima di tutto «le imprese hanno capito che affidare la ricerca dei talenti a un cacciatore di teste significa sia risparmiare tempo ed energie, senza quindi togliere attenzione dal proprio core business, sia avere la certezza di poter contare su un processo di selezione del personale professionale, condotto in modo scientifico», spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società di head hunting specializzata nella selezione di personale qualificato e nello sviluppo di carriera.

Occupandosi di ogni passaggio, dalle interviste preliminari fino alla mediazione, l’head hunter permette quindi di guadagnare non solo in termini di tempo, ma anche in termini di qualità dei candidati selezionati.

Ma non è tutto qui.

«Quando la ricerca di talenti è effettuata da un head hunter, questa tende a essere più rapida nonché più fluida. Questo grazie al network di partenza, dal quale il cacciatore di teste specializzato nel singolo settore può attingere contatti, e grazie agli strumenti tecnologici che può mettere al servizio delle imprese per ridurre i tempi».

E ancora, non va dimenticato il fatto che avvalersi di un head hunter significa, per l’impresa, andare ad attirare anche dei professionisti che sarebbero semplicemente irraggiungibili con le normali tecniche di ricerca del personale.

«Tra le peculiarità dell’head hunter» spiega Carola Adami «c’è anche quella di poter attirare i cosiddetti “candidati passivi”, figure cioè altamente specializzate che, essendo già occupate e probabilmente soddisfatte, non sono alla ricerca attiva di un nuovo lavoro, pur non escludendo a priori la possibilità di prendere in considerazione delle nuove opportunità per sviluppare ulteriormente la propria carriera».

Figure come queste sono pressoché impossibili da raggiungere con i classici annunci di lavoro: a fare la differenza è quindi la rete di contatti del cacciatore di teste, che instaura una relazione di fiducia sia con l’azienda, sia con i potenziali candidati, gestendo sia l’attrazione dei talenti, sia la successiva negoziazione.

 

 

 

 

Mercato del lavoro: difficile reperire personale nel 45,3% dei casi

Milano, 20 dicembre 2022 – L’ultimo bollettino del Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e ANPAL afferma che per dicembre 2022 sono in programma 329.000 assunzioni di nuove risorse da parte delle imprese, numero che sale a 1,2 milioni guardando all’intero trimestre dicembre-febbraio.

Confrontando tali dati con quelli storici si scopre che il numero complessivo è inferiore di 24.000 unità rispetto all’anno scorso. Ma la vera criticità individuata dal bollettino sta nella difficoltà di reperimento del personale, dato che continua a crescere e che ad oggi è arrivato al 45,3% del personale ricercato, con una crescita di 7 punti percentuali rispetto al 2021.

La flessione delle assunzioni previste per dicembre è da ricondurre in primis al rallentamento dell’economia in seguito alla guerra in Ucraina, alla crisi energetica e all’inflazione, fenomeni peraltro strettamente collegati tra loro. Va però detto che nonostante questo la domanda di lavoro delle imprese si mantiene su livelli del tutto simili a quelli che erano stati registrati nel medesimo periodo nel 2019, prima dello scoppio del Covid-19.

L’attenzione va quindi posta in buona parte sul crescente mismatch tra domanda e offerta di lavoro: facendo due conti, in base ai dati Excelsior, sulle 329.000 assunzioni programmate per dicembre, 149.000 saranno difficoltose o persino impossibili. Le imprese motivano la difficoltà nel trovare personale con diversi fattori, a partire dalla mancanza numerica di candidati e dalla loro preparazione inadeguata.

Per quanto riguarda le professioni high skills, i professionisti più difficili da reperire sono gli specialisti nelle scienze della vita (82,7%), i tecnici della salute (62,7%), i tecnici in campo ingegneristico (58,7%), i tecnici di gestione (58,6%) e i tecnici informatici, telematici e delle telecomunicazioni (54,4%).

È inoltre altissimo il livello di difficoltà dichiarato per la ricerca di dirigenti (72,8%). Guardando invece alle professioni low skills, si presentano difficoltà di reperimento per gli operatori della cura estetica (69,6%), per meccanici, montatori, riparatori e manutentori (69,4%) e per operai di macchine automatiche e semiautomatiche (61,7%).

Qual è la soluzione per le imprese che, pur avendo necessità di inserire nuovi talenti, non riescono a individuare i necessari candidati?

«Risulta cruciale capire che il problema del mismatch tra domanda e offerta non si è sviluppato dal nulla, e che probabilmente continuerà ad aumentare anche nei prossimi anni, con un concreto aumento dei posti di lavoro disponibili ma non accessibili» spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting.

«Per questo la competitività delle imprese si baserà sempre di più sulla capacità di attirare i “pochi” talenti presenti sul mercato del lavoro. Il primo consiglio è dunque quello di investire sulla propria strategia di employer branding, così da diventare un’opzione naturale per le risorse che sono alla ricerca di una nuova occupazione; il secondo consiglio è quello di affidare la selezione del personale a dei professionisti come i nostri head hunter, specializzati di volta in volta nei diversi settori. In questo scenario» sottolinea Adami «sono infatti ben poche le aziende che possono permettersi il lusso di “sbagliare” una selezione o di vedere un intero processo di recruiting andare a vuoto».

 

Le lauree più efficaci per trovare lavoro

Milano, 29 novembre 2022 – Quanto una laurea può fare la differenza sul mercato del lavoro? E quali sono le lauree che risultano maggiormente spendibili? Per rispondere a queste domande risulta particolarmente utile il report annuale dell’OCSEEducation at a Glance 2022“, il quale presenta tra gli altri anche dati relativi all’Italia. E questi dati confermano per l’appunto che il tasso di occupazione dei laureati nel nostro Paese è nettamente superiore a quello dei non laureati: se infatti guardando ai laureati tra i 20 e i 64 anni il tasso di occupazione è al 79,2%, concentrandosi sulle persone con il solo diploma la percentuale si abbassa al 65,2%. Non si tratta peraltro unicamente di occupazione.

Anche lo stipendio dei laureati si presenta maggiore, tanto che, guardando all’arco dell’intera vita lavorativa, il guadagno di chi possiede una laurea è mediamente doppio rispetto a quello di chi non vanta un titolo di istruzione secondaria superiore. Questo sapendo che in Italia a un anno dal conseguimento della laurea si percepisce uno stipendio medio di 1.340 euro, media che sale a 1.407 nel caso delle lauree di secondo livello.

«La laurea figura come requisito fondamentale in un numero sempre più alto di ricerche di personale» spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società specializzata nella selezione di personale qualificato e nello sviluppo di carriera. «Ma va sottolineato anche che nel nostro paese il numero di laureati resta ancora relativamente basso, con poco più del 20% della popolazione in possesso di un titolo di questo tipo, contro alla media UE del 32% circa», mette in evidenza l’head hunter.

Di certo non passare per l’università non vuol dire restare esclusi dal mercato del lavoro: come sottolinea Adami «ci sono settori in cui il fabbisogno di diplomati resta altissimo: penso ai trasporti e alla logistica, al settore agro-alimentare, alle costruzioni, al settore amministrativo e via dicendo».

Non va peraltro dimenticato che non tutti i percorsi di laurea presentano poi la stessa spendibilità del titolo sul mondo del lavoro. Guardando ai dati Ocse si scopre per esempio che la laurea che permette di trovare più facilmente il lavoro in Italia resta quella in Medicina, con un tasso di occupazione pari all’89%, pari peraltro a quello delle lauree in Professioni sanitarie e in Servizi Sociali.

É all’88% il tasso di occupazione di chi possiede una laurea in Ingegneria oppure in Informatica, e si attesta all’85% quello di chi può vantare una laurea in Economia. Risulta invece più difficile trovare lavoro con una laurea in facoltà Umanistiche o in Arte: in questi casi il tasso di occupazione è del 76%, in ogni caso superiore a quello di chi possiede il solo diploma.

 

 

 

 

 

Lavoro: ecco il carattere giusto per fare carriera

Milano, 7 novembre 2022 – Due studi effettuati dai ricercatori dell’Università della California a Berkeley hanno messo in luce le caratteristiche caratteriali che risultano più efficaci per fare carriera. Nel concreto, i partecipanti sono stati contattati una prima volta al momento del loro ingresso nel mondo del lavoro, occasione durante la quale sono stati sottoposti a un test di personalità. Le medesime persone sono poi state contattate 14  anni dopo, così da poter raccogliere informazioni sui loro avanzamenti di carriera e sulla posizione ricoperta in azienda.

Si è scoperto così che le persone che risultano maggiormente aggressive e con tendenze manipolatorie, sul lungo termine, risultano svantaggiate rispetto a persone mosse da lealtà, cortesia e generosità. Il doppio studio di Berkeley va quindi a sfatare il mito secondo il quale, per fare carriera, sia necessaria anche una buona dose di egoismo e di sfrontatezza, mettendo in luce come un comportamento prevaricatore o intimidatorio finisca per nuocere agli avanzamenti di carriera.

Lo conferma anche Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting: «il nostro team di cacciatori di teste seleziona regolarmente figure manageriali per aziende dei più differenti settori, per poi seguirne gli avanzamenti all’interno delle aziende» spiega Adami «ed è un fatto che le persone maggiormente propense all’ascolto e alla costruzione di relazioni interpersonali stabili riescono a ottenere più agevolmente e rapidamente dei riconoscimenti in termini di sviluppo di carriera».

Per questo motivo, nella consapevolezza che la presenza di determinate attitudini e soft skill risultano premianti per le aziende che assumono nuovi talenti «già nella fase di selezione di personale qualificato i nostri cacciatori di teste prestano particolare attenzione a questi aspetti, testando non solo le capacità di problem solving, non solo la motivazione e la capacità di prendere l’iniziativa, ma anche la disposizione verso i colleghi e la capacità di ascolto attivo» sottolinea l’head hunter.

Ecco allora che avere una buona disposizione nei confronti dei propri colleghi, insieme a una buona dose di altruismo, aiuta sia nella ricerca di un nuovo soddisfacente lavoro, sia nella scalata al potere all’interno delle aziende. Va peraltro sottolineato che ulteriori studi hanno indicato altre caratteristiche cruciali per fare carriera: un lavoro realizzato dall’Università del Colorado in collaborazione con il National Institute on Aging e con la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health ha dimostrato per esempio che la soddisfazione sul lavoro e il reddito sono maggiori nelle persone che si dimostrano coscienziose ed emotivamente stabili, coniugando quindi senso di responsabilità e controllo dello stress.

 

 

Perché non trovo lavoro? I consigli dell’head hunter

Milano, 27 ottobre 2022 – Perché non trovo lavoro? C’è chi, preoccupato, se lo domanda appena pochi giorni dopo avere avviato la ricerca di una nuova occupazione, e magari ancora prima di aver effettuato un colloquio. Ma c’è anche chi si ritrova a ripetersi questa domanda dopo settimane o mesi spesi a rispondere ad annunci per nuove posizioni e a partecipare a delle job interview. Perché in alcune occasioni risulta effettivamente così difficile trovare un nuovo lavoro, con la ricerca che si prolunga insopportabilmente nel tempo? I fattori possono essere davvero tanti.

Come sottolinea Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting specializzata nella selezione di personale qualificato e nello sviluppo di carriera, è possibile suddividere questi motivi in due grandi gruppi: «da una parte ci sono tutti i fattori che dipendono dall’esterno, sui quali non è possibile intervenire; pensiamo per esempio ai momenti di recessione, oppure alle stagionalità dei diversi settori».

Dall’altra parte ci sono invece «i fattori endogeni, legati al candidato stesso, relativi alla sua esperienza professionale, alla sua personalità, e al suo modo di presentarsi; su questi è ovviamente possibile intervenire».

I CONSIGLI PER TROVARE LAVORO

Cosa dovrebbe fare dunque una persona che è alla ricerca di un nuovo lavoro da tempo?

Prima di tutto, sottolinea l’head hunter di Milano, è fondamentale non abbattersi: «perdersi d’animo è un errore, e potrebbe rendere ancora più difficile trovare una nuova occupazione».

Sapendo che si può fare ben poco per eliminare eventuali fattori esterni che stanno rendendo difficoltosa la ricerca di un nuovo lavoro, è bene concentrarsi sulla propria figura e la propria presentazione, per aumentare in modo concreto le possibilità di essere selezionati per l’assunzione al prossimo colloquio di lavoro. Ecco quindi i consigli di Carola Adami:

Prima di rispondere a un annuncio di lavoro, assicurarsi sempre che quella possa essere la posizione giusta per le proprie competenze e i propri obiettivi: è sempre meglio effettuare poche candidature ben curate che perdere tempo a mandare 10 candidature al giorno;

Aggiornare e migliorare il proprio curriculum vitae, ottimizzando in vista del ruolo per il quale si intende effettuare la prossima candidatura. Così facendo si avranno maggiori possibilità di passare la prima scrematura dei cv;

Accompagnare sempre il cv con una lettera di presentazione scritta appositamente per quella candidatura, mostrando in queste poche righe qual è il valore aggiunto che si può apportare all’azienda;

Se possibile, accompagnare il proprio curriculum vitae con una lettera di referenze;

Migliorare la propria immagine online, rimuovendo da Facebook eventuali contenuti che potrebbero allontanare un selezionatore, e completando il proprio profilo su LinkedIn. Sono infatti sempre di più i recruiter che, per avere maggiori informazioni su un candidato, effettuano delle ricerche online più o meno approfondite prima di decidere se convocarlo o meno a un colloquio di lavoro;

Allenarsi in vista del colloquio di lavoro, lavorando sulla propria presentazione, sulle risposte alle domande più frequenti e sull’esposizione dei propri punti di forza;

Non dimenticare mai di studiare l’azienda presso la quale ci si sta candidando: sapere qualcosa in più sul potenziale datore di lavoro permetterà di affrontare il processo di selezione in modo più efficace.

 

Lavoro: cos’è il Quiet Quitting e perché può mettere in difficoltà le aziende

Milano, 4 ottobre 2022 – Il fenomeno delle “Grandi dimissioni” continua a essere centrale a livello nazionale. Stando agli ultimi dati pubblicati dall’Osservatorio sul Precariato dell’Inps, in Italia nel primo semestre del 2022 oltre 1 milione di persone ha deciso di dare le dimissioni dal proprio posto di lavoro. Se il numero assoluto è già di per sé impattante, il confronto con il 2021 sottolinea la forte dinamicità del mercato: rispetto al primo semestre dell’anno scorso le dimissioni sono cresciute del 31,73%, in parallelo a un incremento del 26% delle assunzioni. Il saldo complessivo è in ogni caso positivo, con 946mila nuovi posti di lavoro.

A livello internazionale, però, sembra che il fenomeno delle “Grandi dimissioni” stia lasciando progressivamente spazio a un nuovo e significativo trend, denominato “Quiet Quitting”. Trascorsa quindi l’onda più drastica della consegna delle dimissioni, sembra che ora molti lavoratori scelgano una via più lenta, senza tagli netti: letteralmente “Quiet Quitting” significa infatti “lasciare lentamente”. Nel concreto, vuol dire mollare la presa sul lavoro, limitandosi a fare lo stretto necessario.

«Il fenomeno del Quiet Quitting, seppur possa sembrare meno impattante rispetto a quello delle dimissioni di massa, non deve e non può essere trascurato dalle aziende» spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting.

«Le persone che scelgono in modo razionale e sì, strategico, di mettere dei paletti chiari alla propria vita lavorativa partono con l’evitare il lavoro extra, gli straordinari, la reperibilità, smettendo del tutto di considerare la propria carriera lavorativa come una priorità» sottolinea l’head hunter «e questo, in uno scenario in cui fin troppo spesso le aziende contano proprio sugli extra e su quello sforzo in più da parte dei dipendenti per raggiungere gli obiettivi prefissati, può ovviamente diventare un problema considerevole».

Al di là delle dichiarazioni dei dipendenti, a partire dai social network – dove l’hashtag #quietquitting continua a guadagnare popolarità – a dimostrare la concretezza di questo fenomeno è il report State of the global workplace 2022 di Gallup.

Lo studio ci dice che, se prima della pandemia l’engagement dei dipendenti nei confronti delle aziende datrici di lavoro era in continuo aumento a livello globale, oggi è invece stagnante o in flessione. Guardando ai numeri attuali, solamente il 21% dei dipendenti afferma di essere coinvolto dal proprio lavoro, un dato che in Europa scende al 14%.

«I numeri mostrano che il fenomeno del quiet quitting riguarda soprattutto i lavoratori delle generazioni Millennial e Z, ovvero la forza lavoro nata a partire dagli anni Ottanta, che rappresenta la parte più produttiva e più importante per lo sviluppo delle aziende» spiega Adami.

«Se per evitare le dimissioni dei dipendenti le aziende sono chiamate a investire nella formazione degli assunti, a introdurre dei benefit e ad ascoltare le esigenze dei dipendenti, nel caso del Quiet Quitting l’attenzione va posta soprattutto sul dialogo, e sulla costruzione di un rapporto autentico ed empatico tra manager e i membri del proprio team», conclude Carola Adami.

Perché un ambiente di lavoro sano e trasparente permette sia di ridurre il turnover, sia di aumentare la propensione alla produttività.

 

 

Mismatch: come cercare i lavoratori che non si trovano

Milano, 20 settembre 2022 – Per tutta l’estate si è parlato della grande difficoltà delle imprese del turismo, a partire dalle strutture ricettive, nel trovare le professionalità necessarie. Il settore non è certo nuovo alle complicazioni nell’attirare talenti nei periodi di picco, ma è indubbio che la pandemia abbia inflitto un duro colpo anche da questo punto di vista.

Durante il lockdown, ad attività ferme, le persone che erano solite lavorare nel turismo hanno infatti cercato un’occupazione altrove, privilegiando lidi più sicuri. A dimostrarlo è l’ultimo rapporto FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), il quale spiega che il mondo dell’accoglienza gastronomica ha perso in due anni 300mila addetti, nonché 45mila imprese. È così che tante strutture ricettive italiane – stando alle rilevazioni di Federalberghi – si trovano a lavorare con il 40% dei dipendenti in meno, dovendo di conseguenza tagliare numerosi servizi. E se è vero che il picco di richieste è stato tra luglio e agosto è vero anche che il problema permane anche per i mesi più calmi di settembre e ottobre, soprattutto in regioni come la Sardegna.

Ma a fare le spese con il mismatch non è unicamente il settore del turismo. Le difficoltà nel trovare talenti da assumere sono aumentate anche nel campo ingegneristico, nonché per quanto riguarda la selezione di operai specializzati, di tecnici della salute, di meccanici e via dicendo. Stando a uno studio congiunto di Unioncamere e Anpal, è difficile reperire il 38,3% dei lavoratori ricercati.

In uno scenario in cui il tasso di disoccupazione destagionalizzato è pari al 7,9%, con 2 milioni di persone senza impiego, accettare un fenomeno di questo tipo è difficile. Eppure sono tante le imprese che ormai hanno fatto l’abitudine all’ampiezza tra il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, sapendo fin dall’inizio che determinati processi di ricerca e selezione del personale saranno estremamente difficili.

Trovare i lavoratori: come risolvere il mismatch

Esistono però delle soluzioni. In un mercato in cui è sempre più difficile individuare talune figure professionali, aumentano i benefici del rivolgersi a degli head hunter specializzati, e quindi a dei cacciatori di teste specializzati nella selezione di personale in un determinato settore lavorativo.

“Per noi questo ad esempio è una prassi nel recruiting visto che abbiamo un team di head hunter ognuno dei quali lavora verticalmente su una o più aree”, racconta Carola Adami della società di head hunting Adami & Associati.

“In questo modo la squadra di cacciatori di teste di Milano riesce a coprire in modo esperto le ricerche di personali nelle aree Automotive, Banking, Chimico-Farmaceutico, Costruzioni, Horeca-GDO-Retail, TCT, Legal, Logistica e Trasporti, Luxury e Fashion, Ingegneria, Oil & Gas, Sales e Marketing, offrendo sempre alle imprese un servizio specialistico”, continua l’head hunter.

A fare la differenza in questo senso sono le competenze e l’esperienza dell’head hunter, che conoscendo alla perfezione il mercato di riferimento, e avendo coltivato nel tempo una solida rete di contatti, potrà rendere più efficace e veloce la ricerca di personale qualificato.

 

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