Le grandi sofferenze del mondo raccontate nelle opere dell’artista Alina Ditot, tra le poche a raccontarle tramite l’arte…
Roma, 10 gennaio 2018 – Si è chiuso nel peggiore dei modi possibile il 2017 per l’arte italiana. In poco meno di una settimana, dall’ 1 dicembre con la morte di Enrico Castellani, al 2 dicembre con morte di Tino Stefanoni al 7 dicembre con la morte di di Omar Ronda, sono venuti a mancare 3 grandi esponenti dell’arte italiana.
Perdite gravi così come il fatto che l’arte italiana, soprattutto nell’ultimo periodo, stia subendo un momento di crisi.
Molto spesso nelle grandi aste newyorkesi o londinesi, le opere dei nostri alfieri migliori passano ormai invendute.
Ma come sempre accade, è sempre dai momenti bui, che si ritrova la strada verso la luce. Verso la rinascita per le opere degli artisti di casa nostra, che si spera tornino presto a fare i risultati che meritano.
È in questo quadro di sofferenza dell’arte italiana che si colloca oggi l’astro nascente Alina Ditot, attualmente tra i pochi artisti italiani in grado di spiegarci, attraverso le sue opere, la sofferenza che il mondo oggi trova a vivere.
Un mondo tormentato dai continui attacchi terroristici e conflitti mondiali. Un mondo, nel quale la paura e l’incertezza, regnano sovrane.
La pittura di Alina Ditot riporta alla luce l’enigma del Minotauro: l’uomo che combatte se stesso.
Ditot contro Ditot o Uomo contro Uomo.
Un’ arte che inverte la comune ragione che vede la tela come il campo di battaglia da non invadere mai; una guerra senza morti; un Alcatraz senza detenuti.
L’ Alcatraz pittorico di Alina ha detenuti che combattono la guerra per la sopravvivenza.
La tela è ferita. La tela è violentata.
La tela diviene il campo di battaglia dove, molto spesso, l’uomo combatte la guerra contro se stesso.
Alina impugna quel pugnale sacrificale che porta l’arte ad un nuovo punto zero. Tutto ha di nuovo inizio.
La tela viene strappata e bruciata. Abbiamo sentito più volte parlare della Ditot, come quella sacerdotessa eretica, di un segno che trova la sua nuova collocazione in non luoghi: universi nomadi fin’ora inesplorati.
Ben presto ci renderemo conto come tutto questo, in base al famoso effetto farfalla, condurrà conseguenze inevitabili nel futuro. Una tela violentata dal genio ditottiano che la rende umana. Una tela sofferente che urla il suo malessere interiore.
Nonostante ciò, nella pittura della Ditot, ritroviamo l’elemento salvifico e salvificatore.
Quel feticcio, rappresentano dallo spago, e dunque dalla legatura come ricostruzione, in grado di salvare l’uomo dal suo inferno. Un ascensore verso il paradiso. Una porta aperta da attraversare di corsa.
L’ultimo ciclo pittorico dell’artista fa riferimento ai suoi “Monocromi legati”.
Il tema del monocromo è stato oggetto di indagine da parte di molti artisti quali: Castellani, Bonalumi, Schifano, Burri, Malevic ecc. Nella giovane artista Ditot notiamo un elemento di rottura (la ferita della tela, appunto) che per la prima volta, con questa forza incisiva, rende tale supporto quasi umano.
La tela è ferita perché il mondo è ferito.
Non esiste una testimonianza più vera di questa nell’arte contemporanea.
Ed i prezzi delle opere di Alina Ditot, contrariamente agli altri artisti italiani sono in continua ascesa (dai 6 ai 18 mila euro, con previsioni di ulteriori nuovi rialzi).
Come diceva Wassily Kandinsky “Ogni opera d’arte è figlia del suo tempo, e spesso è madre dei nostri sentimenti”.
E l’arte di Alina Ditot, non fa altro che tradurre in forma e colore ciò che ogni giorno tutti noi vediamo, ascoltiamo e viviamo.
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